La laicità e i mezzi per preservarla - un Libro Bianco

Sezione:
La Laïcité et les Moyens de la Préserver - Livre blanc

In un momento in cui in Assemblea Nazionale sono iniziati i dibattiti sul disegno di legge che consolida il rispetto dei principi della Repubblica, ci è sembrato saggio riflettere sui mezzi per arricchirlo e migliorarlo, laddove noi sentivamo di poterlo fare. Lungi dall'essere esaustivi e di voler trattare tutti gli aspetti di un testo che si afferma essere importante nella storia della Quinta Repubblica, ci siamo concentrati sulla parte del testo che riforma la legge del 1905 sulla separazione tra le Chiese e lo Stato.


Frédéric-Jérôme Pansier, professore di diritto

Willy Fautré, Human Rights Without Frontiers

Massimo Introvigne, CESNUR, Centro Studi sulle Nuove Religioni


Frédéric-Jérôme PansierFrédéric-Jérôme Pansier insegna giurisprudenza dal 1990 con doppio dottorato in giurisprudenza e in inglese. Attualmente è docente presso l'Università del Pantheon Sorbonne (Parigi) e l'Università Cattolica di Parigi. Ha pubblicato 52 libri e più di 3.000 articoli su riviste specializzate. Dal settembre 1990 collabora con la Revue de science criminelle et de droit pénal comparé e da giugno 1998 a marzo 2013 è stato caporedattore dei Cahiers Sociaux du Barreau de Paris.

 

Willy FautréWilly Fautré, già capo missione nel gabinetto del ministero belga dell'Educazione e nel parlamento belga, è il direttore di Human Rights Without Frontiers, la ONG con sede a Bruxelles che ha fondato nel 1988. In questa veste ha svolto missioni di inchiesta sui diritti umani e sulla libertà religiosa in oltre 25 Paesi. Docente universitario nel campo della libertà religiosa e dei diritti umani, è autore di numerosi articoli sui rapporti fra Stato e religioni, pubblicati su periodici accademici. Organizza regolarmente convegni al Parlamento Europeo su diversi temi tra cui la libertà di religione e di credo, e per anni ha promosso la libertà religiosa nelle istituzioni europee, all'OSCE e all'ONU.

Massimo IntrovigneMassimo Introvigne è un sociologo delle religioni italiano. È il fondatore e il direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR), una rete internazionale di studiosi di nuovi movimenti religiosi. Autore di una settantina di libri e di più di 100 articoli nel campo della sociologia della religione, dal 5 gennaio al 31 dicembre 2011 ha avuto, nell'ambito dell'OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), il ruolo di "Rappresentante per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un'attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni". Dal 2012 al 2015 è stato coordinatore dell'Osservatorio della Libertà Religiosa, istituito dal ministero italiano degli Esteri per monitorare lo stato della libertà religiosa a livello mondiale.

 


DISEGNO DI LEGGE CHE CONSOLIDA IL RISPETTO DEI PRINCIPI DELLA REPUBBLICA

La laicità e i mezzi per preservarla

SOMMARIO

I. INTRODUZIONE

II. SEPARAZIONE, LAICITÀ, CULTO E RELIGIONE

A. Separazione delle chiese e dello Stato
B. La legge del 9 dicembre 1905 è un regime molto liberale
C. La Repubblica garantisce il libero esercizio di culto
D. La Repubblica non riconosce alcun culto

1. Culti riconosciuti e culti non riconosciuti
2. La neutralità negativa
3. La neutralità positiva e I'imparzialità
4. La neutralità positiva e il rispetto di tutte le credenze e dell'ordine pubblico
5. Nessuna distinzione distinction tra le religioni

III. DEFINIZIONE E IDENTIFICAZIONE DELLA RELIGIONE

A. Pluralismo religioso
B. Riconoscimento della religione secondo il diritto francese e internazionale

IV. AUTONOMIA DELLE COMUNITÀ RELIGIOSE, LIBERA ORGANIZZAZIONE DEL CULTO E LIBERA SCELTA DELLO STATUTO DEI RELGIOSI

A. Principio dell'autonomia nella scelta dell'organizzazione religiosa e del suo funzionamento
B. Rifiuto della Chiesa e voto della legge del 2 gennaio 1907
C. Accettazione delle associazioni diocesane senza esercizio di culto della legge del 1905

V. IL PRESUNTO RICONOSCIMENTO DELLE RELIGIONI ATTRAVERSO LE ASSOCIAZIONI CULTUALI

A. Culto e associazione cultuale non sono sinonimi

1. Associazioni cultuali e definizione restrittiva di culto
2. Similitudine delle parole culto e religione nella tradizione costituzionale francese

B. Una definizione restrittiva della parola culto causa una violazione della libertà di religione e discriminazione

VI. IL FATTO RELIGIOSO È UN FATTO LEGALE LA CUI PROVA È LIBERA

VII. CONCLUSIONE: APPLICAZIONE DEL DISEGNO DI LEGGE CHE CONSOLIDA IL RISPETTO DEI PRINCIPI DELLA REPUBBLICA

I - INTRODUZIONE [⬆︎]

In un momento in cui in Assemblea Nazionale sono iniziati i dibattiti sul disegno di legge che consolida il rispetto dei principi della Repubblica, ci è sembrato saggio riflettere sui mezzi per arricchirlo e migliorarlo, laddove noi sentivamo di poterlo fare. Lungi dall'essere esaustivi e di voler trattare tutti gli aspetti di un testo che si afferma essere importante nella storia della Quinta Repubblica, ci siamo concentrati sulla parte del testo che riforma la legge del 1905 sulla separazione tra le Chiese e lo Stato.

In base al nostro ragionamento, abbiamo dovuto ricercare cosa fosse realmente la laicità, cosa sottintendesse e cosa intendesse, quali fossero le fondamenta che hanno presieduto la sua nascita e cosa avesse significato nel corso dei decenni trascorsi da allora. Abbiamo anche esplorato dibattiti parlamentari, dottrine, interventi di commissari governativi, giurisprudenza legata alla laicità, a volte per estrarre spiegazioni chiare e talvolta contraddizioni fondamentali.

Ci è parso che questo disegno di legge rappresenti una formidabile opportunità per modernizzare la legge del 1905, in modo che possa fornire risposte a una situazione che è radicalmente cambiata rispetto al panorama religioso francese dal 1905, ma, allo stesso tempo, rendere possibile il raggiungimento degli obiettivi che l'attuale governo si è prefissato (ma non è l'unico ad averli prefissati), ovvero integrare nella sua cornice religioni arrivate da poco sul territorio francese, come l'Islam.

Secondo il Consiglio Costituzionale[1], le componenti del principio di laicità sono:

- La Repubblica non riconosce alcun culto;

- La neutralità dello Stato;

- Il rispetto per tutte le credenze;

- L'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione di religione;

- La Repubblica garantisce il libero esercizio dei culti;

- La Repubblica non finanzia alcuna religione.

