EUROPA, EUROPA, EUROPA

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Video e testo dell'intervento dell'avvocato Fabrizio d'Agostini, Consigliere di FOB, al Convegno Internazionale Diritto e libertà di credo in Europa, un cammino difficile, tenuto a Firenze il 18-19 gennaio 2018.

EUROPA, EUROPA, EUROPA

a Stefano Rodotà

Quando una azione terroristica colpisce un paese dell'Unione Europea, tutti, vittime, testimoni, istituzioni, cittadini, intervistati, affermano con forza che l'evento non modificherà il loro modo di vivere e le loro abitudini.

Credo che l'affermazione sia un errore. Credo che l'errore sia stato quello di non essere cambiati.

Penso che avremmo dovuto cambiare molto tempo fa.

Perché prima, l'avevamo promesso e poi, c'eravamo impegnati a cambiare e, se davvero fossimo cambiati come avevamo promesso, probabilmente ora non dovremmo confrontarci con il terrorismo.

Contemporaneamente, l'affermazione contiene anche una falsa rappresentazione della realtà, perché la verità è che noi abbiamo subito cambiamenti profondi.

Non siamo cambiati: siamo stati cambiati all'interno di un processo storico che non siamo stati in grado di controllare e che ci ha controllati e ci controlla, senza che si riescano a trovare i mezzi per cessare di essere effetto del cambiamento e tornare ad essere causa o, almeno, cercare di essere causa.

Quindi, l'affermare che un'azione terroristica non ci farà cambiare modo di vivere, è un perseverare in un doppio errore, perché non siamo cambiati come avremmo dovuto e perché siamo stati cambiati come non avremmo voluto.

È per queste ragioni che, contro ogni buona volontà, questi tempi appaiono incerti, caotici e confusi. Attraversati da contraddizioni d'ogni genere, da una crisi di valori etici, politici e sociali apparentemente inarrestabile, segnati da 32 guerre fra popoli o etnie o religioni e 12 guerre civili più o meno striscianti.

Molti l'hanno detto e molti l'hanno scritto: questa è un'epoca di crisi, di transizione e trasformazione. È questa una consapevolezza largamente comune, ma quello che non si riesce a dire o scrivere è quale sia il futuro che ci aspetta e se tale futuro sarà il risultato di una causalità consapevole o una catastrofe inconsapevole.

La promessa di cambiamento alla quale non abbiamo tenuto fede era stata solennemente formulata da 48 nazioni di tutto il mondo all'Assemblea Generale dell'ONU nel dicembre del 1948. I trenta articoli della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" prefiguravano un mondo "altro", un mondo nel quale l'essere umano sarebbe stato libero in tutto il mondo di comunicare il proprio pensiero liberamente, di pregare liberamente e fosse reso libero dalla paura e dal bisogno.

Diritti umani, dunque, perché come scritto nel preambolo della stessa dichiarazione e come sua motivazione fondamentale "il disprezzo e il disconoscimento dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'Umanità".

Gli europei hanno assunto l'impegno per i diritti umani il 4 novembre 1950 con la "Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali", richiamando e trasformando in convenzione e cioè in una "obbligazione condivisa", la "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" del 1948 e creando un apposito tribunale per far rispettare quei diritti (art. 19 - Corte Europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo).

L'intera Comunità Europea e l'intera Unione Europea si basa sull'affermazione del primato dei diritti civili e in tutte le costituzioni o leggi fondamentali dei paesi dell'Unione, i diritti civili sono una solenne enunciazione di principio e il riconoscimento dei diritti civili è stato posto fin dall'inizio come presupposto non negoziabile della partecipazione all'Unione Europea, allora non ancora costituita.

Parimenti l'Atto Unico che ne è la base si fonda a sua volta sulla solenne dichiarazione dei diritti civili, tanto che l'Europa avrebbe dovuto essere e vorrebbe essere la terra della libertà, l'Europa delle libertà civili.

Nel tempo, alcuni hanno cercato di creare questa Europa e qualche cosa è stato fatto (penso alla Carta dei Diritti del 2000), ma molti, troppi si sono opposti e si oppongono.

