Anniversario della morte di Malcolm X: noi e l’Islam, 50 anni dopo

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Malcom X

Cinquant’anni fa moriva Malcolm X, un anniversario che va ricordato tanto più nell’attuale clima nei confronti dell’Islam, frutto della superficialità con cui comodamente talvolta si guarda alla seria e drammatica complessità degli eventi internazionali. La parabola esistenziale di Malcolm X, nella sua tortuosa evoluzione, ci ricorda come la fede si situi innanzitutto nel rapporto individuale, soggettivo e per definizione esclusivo del singolo con l’Assoluto e che pertanto, al di là delle chiacchiere, il rapporto tra fede e ragione non sia mai risolto perché, come affermava Kierkegaard, "la fede comincia là dove la ragione finisce".

È sufficiente confrontare il lucido sentiero attraversato da Martin Luther King con la travagliata evoluzione del pensiero di Malcolm X, i suoi cambiamenti di nome, d’identità, che pure giungerà alla difesa dei diritti umani come valore non negoziabile e a una concezione dell’Islam come religione in grado di abbattere la discriminazione e le barriere razziali, per capire che il cammino politico e intellettuale di un uomo è tanto razionale quanto il suo percorso religioso non lo è affatto: seppure possano giungere, come in questo caso, a conclusioni possibilmente analoghe o perfino coincidenti, non possono compiere ciò se non mediante processi di natura diametralmente opposta.

Le politiche interne che Francia e Italia stanno attuando per contrastare il terrorismo islamico sono quindi completamente inadeguate e rischiano unicamente di sortire l’effetto opposto. Il governo francese che incita i genitori a denunciare i propri figli se odorano di conversione all’islam, invitandoli a notare dettagli come un cambiamento della dieta che potrebbero esser indicativi, non è diverso dalla Regione Lombardia che nella speranza di ostacolare la costruzione delle moschee è riuscita a ledere di fatto, con la legge recentemente emessa, i diritti inviolabili della persona e delle comunità di fede differente da quella cattolica, punendo gli evangelici quanto i musulmani.

Sappiamo perfettamente che la cosiddetta politica è ormai quasi unicamente propaganda e che come tale si nutre come alimento di base della demagogia: tuttavia un minimo senso di responsabilità inviterebbe a riflettere prima di fare populismo su questioni di fede in un momento storico di stragi e massacri.

Che questi non siano crimini di fede, è peraltro evidente: ogni forma di rivendicazione è incentrata su una retorica di tipo politico, condita con punte di esaltazione che contengono richiami religiosi come sorta di astratto collante identitario per chiamare alle armi più cittadini possibili, iscrivibili certo più nell’alveo della propaganda bellica che non nel sermone volto a suscitare una commozione di tipo religioso.

Troviamo l’assenza di paradosso e l’estrema ed estremista concretezza logica dei passaggi perfino nella caotica, ultima intervista rilasciata da Chérif Kouachi, che rende chiaro il suo movente quando afferma: "Voi siete quelli che uccidete i bambini musulmani in Iraq, in Siria, in Afghanistan", identificando il suo delitto con una reazione alla strategia bellica dell’Occidente e non con l’obbedienza a un richiamo divino; altrettanto emblematico è il video diffuso dall’IS contenente le immagini dell’omicidio del pilota giordano, che mostra apertamente un alto crimine contro l’Islam in quanto il Corano vieta espressamente di bruciare un uomo.

Con questo non si vuole negare che esistano crimini di fede, ma hanno una natura completamente diversa, il denominatore comune di un sacrificio delle proprie posizioni razionali in virtù di un movente paradossale fondato sulla possibilità di una sospensione teleologica dell’etica che giustifichi davanti alla ragione un’infrazione delle leggi che tutelano la collettività per un fine più alto, insondabile e per definizione incomprensibile: l’esatto opposto delle ragioni geopolitiche che spingono a un’esaltazione in cui la ragione trova conferme per la propria brutalità tanto quanto nella fede trova conferme della propria inadeguatezza.

Ma affrontare le ragioni di questa esaltazione, al di la di una mancata riforma che riguarda il mondo islamico, è estremamente scomodo: bisognerebbe prendere atto della destabilizzazione consapevole del Medio Oriente, degli esiti effettivi delle Primavere Arabe, del prodotto del rifiuto alla soluzione nonviolenta proposta dai Radicali con l’esilio di Saddam, del finanziamento del terrorismo internazionale e dell’involuzione culturale che stanno evidentemente subendo alcuni Paesi arabi.