Tuttavia, la Francia è a conoscenza di alcune contraddizioni nell'applicazione di questi principi. In particolare, si può rilevare che se la Repubblica non riconosce direttamente alcuna forma di culto, deve comunque riconoscerne indirettamente alcune nel corso di qualsiasi procedimento che comporti l'accettazione da parte dello Stato della concessione dei benefici derivanti dalla natura religiosa di un'associazione registrata ai sensi della legge del 1905. Se lo Stato può escludere dalla sfera dei benefici alcune associazioni il cui carattere di culto non gli sembra accertato, riconosce per contro quello dei culti cui è stato riconosciuto il diritto ai benefici.

A questo proposito, il ministro dell'Interno Gérald Darmanin, interrogato il 17 dicembre dalla Commissione Speciale incaricata del disegno di legge, ha detto:

Non abbiamo voluto introdurre disposizioni per organizzare i culti al posto loro. Sta a loro organizzarsi secondo i principi repubblicani, senza che noi si debba scegliere cosa sia un buon ministro della religione o quale sia un corretto funzionamento di un culto. Non è compito del Ministro dell'Interno scrivere una serie di discorsi religiosi, in ogni caso da tempo quella non è più la sua funzione e non desidera che la diventi di nuovo.

Sottoscriviamo questa posizione: è l'essenza stessa della laicità quella di non dover scegliere una religione piuttosto che un'altra e, soprattutto, di rispettare l'autonomia organizzativa delle diverse religioni, mentre si garantisce loro un trattamento non discriminatorio.

Tuttavia, la giurisprudenza in materia ha faticato a evolversi, mentre il panorama religioso francese è cambiato notevolmente dalla promulgazione della legge del 1905.

Il governo, volendo incoraggiare fortemente le associazioni della legge del 1901 (principalmente Musulmane, ma non solo) ad aderire al regime di associazioni religiose ai sensi della legge del 1905, compie un ulteriore passo nel controllo statale dei culti. Per questo ha inserito nel disegno di legge l'obbligo per le associazioni di carattere religioso ai sensi della legge del 1901 (come autorizzato dalla legge del 2 gennaio 1907), di sottostare a determinati vincoli che, fino ad allora, avevano riguardato solo le associazioni previste dalla legge del 1905, senza poter beneficiare dei vantaggi legati al riconoscimento del loro carattere religioso secondo quest'ultima legge.

Sfortunatamente, è una scommessa sicura che questa armonizzazione dei vincoli, qualunque sia la modalità di esercizio liberamente scelta, non sarà sufficiente a provocare un reale cambio di paradigma e ad incoraggiare le associazioni della legge del 1901 ad aderire al regime della legge del 1905. Il motivo è semplice: il regime del 1905 si basa su una definizione troppo restrittiva - e obsoleta - dell'esercizio del culto, ereditata da un'opinione del Consiglio di Stato, che riduce questo "alla celebrazione di cerimonie organizzate in vista della realizzazione da parte di persone unite dalla stessa fede religiosa, di certi riti o di certe pratiche"[2].

Questa definizione eccessivamente restrittiva – che tuttavia non è un corollario necessario della legge, né nello spirito né nella lettera - è prigioniera del contesto sociale, fortemente segnato dalle religioni monoteiste tradizionali, in cui è intervenuto il parere del Consiglio di Stato. Ma de facto esclude le associazioni le cui pratiche di culto non si limitano alle sole cerimonie, sebbene il loro oggetto sia esclusivamente l'esercizio del culto.

Infatti, dalle disposizioni dell'articolo 18 della legge del 1905 segue il fatto che le associazioni che rivendicano lo status di culto devono "svolgere attività aventi esclusivamente per oggetto l'esercizio del culto, come l'acquisizione, affitto, costruzione, sviluppo e manutenzione di edifici adibiti al culto, nonché manutenzione e formazione dei ministri e di altre persone che contribuiscono all'esercizio del culto".

La giurisprudenza indica che "l'esercizio da parte di un'associazione di attività diverse da quelle sopra richiamate, salvo che queste attività siano direttamente connesse con l'esercizio del culto e siano di natura strettamente accessoria" è sufficiente per "escluderla dal beneficio dello status di associazione religiosa"[3].

Tuttavia, il rispetto effettivo della diversità delle religioni liberamente esercitato sul territorio francese vieta di limitare la pratica del culto alla sole celebrazioni di cerimonie, includendo anche alcune pratiche di natura "strettamente accessoria". Non vorremmo che un'associazione il cui oggetto è lo studio religioso del Corano o della Torah potesse far parte della legge del 1905? Non si tratta qui dell'insegnamento della religione in ambiente universitario o scolastico, ma della formazione e istruzione dei fedeli e del personale religioso sui principi della loro religione.

E che dire di un'associazione Buddista che organizzasse pratiche di meditazione, senza celebrazioni speciali? E che dire di un'associazione che offrisse istruzione religiosa online?

Noi crediamo di sì, e dobbiamo cogliere l'opportunità che ci viene offerta al fine di modernizzare e ampliare il campo di applicazione della legge del 1905. Lo spirito della legge è quello di offrire a tutti i culti un inquadramento simile in cui poter praticare, senza interferire nella loro organizzazione o, come ha detto il Ministro dell'Interno, senza "scegliere qual è il corretto funzionamento di un culto". Questo è il rispetto per l'autonomia delle religioni, riconosciuto anche come principio fondamentale dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Infine, è anche il desiderio attuale del governo e di altri, di garantire che il maggior numero possibile di associazioni entri a far parte di questo quadro, che certamente offre vantaggi, ma anche obblighi la cui essenza è il rispetto per la laicità.

Non si tratta ovviamente di aggiungere una definizione di culto alla legge del 1905. Al contrario, il legislatore si è astenuto cautamente dal farlo fino ad ora, nel rispetto del principio di laicità. Inoltre, le attività che abbiamo appena menzionato sono in realtà esercizi di culto diretti o accessori all'esercizio del culto. Ma non sono celebrazioni o accessori alla celebrazione.

Inoltre, con questo disegno di legge in base al quale si impone alle associazioni con fini religiosi disciplinate dalla legge 1901 di rispettare gli obblighi di diversi articoli della legge del 1905, rischiamo, senza rendercene conto, di consentire loro di esentarsene, poiché il loro oggetto non è esclusivamente "La celebrazione di cerimonie organizzate da persone unite dalla stessa fede religiosa, per la realizzazione di certi riti o di certe pratiche".

Oggi quindi, per il legislatore, si tratta di garantire che la legge del 1905 consenta contemporaneamente al maggior numero possibile di associazioni con fini religiosi di inserirsi nel quadro della legge del 1905, offrendo al giudice principi fondamentali chiari che gli consentano di svolgere il suo ufficio sulla base di criteri oggettivi, non discriminatori, rispettosi dell'autonomia delle religioni rispetto alla loro organizzazione interna e sufficientemente inclusivi per estendere la possibilità di fare ricorso al regime associativo della legge del 1905.