Guardando oggi la scena che abbiamo davanti, dobbiamo amaramente constatare che non è stato ottenuto granché e il non essere riusciti a creare davvero, nella politica, nelle azioni, nel costume, nell'educazione, nella cultura, nella morale l'Europa dei diritti civili non riguarda solo i cittadini o i paesi dell'Unione ma coinvolge l'Unione stessa nella sua natura più profonda: costitutiva e istituzionale.

Questa è la promessa di cambiamento che non siamo stati capaci adempiere.

Ancora quindi dobbiamo confrontarci con "il disprezzo e il disconoscimento dei diritti umani" che nuovamente "hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'Umanità".
Invece, siamo stati cambiati dal 1948 ad oggi.

Le direzioni e le derive sono infinite. Internet prima di tutto e come suo effetto la globalizzazione. Un mondo divenuto piccolo, multiculturale, multietnico: sconosciuti lontani sono divenuti sconosciuti vicini, diaspore e migrazioni di popoli, civiltà diverse o a stadi di sviluppo diversi che cercano di convivere o sanciscono l'impossibilità della convivenza. Impossibilità o incomprensibilità del divino e insieme intolleranza del divino e su tutto una comunicazione ossessiva che promuove la più formidabile assenza di significato che la cultura occidentale abbia dovuto affrontare.

E ancora, società aperte, famiglie per lo più prive di una chiara ragione e tenute in piedi dalla buona volontà di uno dei coniugi o dalle ristrettezze economiche oppure disgregate ...

E ancora, liberalismo spesso senza freni, sperequazione, la classe media sparita o che sta sparendo. La borghesia in crisi, la società dei consumi, le multinazionali ...

E ancora, terza ondata del femminismo, gender e la diversità di genere e contemporaneamente la creazione di un termine per nascondere la disperazione e la tragedia dell'uccisione di donne: il "femminicidio" ...

Si potrebbe continuare un elenco quasi infinito. Quello che risulta è una crisi di cultura, che non si è tradotta, quantomeno ancora, nella ricerca o adozione di modelli che permettano almeno di capire se non gestire, cosa sta avvenendo e perché.

Anche di tutto questo molto si è scritto.

Credo che esista un perché e che sia possibile la comprensione e insieme alla comprensione, siano possibili proposte di soluzioni.

La storia dell'umanità occidentale ha sempre avuto margini critici, ma la sua storia, con tutti i limiti di metodo, appare chiara.

Allora il passaggio dal Medioevo all'Età Moderna sembra poter offrire, nella qualità, se non nell'estensione, una serie di parametri ermeneutici utili, forse importanti.

Anche in quel torno di tempo dal medioevo all'Età Moderna sono avvenuti cambiamenti importanti, non è solo la riforma e la controriforma, ma la stessa contrapposizione fra modelli del divino opposti e non mediabili.

È cambiata l'economia, la politica, il commercio. Sono stati inventati i caratteri mobili. Il Nuovo Mondo ha investito il Vecchio Mondo come una tempesta.

Le Nuove Indie hanno cambiato il cibo, i tessuti, il modo di mangiare, di abbigliarsi, di vivere ...

Dolorosamente il modello della donna paolina si è trasformato in paura della donna vedova, nubile, sola e l'inquisizione ha trasformato in indice di stregoneria la paura per quelle donne "diverse" e i "femminicidi" sono stati allora spesso sociali.

Sono stati secoli di guerre interne che hanno insanguinato in lungo e in largo l'Europa. Movimenti di insurrezione e genocidi.

Crudeltà e ferocia.

Anche allora venivano denunciate la confusione, il disordine, l'impossibilità di trovare modelli interpretativi.

Forme di irrazionalismo popolare attraversavano la mitteleuropa e alcuni lamentavano che si era persa la realtà di quanto stava avvenendo e avevano nostalgia dei "tempi antichi".

Si stava costruendo il modello giuridico e politico di Stato Nazionale. A renderlo comune, renderlo una consapevolezza di tutti, tradurlo in un nuovo linguaggio, c'è voluto un lungo periodo di tempo, dai sei libri de "La Repubblica" di Bodin ('500) allo "Spirito delle Leggi" di Montesqueu ('700), periodo di tempo chiuso alla fine dalla rivoluzione francese.