Questi erano, in alcuni casi, avanguardia sulla libertà di pensiero in epoca medievale (basta pensare a quanto della moderna farmacia derivi dalle scoperte di Al-Rhazi, che ritroviamo tradotte in lingua italiana nei versi dello Cibaldone da cui prende il nome lo Zibaldone di Leopardi, e dal contributo libero che medici e filosofi come lo stesso Al-Rhazi o il contemporaneo Al Kindi hanno dato allo sviluppo della scienza e del pensiero islamico con riflessioni e interpretazioni che oggi, in quegli stessi Paesi, sarebbero ricambiate con la pena di morte) e si trovano oggi in una condizione d’instabilità che non può non riflettersi sul piano culturale.

Prendere atto di questo significa essere coscienti delle proprie responsabilità, di quelle degli altri e della gravità complessiva della situazione. Per tornare al video del pilota giordano, non c’è bisogno di essere Stanley Kubrick per notare come, in base al numero di unità, alla definizione dei dettagli e al livello del lavoro di postproduzione, non ci troviamo di fronte al folle messaggio di disperati combattenti che s’immolano con la forza della fede compensando col fervore l’assenza dei mezzi propri di una moderna nazione, ma a un prodotto iperprodotto che testimonia una volta per tutte come quelli che chiamiamo "terroristi" siano effettivamente un esercito che riceve una pluralità di ingenti finanziamenti, sta conquistando dei territori e ora, con la vicenda libica, è entrato direttamente nella sfera d’influenza del nostro Paese.

Piuttosto che accettare questo, la politica interna preferisce di gran lunga imputare tutto a Maometto, ignorare la voce di autorevoli esponenti di religione musulmana che si leva nel condannare i crimini dell’IS, e mettere a disposizione delle famiglie un apposito formulario da compilare nel caso in cui i figli smettano improvvisamente di mangiare le baguette, oppure pretendere che le confessioni erigano luoghi di culto i cui parcheggi misurino almeno il doppio dell’area dell’edificio e che questo non sia eccessivamente vicino ad altre costruzioni di tipo religioso.

Misure kafkiane figlie di un rifiuto dell’evidenza: se uno studente, interrogato sulle ragioni delle Crociate, rispondesse che queste sono avvenute per motivi di fede, non solo susciterebbe l’ilarità della classe, ma rivelerebbe l’evidenza del fatto che non aveva nessuna voglia di prepararsi, altrimenti avrebbe dovuto studiare attentamente le cause geopolitiche, il contesto storico, gli obiettivi strategici – e prenderebbe perciò un bel quattro. Lo stesso voto che ci potremmo limitare a dare al governo francese o alla Regione Lombardia, se non fosse che, a furia di cercare lo scontro culturale, potrebbero finire col provocarlo davvero, e questo è estremamente pericoloso.

L’Europa sta lentamente dimenticando il vero pericolo, che non è certamente la libertà di religione, ma l’opposto, cioè la dittatura: prima ancora di combattere la minaccia di un regime totalitario che guarda con odio alla democrazia, innaffia il seme della dittatura nel proprio stesso vaso e, sull’onda della paura, sta lentamente rodendo i principi di libertà, uguaglianza e unità sovranazionale su cui si era costituita proprio in reazione agli orrori del totalitarismo negli Stati-nazione.

Sulla base di questo errore è stato compiuto il più scomodo e il più grave, ovvero il sostegno economico e militare agli oppositori di alcuni fra i più odiosi regimi totalitari del Medio Oriente, ribelli privi però della benché minima sensibilità democratica, iniettati come un vaccino perfino più dannoso della malattia, dimenticando così quanto affermava Karl Jaspers in Origine e Senso della Storia (1949) esaminando "i pericoli lungo il cammino verso l’ordine mondiale", ovvero che la dittatura non può essere rovesciata dall’interno per via degli stessi strumenti di pianificazione e burocrazia che le permettono di conservarsi stritolando gli oppositori, e che raggiunge l’apice quando il terrore comprende tutti, anche coloro che non vogliono: la dittatura dell’IS sembra perciò a buon punto, e possiamo solo sperare che l’Europa inizi a rispondere al buio del terrore con la luce della ragione.

Camillo Maffia


Fonte: agenziaradicale.com

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