Affinché la legge sia in linea con i pilastri della laicità della tradizione costituzionale francese e del diritto internazionale, e che rispetti i desideri e gli obiettivi perseguiti dal governo, è auspicabile includere:

- Il principio dell'autonomia delle religioni che garantisce la libera organizzazione delle religioni secondo i loro principi religiosi;

- Il fatto che la Repubblica, non riconoscendo alcuna religione, non ne dia alcuna definizione e che la legge si applichi quindi a qualsiasi religione identificabile;

- Il fatto che le attività di culto comprendono qualsiasi atto relativo all'esercizio, sostegno, finanziamento, e mantenimento del culto, dei suoi ministri, del suo personale religioso e dei luoghi di culto, nonché di ogni attività accessoria ad esso collegata da un nesso sufficiente, ad esclusione delle attività sociali, filantropiche, caritatevoli o culturali.

II - SEPARAZIONE, LAICITÀ, CULTO E RELIGIONE [⬆︎]

Secondo il Consiglio Costituzionale le componenti del principio di laicità sono:

- La Repubblica non riconosce alcun culto;

- La neutralità dello Stato;

- Il rispetto di tutte le credenze;

- L'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione di religione;

- La Repubblica garantisce il libero esercizio dei culti;

- La Repubblica non finanzia alcun culto[4].

Assistiamo immediatamente alla quasi totale fusione tra le norme della legge del 1905 e il principio della laïcité francese enunciato nel preambolo della costituzione del 1946 e in quella del 4 ottobre 1958.

A. SEPARAZIONE DELLE CHIESE E DELLO STATO

Prima della legge del 9 dicembre 1905, il Concordato napoleonico aveva istituito un regime che venne in seguito qualificato come "culti riconosciuti", considerati come enti pubblici posti sotto lo stretto controllo del governo francese.

Secondo un vecchio studio sulle origini del fondo per i culti, il Concordato "mirava a ripristinare il culto, a costituirlo nello stato di servizio pubblico e a fare del clero un ente amministrativo"[5].

Al Concordato vero e proprio si sono aggiunti articoli organici adottati unilateralmente dal governo francese senza aver consultato gli interessati, dando vita a una vera ingerenza dello Stato nell'organizzazione interna dei culti "riconosciuti" e consentendo alle autorità pubbliche di interferire nelle questioni di dogmi e morale religiosa. Infatti, per quanto riguarda il culto Cattolico, nessun atto proveniente dal Vaticano poteva essere ricevuto, pubblicato, stampato o attuato senza l'autorizzazione del governo francese, ai sensi dell'articolo 1 degli articoli organici. Lo Stato francese aveva il potere di determinare i distretti ecclesiastici e di partecipare alla nomina delle autorità religiose.

Anche i sinodi organizzati da culti Protestanti erano soggetti ad autorizzazione e le loro decisioni dovevano essere approvate dal governo. Tuttavia, l'oggetto di questi sinodi era principalmente religioso.

Abrogando il regime autoritario dei culti "riconosciuti", la legge del 9 dicembre 1905 pose fine al Concordato.

La legge nota come "Separazione delle Chiese e dello Stato" ha adottato una concezione molto liberale del rapporto tra religioni e potere pubblico e ha stabilito un regime giuridico della religione che, oggi, è alla base del diritto religioso.

B. LA LEGGE DEL 9 DICEMBRE 1905 È UN REGIME MOLTO LIBERALE

Per riassumere la situazione prima dell'apertura dei dibattiti sulla legge del 1905, un autore scrive "che dal giorno in cui Gambetta, Jules Ferry e i loro amici misero le mani sul governo francese, la caratteristica del regime fu la guerra al Cattolicesimo"[6].

La Terza Repubblica ha effettivamente attuato una politica molto anticlericale, essenzialmente contro la Chiesa Cattolica. Il suo parossismo è stato raggiunto sotto il governo di Émile Combes, un ex-seminarista sospeso a divinis soprannominato "Petit Père Combe" a causa della sua feroce opposizione alla Chiesa Cattolica.

Tuttavia, nel 1902, sotto il governo Combes, furono i parlamentari a dare il via alla legge sulla Separazione presentando 8 disegni di legge.

Nel giugno 1903 fu istituita una Commissione Parlamentare per esaminare queste proposte con il signor Aristide Briand come relatore, che sarebbe diventato famoso per il suo ruolo nell'adozione della legge del 1905.

Il 30 luglio 1904 Combes prese la decisione radicale di interrompere le relazioni diplomatiche con Roma. Tuttavia, non potè continuare la sua politica anticlericale perché cadde a causa dello scandalo noto come i "dossier" creato dall'esercito francese sui militari sospettati di Cattolicesimo.

Furono quindi i parlamentari a svolgere il ruolo più essenziale nell'adozione della legge del 1905, tra cui Aristide Briand, il suo relatore, e Jean Jaurès, il tribuno socialista.

La destra, i monarchici e la Chiesa Cattolica, volevano lo status quo. Padre Gayraud invocava "l'unione della società civile e della società religiosa". Da un lato, ritenevano che "era il progetto di distruzione della Chiesa da parte dello Stato"[7] e, dall'altro, secondo Aristide Briand, "il Concordato napoleonico aveva permesso la ricostituzione della Chiesa e l'acquisizione, nel corso dell'Ottocento, di un potere pari a quello che le era riconosciuto pochi anni prima della Rivoluzione"[8]. Non va neppure dimenticato che il Concordato era un contratto, mentre la Separazione era un atto unilaterale vincolante per la Chiesa.

L'estrema sinistra, di cui uno dei più accaniti sostenitori è stato il deputato Maurice Allard, ha continuato "la lotta contro la Chiesa che è un pericolo politico e sociale", considerando il Cristianesimo come "un ostacolo permanente allo sviluppo sociale della Repubblica e di ogni progresso verso la civiltà". Si batteva per un "progetto di soppressione della Chiesa da parte dello Stato[9].

Di fronte a queste due tendenze estreme, si è formato un partito moderato, tra cui in particolare quello del relatore della legge, Aristide Briand e del deputato Jean Jaurès come principali leader.

La Commissione Briand compirà un lavoro titanico che si tradurrà in una relazione parlamentare ben argomentata e in un progetto preliminare che sarà sottoposto al voto della Camera dei Deputati nella primavera del 1905. I processi verbali dei suoi dibattiti sono composti da mille pagine.

Jaurès, grande sostenitore della Separazione, dichiara: "Non stiamo esercitando un atto di violenza; non stiamo agendo in modo subdolo; stiamo lavorando con sincerità. Questo è il carattere del lavoro della commissione ed è per questo che mi unisco"[10].