Era l'emersione della borghesia.

Le nazioni, prima di tutte la Francia, già esistevano, ma gli uomini europei continuavano, e per secoli hanno continuato, a cercare di interpretare la realtà politica e giuridica sulla base del modello politico dell'"Impero e Papato". Hanno continuato nonostante quel modello non rappresentasse più la realtà da centinaia di anni.

Credo che questa incapacità o impossibilità di "capire" la realtà fosse alla base delle guerre, dei conflitti e delle crudeltà o almeno della loro misura.

Credo che oggi stiamo vivendo una situazione simile, resa più rapida da fattori come la velocità della comunicazione.

Solo, il modello di "Nazione" ha preso il posto del modello dell'"Impero e Papato".

Mi pare infatti che la qualità dei parametri sia molto simile se non uguale. Un parametro dopo l'altro fino ai "femminicidi" (nella seconda ondata del femminismo, erano gli anni '70/'80 del secolo scorso, girotondi di ragazze e donne, cantavano per le strade "tremate, tremate, le streghe son tornate! ... ").

Che cosa si può fare? Almeno cominciando dall'Europa?

Beh, bisognerebbe cambiare il modello che si continua ad usare nell'interpretare la realtà. Il modello infatti è ancora quello dello Stato Nazionale e dei rapporti fra Nazioni. Tutti, studiosi, storici, sociologi, filosofi, giuristi e buon ultimi i politici, sono convintissimi che lo Stato Nazionale come modello politico e giuridico non ha più ragione di essere. Che nel grande cambiamento culturale, sociale ed economico subito dal dopo guerra mondiale ad oggi le nazioni stesse non dovrebbero più esistere anzi dovrebbero essere definitivamente morte.

Sono invece in una lunga agonia e il modello di Stato Nazionale resta appiccicato a tutti o riemerge nei discorsi di tutti. Riemerge con la sua logica ormai divenuta distruttiva dell'interesse dei gruppi e la logica dell'"amico-nemico" attraversa i discorsi elettorali (tutti i discorsi sono in realtà "amico-nemico") e chiude i confini (per lasciare i nemici fuori) e rifiuta le decisioni comunitarie (dei nemici) e così via.

Ci vorrà tempo perché questa situazione cambi e risulti chiaro, anzi chiarissimo che è possibile un interesse superiore che non sia o non tenda ad essere quello dei gruppi e alla fine non scada nella logica "amico-nemico".

Ma qualche cosa può essere fatto subito, possiamo farlo senza costi economici e con costi solo culturali, morali, etici e possiamo insieme cominciare ad adempiere alla promessa fatta al mondo dall'unione degli Stati del mondo nel '48 e adempiere all'obbligazione assunta per una Europa dei diritti civili sottoscritta nel '50. Contemporaneamente possiamo e dovremmo divenire causa dei cambiamenti subiti dall'umanità e far sì che siano gli europei a creare il proprio futuro.

Questa è stata indicata anche come epoca della comunicazione. Internet, riducendo le distanze e i modi di comunicare, ha reso possibile comunicazioni prima impossibili.
Questo è vero, ma non è la comunicazione "giusta".

È una comunicazione "sbagliata". Sbagliato è infatti il linguaggio. L'ecumene è diventato piccolo e le nazioni piccolissime, il linguaggio però è rimasto legato ad un modello politico, giuridico e sociale ormai inesistente che stride nel lessico, nei lemmi, nei termini, nelle parole e con il suo dominio impedisce la comprensione vera.

L'epoca della comunicazione è l'epoca della comunicazione "inadeguata".

Quel linguaggio ha una forza terribile (ne uccide più la lingua che la spada), ma, alla fine, è solo un linguaggio.

Possiamo senza costi economici o coperture finanziarie, forse solo con costi etici, prenderne consapevolezza e cominciare a cercare di cambiarlo.

Dobbiamo prima di tutto ricostruire la distanza, senza la quale non è possibile unione. Compete a noi e prima di tutto al linguaggio e all'uso che ora ne facciamo e che invece dovremmo imparare a farne.