Socialista ma credente, il deputato sostiene con le unghie e con i denti il progetto della Commissione opponendosi a tutto ciò che "potrebbe assomigliare a un attacco al libero esercizio del culto"[11]: "La Francia non è scismatica, è rivoluzionaria". In questa famosa formula afferma che la Repubblica non è in lotta contro le religioni, è rivolta al progresso dell'uomo, che, secondo lui, richiede una rivoluzione sociale e pacifica.

Molti parlamentari di tutti i partiti hanno sottoscritto questa prospettiva al punto che Marcel Sembat, membro del gruppo rivoluzionario alla Camera, ha dichiarato: "Sono così entusiasta che sono deciso a votare per una separazione liberale ... non considero la separazione uno strumento di persecuzione"[12].

Ma il principale artefice del tono liberale della legge è soprattutto Aristide Briand, come si evince dall'introduzione della sua relazione dove dichiara che il suo obiettivo è una "leale e totale separazione tra Chiese e Stato" e dove specifica che "Questo regime è l'unico che, in Francia, un paese in cui le convinzioni sono diverse, preserva e protegge i diritti di ogni persona"[13].

Nella conclusione del rapporto, evoca il liberalismo del nuovo sistema indicando ai deputati "che votando riporterete lo Stato a una più giusta valutazione del suo ruolo e della sua funzione" di cui ha precedentemente sintetizzato il contenuto: "Non c'è più nessuno che contesti seriamente che la neutralità dello Stato in materia religiosa è l'ideale di tutte le società moderne".

Lo ha ricordato molto chiaramente il Vice Presidente del Consiglio di Stato:

Ma la costruzione francese della laicità, e in particolare la legge del 9 dicembre 1905, è soprattutto liberale. Questo è infatti il significato dell'articolo 1 di questa legge, che proclama: "La Repubblica garantisce la libertà di coscienza. Garantisce il libero esercizio del culto sotto le sole restrizioni emanate [...] nell'interesse dell'ordine pubblico". La libertà è al centro, cioè sia la libertà di coscienza, ma anche la libertà di vivere la propria religione nella sfera privata come, con alcune limitazioni, nella sfera pubblica. Il giudice amministrativo applica in questa materia il regime delle libertà pubbliche, secondo il quale la libertà è la regola e la restrizione da parte della polizia l'eccezione[14].

Questo è anche ciò che il Consiglio di Stato ha già indicato nel suo rapporto del 2004 intitolato "Un Siècle de laïcité":

Il giudice amministrativo, da parte sua, ha svolto un ruolo conforme ai desideri del legislatore nell'interpretazione liberale della legge ... Se solo potè tener conto della separazione tra Stato e Chiese consacrata dalla legge del 1905 e trarne le conseguenze, il Consiglio di Stato lo fece nello spirito più liberale, imponendo così una concezione aperta della laicità[15].

C. LA REPUBBLICA GARANTISCE IL LIBERO ESERCIZIO DI CULTO

Il liberalismo della legge del 1905 è affermato sin dall'inizio dal suo articolo 1:

La Repubblica garantisce la libertà di coscienza. Garantisce il libero esercizio del culto sotto le sole limitazioni di seguito indicate nell'interesse dell'ordine pubblico.

Ciò "significa che lo Stato è tenuto a rendere effettiva e reale questa libertà". Il principio è più di mezzo secolo avanti rispetto alla giurisprudenza della Corte Europea che "impone agli Stati firmatari obblighi positivi di organizzare l'esercizio di questa libertà"[16].

La libertà di culto così stabilita dall'articolo 1 della legge del 1905 si applica sia agli individui che alle collettività[17].

Nel diritto amministrativo ha il carattere di una libertà fondamentale[18] e il suo valore costituzionale è ampiamente sancito dal Consiglio Costituzionale.

D. LA REPUBBLICA NON RICONOSCE ALCUN CULTO

L'articolo 2 della legge del 1905 prevede che:

La Repubblica non riconosce, paga o sovvenziona alcuna religione.

Come ci ricorda il Consiglio di Stato, riferendosi al Decano Jean Rivero, la laicità in termini di neutralità ha due aspetti, uno negativo, l'altro positivo:

Jean RIVERO ha insistito sul duplice aspetto del principio di laicità: un aspetto negativo, perché se "affermando che la Repubblica non riconosce alcuna religione, la legge non intendeva dire che la Repubblica ha rifiutato di conoscerne l'esistenza", essa "elimina la categoria giuridica dei culti riconosciuti ... lo Stato laico è quello che si pone al di fuori di ogni obbedienza religiosa"; e un aspetto positivo, perché "laico, lo Stato assicura (libertà di coscienza), cioè la libertà personale di credere o non credere" e "riconosce l'obbligo di rendere possibile l'esercizio dei culti[19].

1. CULTI RICONOSCIUTI E CULTI NON RICONOSCIUTI

Il mancato riconoscimento del culto è una delle regole più fondamentali e meno comprese della legge del 1905 e della legge sulle religioni.

Per capirlo bisogna prima confrontare il vecchio sistema dei culti con quello del 1905. Il Concordato, evolvendosi nel tempo, si basava sui cosiddetti culti "riconosciuti" mentre il testo del 1905 abolì questo sistema istituito da Napoleone Bonaparte[20].

Come sottolinea Rita Hermon Belot, la legge del 1905 "avrebbe potuto benissimo dire che non ne riconosce più nessuno".

Il Concordato del 15 luglio 1801 concluso tra il Vaticano e il governo francese, "riconosce che la religione Cattolica, Apostolica e Romana, è la religione della grande maggioranza dei cittadini francesi", senza che questa formula sia stata usata per gli altri culti che non hanno mai concluso un Concordato (Protestanti, Ebrei).

Certo, era previsto che la religione Cattolica "sarà esercitata liberamente in Francia" ma anche che "il suo culto sarà pubblico, rispettando le norme di polizia che il governo francese ritiene necessarie per la quiete pubblica". Inoltre, l'8 aprile 1802, il governo francese adottò unilateralmente articoli organici, sempre rifiutati dalla Chiesa Cattolica, che governavano "la Chiesa cattolica nei suoi rapporti generali con i diritti e la Polizia dello Stato", i "Ministri" e il loro "trattamento", il "culto" e i "luoghi di culto". Questi articoli dedicavano anche degli sviluppi ai tre rami del Protestantesimo.

Sotto Napoleone Bonaparte, infatti, lo Stato non aveva riconosciuto quattro culti esclusivamente Giudaico-Cristiani, ma li aveva semplicemente autorizzati, istituendo una procedura di riconoscimento che si applicava solo alla Chiesa Cattolica sotto forma di Concordato. Tutti i culti non autorizzati costituivano associazioni illecite (Islam, ecc.)[21].

L'esposizione di Portalis per la presentazione del Concordato, avvenuta davanti all'Organo Legislativo, ha insistito a lungo sull'utilità sociale della religione, "nessuna società può sussistere senza moralità" e "la moralità senza dogma religioso, non sarebbe che una giustizia senza tribunali"; sosteneva che la Patria avesse interesse a "proteggere la religione poiché è soprattutto attraverso la religione che tanti uomini, destinati a sopportare il peso della giornata e il calore, possono affezionarsi alla Patria"[22].

Ma nel 1850, il figlio di Dalloz, il famoso giureconsulto, redattore del repertorio, riassunse le intenzioni di Napoleone indicando che lo scopo del sistema del riconoscimento dei culti maggioritari, i cui ministri forniscono "il servizio pubblico dei culti alla grande maggioranza dei francesi" , era "di mettere lo Stato in una posizione migliore per esercitare il diritto di sorveglianza che gli spetta sulle questioni religiose e sulla condotta dei ministri del culto"[23].

Fu quindi sia per assicurare la pace generale sia per inquadrare i culti, in particolare il culto Cattolico, che il Concordato fu concluso.

In effetti, il termine di culto riconosciuto è apparso per la prima volta in una legge del 25 marzo 1822 relativa alla repressione e perseguimento dei reati commessi a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicazione, che ha consentito il perseguimento penale contro "chiunque insulti o derida qualsiasi altra religione la cui istituzione è legalmente riconosciuta in Francia". Qui, la parola religione è stata sostituita a quella di culto[24].

La Carta costituzionale del 4 giugno 1814, adottata dopo il crollo dell'Impero, ha creato un sistema misto con una tendenza molto liberale poiché prevedeva che "ognuno professi la propria religione con uguale libertà e ottenga la stessa protezione per la sua religione" . Ma ha anche riconosciuto che "la religione Cattolica, Apostolica e Romana, è la religione di Stato".

La legge del 20 aprile 1825 detta "del sacrilegio" torna al concetto di culti riconosciuti nelle sue disposizioni contro i furti sacrileghi e le offese commesse nelle chiese o su oggetti consacrati alla religione, applicata a tutti i culti "legalmente costituiti in Francia"[25].

Quindi, la Carta del 1830 prevedeva che "i ministri, sia dei culti attualmente riconosciuti dalla legge, sia di quelli che sarebbero stati riconosciuti in futuro, hanno il diritto di ricevere un trattamento dallo Stato"; il sistema fu mantenuto nella Costituzione della II Repubblica ai sensi della quale "I ministri, sia dei culti attualmente riconosciuti dalla legge, sia di quelli che sarebbero riconosciuti in futuro, hanno diritto a ricevere uno stipendio dallo Stato" (Costituzione del 1848).

Le regole del Concordato furono così mantenute fino alla legge del 1905.

Insomma, il Concordato era come il gioco delle tre carte, una partita a scacchi tra il Vaticano e Napoleone. Come quest'ultimo confessò a Sant'Elena, nutriva la speranza "di poter finalmente guidare questo papa, e avere quindi quell'influenza, quella leva di opinione sul resto del mondo!"[26].

La Chiesa Cattolica ottenne, infatti, il suo riconoscimento e un fondo per il culto, nonché la designazione dei vescovi da parte dell'istituzione canonica obbligatoria, il che gli diede l'ultima parola.

Così, nel 1905, la maggior parte dei deputati Cattolici si opposero ferocemente all'abolizione del Concordato, la cui applicazione si era rivelata molto vantaggiosa per la Chiesa.

2. LA NEUTRALITÀ NEGATIVA

La formulazione dell'articolo 2 è prima di tutto negativa: "non riconosce, paga o sovvenziona alcuna religione". In questo senso, significa prima di tutto "la neutralità dello Stato in materia religiosa" che, agli occhi di Briand, era "l'ideale di tutte le società moderne"[27]. In altre parole, lo Stato non ha un'ideologia religiosa: "nessuna convinzione religiosa dovrebbe intromettersi nella gestione dei servizi pubblici e in particolare nelle scuole"[28].

Lo Stato è indipendente dalle religioni, ai sensi della Separazione. Ciò si traduce nella neutralità dei funzionari pubblici che non possono manifestare le proprie convinzioni nell'esercizio delle loro funzioni, con molte altre implicazioni.

3. LA NEUTRALITÀ POSITIVA E L'IMPARZIALITÀ

Neutralità e imparzialità vanno di pari passo perché lo Stato "non deve favorire una convinzione religiosa rispetto a un'altra"[29].

Nel diritto europeo questo principio è cardinale. La Corte Europea lo ribadisce in tutte le sue sentenze emesse in applicazione dell'articolo 9 della CEDU. Così, in una straordinaria sentenza sommaria resa dalla sua Grande Camera, la Corte ha indicato che "ha spesso sottolineato il ruolo dello Stato come organizzatore neutrale e imparziale dell'esercizio di religioni, culti e credenze varie, e ha indicato che questo ruolo contribuisce a garantire l'ordine pubblico, la pace religiosa e la tolleranza in una società democratica"[30].

Come ha affermato il presidente Jean Marie Woehrling, coautore del trattato sulle religioni, "è la necessità di garantire una posizione di arbitrato allo Stato in una società sempre più multireligiosa e multiculturale che impone l'idea di neutralità".

Questa missione implica, secondo lui, che lo Stato "mostri un atteggiamento giusto di fronte a queste diverse convinzioni".

L'applicazione di questa regola ha diverse conseguenze legali, poiché si traduce nel principio dell'uguaglianza delle religioni davanti alla legge, nell'assenza di discriminazione sulla base della religione e nel fatto che lo Stato non combatte alcuna religione.

4. LA NEUTRALITÀ POSITIVA E IL RISPETTO DI TUTTE LE CREDENZE E DELL'ORDINE PUBBLICO

In uno dei suoi discorsi alla Camera dei Deputati, Aristide Briand ha dichiarato:

E la legge che abbiamo fatto è in definitiva, nel suo insieme, una legge liberale ... La legge doveva mostrare rispetto per tutte le convinzioni e lasciare loro la facoltà di esprimersi liberamente[31].

Questo è l'esatto contrario della tesi antireligiosa portata avanti da Maurice Allard che davanti alla Camera dei Deputati non ha esitato a sostenere quanto segue:

Ma noi liberi pensatori, quale separazione vogliamo? Non può essere solo ciò che porterà a una diminuzione delle malefatte della Chiesa e delle religioni ... Non vi nascondo che tutto il mio contro-progetto tende a far diventare la religione la cosa anormale e la a-religione - con una 'a' privativa - la cosa normale[32].

Ma è il principio opposto quello ora inscritto sul frontone della Costituzione francese: la Repubblica rispetta tutte le credenze.