È necessario "allontanare" concettualmente e linguisticamente i "vicini", allontanare, i "prossimi", gli "amici". Sono termini che indicano concetti e forme linguistiche sempre diverse, ma dobbiamo allontanarli da noi.

I nostri "vicini" devono diventare "diversi da noi" (anche se alcuni più simili a noi di "altri"). Non ci sono i "vicini" francesi e, ancor meno, gli "amici" francesi (in caso contrario rimarremmo infatti, e infatti rimaniamo, nella logica "amico-nemico"): parlano un'altra lingua, hanno un'altra cultura, un'altra storia, un'altra letteratura, un'altra filosofia. Hanno Corneille e Racine; Pascal e Des Cartes, sono diversi da noi e diversi sono i tedeschi: un'altra lingua ancora, un'altra storia, un'altra cultura, Fichte e Scelling; Kant e Hegel; Ghoete e Tomas Mann; diversi gli spagnoli di Gaudì o Lope de Vega e così tutti i ventotto, fra poco ventisette, paesi dell'Unione.

L'Unione non è "amicizia". Sono "diversi", sono diversi e noi siamo per loro "diversi" ed è solo nel riconoscere il diverso che possiamo creare, per ora iniziando nel linguaggio, l'unione perché l'unione può essere solo unione con il "diverso" e se non allontaniamo noi da loro e loro da noi ne l'uno dall'altro, rimarremmo inchiodati a quelli che sono "amici" e a quelli che sono "nemici", l'Austria minaccerà di chiudere con l'esercito il Brennero e la Francia ai Balzi Rossi chiude Ventimiglia e mai vi sarà unione.

Se non ci separeremo, rimarrà sempre l'idea che l'identità "preziosissima", il "potere sovrano" di ciascuno è messo a rischio dalla vicinanza, dalla possibilità di confondersi, di svanire nella confusione con l'"amico-nemico" ancora e sempre "amico-nemico" ...

È strano che non appaia in un lampo che nell'epoca della globalizzazione, di internet, delle multinazionali, della società multietnica, delle mille diaspore, l'unica possibilità di conservare l'identità è esattamente all'opposto e cioè uscire dalla dialettica "amico-nemico" e riconoscersi "diversi" e fondare l'unione come unione non di amici ma di "diversi", perché è solo nell'unione come unione di "diversi" che sopravvive l'identità di ciascuno.

Bisogna cominciare a dire "europei". Solo allora potremo davvero capire cosa significa quel "europei" e scoprire di colpo l'enorme forza che abbiamo.

L'Europa, non come terza forza (come raccontava Altiero Spinelli sul Corriere), ma prima forza.

Allora l'europeo inizierà la sua storia come "storia di storie" perché possiederà come sua la storia di tutti i popoli che compongono l'Unione e ciascuno avrà in quella storia divenuta sua, sia Corneille che Racine; sia Hegel che Tomas Mann; sia Cervantes che Lope de Vega e avrà Alighieri e Da Vinci ... e quelle storie e quelle identità diverse sopravvivranno e si esalteranno.

Quel "europei" ha costi etici alti, forse altissimi e sono i costi dei valori che esprime.

Dal punto di vista dell'Unione, diviene allora un errore la dichiarazione di Bruxelles "dobbiamo aiutare l'Italia" sui migranti, perché la frase giusta sarebbe "dobbiamo aiutare i migranti".

Non ha senso dire che "ci aspettiamo la solidarietà dell'Europa" come se i migranti fossero sbarcati in un paese diverso dall'Europa.

E non si possono chiudere i confini di Francia o Austria, come se i migranti non fossero già entrati in Europa, sbarcando in Italia.

È linguaggio, ma è necessario.

Nel futuro più prossimo possibile, come si traduce o si dovrebbe tradurre o potrebbe tradursi dal punto di vista del diritto pubblico dell'Unione e in quello comparato degli Stati membri, il giusto linguaggio dell'Unione?