La Corte d'Appello di Parigi ha applicato questa regola all'inizio del XX secolo in una sentenza che è ancora attuale, talmente forte è la sua formulazione:

Tutte le credenze religiose sono essenzialmente rispettabili, a condizione che "siano sincere e in buona fede, e non spetta ai giudici civili, qualunque sia il loro credo, criticarle o condannarle[33].

È anche un principio intangibile della giurisprudenza della Corte Europea:

Il dovere di neutralità e imparzialità dello Stato definito dalla giurisprudenza della Corte è incompatibile con qualsiasi potere dello Stato di valutare la legittimità delle credenze religiose[34].

La giurisprudenza del giudice amministrativo francese va nella stessa direzione. Così ha evidenziato il commissario governativo, J. Arrighi de Casanova in occasione del riconoscimento del carattere cultuale delle associazioni dei Testimoni di Geova, che né il giudice né l'amministrazione dovevano "avventurarsi nella valutazione della natura e ancor meno nel valore dei dogmi e delle credenze professate dai membri dell'associazione il cui carattere religioso è in questione"[35].

Secondo il presidente Jean Marie Woehrling, adottando queste conclusioni, il Consiglio di Stato ha "censurato" l'approccio del ministro delle Finanze che "per rifiutare certi vantaggi fiscali a un'associazione di Testimoni di Geova, aveva criticato alcune delle concezioni specifiche di questa religione" e ha sostenuto "che solo gli effetti sull'ordine pubblico delle concezioni religiose in questione potrebbero essere legittimamente prese in considerazione dall'autorità pubblica. Lo Stato non deve giudicare le convinzioni, anche quelle che possono apparire irragionevoli, deve intervenire sui comportamenti solo se dannosi"[36].

5. NESSUNA DISTINZIONE TRA LE RELIGIONI

Il diritto francese e internazionale non fanno una distinzione tra le religioni e, inoltre, non ne forniscono alcuna definizione.

Secondo il trattato sul diritto delle religioni:

Dai lavori preparatori emerge che il legislatore del 1905 non intendeva in alcun modo riservarlo alle sole religioni conosciute e praticate all'epoca: questa forma giuridica era destinata anche ad accogliere futuri culti. Le religioni Musulmana e Buddista hanno così potuto organizzarsi in associazioni religiose[37].

Questo approccio è sostenuto dal diritto internazionale.

Questa è la posizione del diritto dell'Unione Europea:

Secondo le Direttive contro la discriminazione, le caratteristiche espressamente protette sono: sesso, razza o etnia, età, disabilità, religione o convinzioni personali e orientamento sessuale ... Il termine "religione" dovrebbe essere interpretato in senso ampio e non dovrebbe essere inteso come limitato alle religioni tradizionali organizzate o consolidate.

Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite concorda anche con l'interpretazione che dà all'articolo 18 del Patto del 1966 sui diritti civili, civici e politici:

L'articolo 18 protegge le convinzioni teistiche, non teistiche e atee, nonché il diritto di non professare alcuna religione o credo. I termini credenza e religione dovrebbero essere interpretati in senso ampio.

Il Comitato è quindi preoccupato per qualsiasi tendenza a discriminare qualsiasi religione o credo per qualsiasi motivo, anche perché essendo di nuova costituzione o perché rappresenta minoranze religiose rischia di affrontare l'ostilità di una comunità religiosa dominante[38].

L'interpretazione della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo è in armonia con quella del Comitato per i Diritti Umani:

Il contenzioso con le religioni maggioritarie è di poco rilievo, perché ne si conoscono i dogmi ed esistono rapporti stabili con gli stati. D'altra parte, la questione è più delicata con le religioni minoritarie e i nuovi gruppi religiosi che a volte sono definiti "sette" a livello nazionale. Tuttavia, dall'attuale giurisprudenza della Corte emerge che tutti i gruppi religiosi e i loro seguaci godono di pari garanzia ai sensi della Convenzione[39].

In una recente sentenza della Grande Camera, la Corte Europea ricorda che il rifiuto di concedere personalità giuridica a un'organizzazione religiosa e il rifiuto di riconoscerla come religione costituiscono una grave ingerenza nella libertà di religione, violano il principio di neutralità e imparzialità e minano l'autonomia del culto, viste "le ripercussioni di queste decisioni sul proseguimento delle pratiche religiose".

Quindi, per quanto riguarda la Chiesa Metropolitana di Bessarabia, un ramo di minoranza della Chiesa Ortodossa:

... la Corte ha osservato che, non essendo riconosciuta, la Chiesa ricorrente non poteva svolgere le sue attività. In particolare, i suoi sacerdoti non possono officiare, i suoi membri non possono riunirsi per praticare la loro religione e, essendo sprovvista di personalità giuridica, non può beneficiare della tutela giuridica del proprio patrimonio[40].

Lo stesso vale per i Testimoni di Geova in un caso in cui "le autorità austriache avevano rifiutato di concedere la personalità giuridica ai Testimoni di Geova per quasi 20 anni". La Corte Europea in questo caso si è basata sul principio di "autonomia delle comunità religiose" che "è essenziale per il pluralismo in una società democratica"[41].

Allo stesso modo, in tre casi contro la Francia, la Corte ha anche riconosciuto che le misure adottate dalle autorità francesi (tassazione delle donazioni manuali) mirate alle pratiche e ai luoghi di culto delle tre organizzazioni religiose in questione costituivano un'interferenza nell'esercizio dei diritti tutelati dall'articolo 9 della Convenzione[42].

III - DEFINIZIONE E IDENTIFICAZIONE DELLA RELIGIONE [⬆︎]

Sebbene né il diritto francese né il diritto internazionale forniscano una definizione di culto o religione, ne condannano ogni approccio restrittivo.

Pertanto, è basandosi sulla giurisprudenza relativa ai Testimoni di Geova e alla Chiesa di Scientology, che la Grande Camera ha censurato il rifiuto della Turchia di riconoscere la comunità musulmana Alevita, sia come interferenza nella libertà di religione sia come una discriminazione:

Il diritto sancito dall'articolo 9 si rivelerebbe eminentemente teorico e illusorio se la libertà concessa agli Stati consentisse loro di dare al concetto di culto una definizione restrittiva al punto da privare della tutela legale una forma non tradizionale e minoritaria di una religione.

In questo caso, lo Stato turco aveva apertamente negato il carattere cultuale della religione Alevita classificandola tra gli "ordini Sufi proibiti (tarikat)" e non tra le religioni riconosciute, il che privava i suoi membri e organi di molte prerogative e vantaggi legali.

Per arrivare a questa classificazione, lo Stato turco aveva mantenuto una definizione della religione Alevita basata esclusivamente sul parere di esperti da lui nominati e non aveva prestato attenzione alla "Relazione finale redatta al termine di workshop aleviti" che descriveva tuttavia le caratteristiche specifiche di questa religione. La Corte Europea ha severamente censurato questo approccio, stabilendo che:

Per questo motivo, l'inquadramento così come la definizione della confessione Alevita ricade interamente ed esclusivamente sotto gli Aleviti[43].

La sentenza sostiene che lo Stato deve soprattutto tener conto del modo in cui la religione si definisce, adottando una definizione giuridica flessibile e ampia del termine religione, che consenta di tenere conto di tutti gli ordinamenti religiosi.

A. PLURALISMO RELIGIOSO

Sappiamo fino a che punto la giurisprudenza europea associ la libertà di religione e il pluralismo che è "inseparabile da una società democratica, acquisita a caro prezzo nel corso dei secoli"[44].

Tuttavia, il rispetto del pluralismo va di pari passo con il rispetto delle specificità di ciascuna religione, di cui lo Stato deve assolutamente tener conto. Il principio è ben stabilito nella giurisprudenza della Corte:

Inoltre, la Corte ritiene che, nell'esaminare la conformità di una misura nazionale con l'articolo 9 § 2 della Convenzione, deve tener conto del contesto storico e delle particolarità della religione in questione, siano esse dogmatiche, ritualistiche, organizzative o altro[45].

Nel caso degli Aleviti, la Corte Europea ha sanzionato la Turchia per la sua valutazione "che non tiene conto delle specificità di questa comunità". La sentenza sottolinea con forza il pluralismo come valore essenziale:

Agli occhi della Corte, senza tener conto delle esigenze specifiche della comunità alevita, lo Stato convenuto ha notevolmente ristretto il campo del pluralismo, in quanto il suo atteggiamento è difficilmente conciliabile con la sua missione di mantenere - rimanendo neutrale e imparziale sulla base di criteri oggettivi - un vero pluralismo religioso, caratteristico di una società democratica. A questo proposito, la Corte ricorda che il pluralismo si basa anche su un autentico riconoscimento e rispetto per la diversità e la dinamica delle tradizioni e delle identità culturali e delle convinzioni religiose[46].

Negando la qualità di culto alla comunità musulmana Alevita, la Turchia ha privato quest'ultima di tutti i vantaggi associati a questo status, a dispetto dell'effettivo diritto alla libertà di religione[47].

Inoltre, secondo la Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa, "un errore di definizione comune consiste nel richiedere una fede in Dio per qualificare un'attività come religione, mentre il Buddismo classico e l'Induismo, citando solo due ovvi esempi contrari, sono rispettivamente non-teisti e politeisti"[48].

B. RICONOSCIMENTO DELLA RELIGIONE SECONDO IL DIRITTO FRANCESE E INTERNAZIONALE

L'esistenza di una religione costituisce un fatto giuridico. Nel diritto internazionale, non esiste una definizione di religione, ma un insieme di indizi che ne consentono l'identificazione caso per caso.

Innanzitutto testi come la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e il Patto del 1966 sui diritti civili, civici e politici indicano in modo convergente che la libertà di religione implica "la libertà di manifestare la propria religione o le proprie convinzioni individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, attraverso il culto, l'insegnamento, le pratiche e la celebrazione dei riti".

Ne consegue che la religione può avere un aspetto privato o pubblico, individuale o collettivo e che si manifesta, tra le altre cose, attraverso pratiche, insegnamenti, culti e riti.

Il primo criterio è quindi l'esistenza di CONVINZIONI che devono soddisfare "un sufficiente grado di forza, serietà, coerenza e importanza", punto costante nella giurisprudenza[49].

Deve anche essere "una visione coerente sui problemi fondamentali"[50] o, come ha sostenuto fino a tempi recenti la Grande Camera della Corte Europea, "convinzioni religiose e filosofiche (che) riguardano l'atteggiamento degli individui nei confronti del divino (Sinan Isrk, sopra citato, §.49), in cui anche le percezioni soggettive possono essere importanti, dato che le religioni formano un grandissimo insieme dogmatico e morale che ha o può avere risposte a qualsiasi domanda di natura filosofica, cosmologica o etica"[51].

Il secondo criterio è che la religione è IDENTIFICABILE. Il decano Carbonnier lo ha suggerito indicando che la legge francese deve "registrare la presenza di una religione", il che si suppone sia identificabile dalle sue manifestazioni tangibili.

Questo criterio riecheggia l'espressione "religione determinata" che compare nella legislazione francese sulla legge sulla stampa. Ad esempio, l'articolo 32 della legge del 1881 punisce "la diffamazione commessa con gli stessi mezzi contro un gruppo di persone non designate dall'articolo 31 di questa legge, ma che appartengono, per origine, a una razza o a una religione specifica".

Si tratta di riconoscere l'esistenza di un gruppo di persone unite da convinzioni religiose che, per essere tutelate dalla legge, devono essere identificabili. Ciò risulta dal memorandum esplicativo alla proposta di legge volto a sopprimere l'incitamento all'odio razziale e a rendere più efficace la legislazione sulla repressione delle attività razziste e antisemite. Il relatore della legge indica che:

Questo gruppo è un semplice insieme di persone che presentano un unico carattere comune: il carattere razziale, insufficiente da solo a creare tra loro delle articolazioni e dei legami, fattori di coesione essenziali per farne un organismo con una propria personalità[52].

Il Consiglio di Stato condivide lo stesso approccio:

Perché se la Repubblica non riconosce alcun culto, la garanzia del loro libero esercizio suppone che si possa identificarli per consentire loro di beneficiare dei vantaggi che sono loro riservati e per imporre loro i vincoli che l'ordine pubblico richiede[53].

Se la Repubblica non riconosce alcuna religione, l'applicazione della legge presuppone quindi che ne debba conoscere alcune.

Secondo il presidente Woehrling, essendo neutrale e imparziale, "lo Stato non valuta le concezioni religiose in sé, ma tiene conto solo, ove appropriato, dei loro effetti concreti sulla vita collettiva e sulle loro aree di interesse"[54].

Questo è il significato della giurisprudenza europea. Ad esempio, un ricorrente in stato di detenzione ha affermato di appartenere a una religione Wica, ma "non ha mostrato alcun fatto per stabilire l'esistenza di una religione Wica"[55].

L'identificazione porta al terzo criterio, che è l'esistenza di una "comunità religiosa", nozione ben nota nel diritto e presente in molti testi. Pertanto, l'articolo I-52 della Carta dei diritti fondamentali prevede che:

L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui godono negli Stati membri, in virtù del diritto nazionale, le chiese e le associazioni o comunità religiose.

I tribunali francesi fanno spesso riferimento a questa nozione nella legge sulla stampa per identificare il gruppo diffamato o insultato a causa della sua appartenenza a una religione specifica:

La comunità dei cattolici uniti dalla loro fede comune e dalla loro fede nei dogmi e nelle regole della loro chiesa, espressi in particolare dal Papa, costituisce un gruppo sufficientemente definito da essere vittima di insulti[56].