Credo, come anche suggerito da altri, che l'Europa debba far sentire la sua voce e che, prima o poi, i Ministeri degli Esteri dei diversi Stati dell'Unione si concentrino come un grande unico ufficio nel Ministero degli Esteri dell'Unione e i rapporti fra Stati siano rimessi a sezioni regionali del Ministero degli Interni.

Tutti gli Stati dell'Unione, come già detto, hanno nelle loro costituzioni o nelle loro leggi fondamentali la solenne dichiarazione dei diritti civili. Diverso è poi il rispetto e diverse le norme attuative. Credo sia fondamentale che tutte le costituzioni siano sul punto unificate con un solo testo e identiche norme attuative e sia contemporaneamente abrogato il secondo comma dell'art. 9 (limitazioni alla libertà) della Convenzione europea sui diritti dell'uomo perché ambiguo o almeno sia riscritto e sottoscritto di nuovo in modo da non poter più costituire una giustificazione per i molti inadempimenti.

Anche ogni "margine di apprezzamento" prima o poi dovrebbe essere eliminato dalla giurisprudenza di Strasburgo. Anche la giurisprudenza deve creare il futuro.

Credo infine che tocchi particolarmente all'Italia, al suo popolo, ai suoi intellettuali, ai suoi studiosi, ai suoi politici, alle sue associazioni, alle sue istituzioni, ai suoi rappresentanti europei, cominciando dal linguaggio, l'iniziativa della creazione di una forte Europa unita, unita nei diritti civili.

Penso che questo dovere, questo compito, competa prima di tutti all'Italia, non tanto per "Ventotene", non tanto per "Altiero Spinelli" e "Enrico Rossi", non tanto perché la "Convenzione europea sui diritti dell'Uomo" è stata sottoscritta a Roma, ma perché la penisola italiana è la vera porta dell'Europa.

Se calcoliamo il perimetro delle coste dell'Italia e delle sue isole, l'Italia è sicuramente il confine più esteso dell'Unione, ma al di là di questo calcolo, l'Italia è una sorta di molo nel Mediterraneo, un approdo, una porta aperta, offerta all'Africa e all'Asia Minore e dall'Africa e dall'Asia Minore è in atto una straordinaria diaspora, un fiume ininterrotto di "diversi", di disperati che naufragano davanti alle nostre coste o arrivano morti oppure ancora sbarcano in file interminabili di uomini, donne, bambini ... e questi "diversi" hanno ciascuno di loro uno scopo particolare ... fuggire dalla guerra, fuggire dal bisogno, fuggire dalla paura oppure riunirsi con i parenti o ancora cercare protezione, cercare lavoro, cercare un futuro, una famiglia ... ma nel loro insieme questa massa di esseri umani ha una sola richiesta.

Chiede all'Europa i propri diritti civili e le proprie libertà fondamentali ed è come il suono di una sirena che non cessa.

Lo chiede all'Europa perché nella sua Convenzione, solo l'Europa si è obbligata a garantirli a tutti gli esseri umani.

Per questa contiguità con i "diversi", i vivi e i morti, tocca all'Italia farsi portavoce e proporre all'Unione di essere Europa, essere cioè l'Europa dei diritti civili, l'Europa che consapevolmente faccia propria la nuova stagione del mondo e sostituisca al modello o criterio interpretativo delle "nazioni e dei gruppi" e alla logica "amico-nemico", il modello "umanità" e la logica dei "diversi".

Solo quando il valore "umanità" e la logica dei "diversi" sarà divenuto il modello sociopolitico e socio giuridico che contraddistingue l'Europa, l'Europa sarà l'Europa dei diritti civili e potrà diventare a sua volta motore dell'umanità nuova, quella prefigurata nella Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo.

Allora la pace sarà più di una aspirazione e di un sogno, allora l'umanità potrà davvero riconoscersi nel diritto di tutti di pensare liberamente e liberamente esprimersi; nella libertà di ciascun essere umano di pregare Dio come crede in ogni parte del mondo; nella libertà dal bisogno e nella libertà dalla paura e noi potremmo allora davvero alzarci in piedi dalla terra della libertà e dire con orgoglio "Europa, Europa, Europa".

Avv. Fabrizio d'Agostini