La comunità religiosa è quindi un gruppo sociale unito da convinzioni religiose comuni, senza che necessariamente costituisca una persona giuridica[57].

La Corte Europea attribuisce la massima importanza a questa nozione collegandola da un lato all'autonomia delle chiese perché "le comunità religiose esistono tradizionalmente sotto forma di strutture organizzate" e, dall'altro, al principio di autonomia di culto caratterizzata dal "diritto di una comunità religiosa a un'esistenza autonoma (che) è al centro delle garanzie dell'articolo 9 della Convenzione".

In questo senso, la comunità deve potersi organizzare nella forma di persona giuridica che sia anche tutelata, "l'articolo 9 della Convenzione va interpretato alla luce dell'articolo 11, che tutela la vita associativa. contro ogni ingiustificata ingerenza dello Stato".

Questa esistenza autonoma è essenziale anche per il pluralismo in una società democratica. È di interesse diretto non solo per l'organizzazione di queste comunità in quanto tali, ma anche per l'effettivo godimento del diritto alla libertà di religione da parte di tutti i loro membri.

IV. AUTONOMIA DELLE COMUNITÀ RELIGIOSE, LIBERA ORGANIZZAZIONE DEL CULTO E LIBERA SCELTA DELLO STATUTO DEL PERSONALE RELIGIOSO [⬆︎]

A. PRINCIPIO DELL'AUTONOMIA NELLA SCELTA DELL'ORGANIZZAZIONE RELIGIOSA E DEL SUO FUNZIONAMENTO

Quando l'articolo 4 della legge del 1905 fa riferimento alle "regole dell'organizzazione generale del culto che [le associazioni religiose] si propongono di esercitare", sancisce il principio di autonomia e libera organizzazione del culto.

Questo principio è stato affermato sin dall'inizio dalla Commissione Briand nel suo rapporto sulla legge del 1905:

...avrete concesso alla Chiesa solo quello che ha il diritto di esigere, ovvero la piena libertà di organizzarsi, di vivere, di svilupparsi secondo le sue regole e con i suoi mezzi, senza altre restrizioni che il rispetto della legge e dell'ordine pubblico[58].

Uno degli autori della formula adottata dal legislatore è stato Jean Jaurès che, tra i primi, ha capito che la Separazione non sarebbe stata possibile senza permettere alla Chiesa Cattolica di organizzarsi secondo i propri principi[59]. Durante la votazione della legge, ha dichiarato che "è rispettando l'organizzazione generale delle Chiese e non organizzando scismi che faremo progredire questo paese..."[60].

Il relatore della legge, Aristide Briand, ha sempre ritenuto che la libera organizzazione del culto fosse una regola essenziale e che si applicasse a tutte le religioni:

Una legge di separazione tra le Chiese e lo Stato può essere veramente equa solo a condizione di rispettare la costituzione intima di tutte le Chiese e di consentire loro, dopo l'abrogazione del fondo per i culti, un'organizzazione che possa permettere loro di raccogliere le risorse necessarie per la continuazione del loro lavoro. Distruggere le loro strutture ecclesiastiche, costringerli ad adottare un regime contrario alle loro tradizioni e ai loro bisogni sarebbe una misura oppressiva. È quindi della massima importanza conoscere i principi e la forma ecclesiastica di ogni confessione religiosa[61].

Il rapporto Briand ha inoltre dedicato lunghi sviluppi all'organizzazione di ciascuno dei culti tradizionali.

Ha ricordato l'importanza del principio della libera organizzazione del culto in numerose occasioni durante i dibattiti, sottolineando in particolare che:

Queste Chiese (Cattolica, Apostolica e Romana; Israelita; Protestante) hanno costituzioni che non possiamo ignorare; è uno stato di cose essenziale.

... quello che dobbiamo loro [alle chiese] è il diritto di organizzarsi liberamente[62].

Queste Chiese hanno costituzioni che non possiamo ignorare. È uno stato di cose imperativo, e il nostro primo dovere di legislatori, in un momento in cui siamo chiamati a regolare le sorti delle Chiese nello spirito di neutralità in cui concepiamo la riforma, consiste nel non fare nulla che rappresenti un attacco alla libera costituzione delle Chiese[63].

Il 22 aprile 1905 i parlamentari votarono l'emendamento all'articolo 4 con una schiacciante maggioranza di 482 voti contro 52 e Jaurès, per sottolineare l'importanza di questo voto, gridò: "Signori, la Separazione è fatta!".

Anche al Senato l'articolo 4 suscitò un grande dibattito. Clemenceau si era opposto con forza perché costituiva un riconoscimento dell'organizzazione interna delle chiese. Ma non servì e il testo fu adottato, ancora una volta con una schiacciante maggioranza di 254 voti contro 4.

La legge del 1905 è quindi un testo che consente a ciascuna Chiesa di organizzarsi secondo i propri canoni, i propri principi, le proprie regole di governo.

Secondo il Trattato sul diritto delle religioni:

Il principio della libertà di religione implica il diritto per tutte le organizzazioni religiose di organizzarsi come meglio credono, attingendo agli strumenti legali esistenti per scegliere le forme legali o gli statuti per i rappresentanti del culto ... non possiamo costringere quindi un gruppo religioso a scegliere una forma giuridica piuttosto che un'altra o a rinunciare ad alcune di queste forme ... la specificità della situazione delle persone investite di missioni religiose implica che la legge ne tenga conto e, se necessario, assegni un quadro giuridico specifico per i rappresentanti del culto ... allo stesso modo è giustificato riconoscere legalmente la facoltà per un'istituzione religiosa di non scegliere come inquadramento il diritto del lavoro per considerare un impegno religioso[64].

B. RIFIUTO DELLA CHIESA E VOTO DELLA LEGGE DEL 2 GENNAIO 1907

I cattolici furono tuttavia i primi a respingere le associazioni cultuali della legge del 1905, questo per mezzo di due encicliche papali del 1906, Vehementer nos e Gravissimo officii munere.

Per rimediare parzialmente a questa situazione, Aristide Briand, allora Ministro incaricato dei Culti, approvò la legge del 2 gennaio 1907 relativa all'esercizio pubblico del culto, della quale uno degli articoli recita:

Indipendentemente dalle associazioni soggette alle disposizioni del Titolo IV della legge 9 dicembre 1905, il pubblico esercizio del culto può essere assicurato sia mediante associazioni disciplinate dalla legge del 1 luglio 1901 (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 12 e 17) sia mediante riunioni tenute su iniziativa individuale ai sensi della legge del 30 giugno 1881 e secondo le prescrizioni dell'articolo 25 della legge 9 dicembre 1905.

Consentendo così la libera scelta di una struttura giuridica invece di imporre il modello di associazione religiosa, il legislatore ha rafforzato e promosso il principio della libera organizzazione del culto. Infatti, molte comunità religiose rifiutano le associazioni religiose a causa del loro oggetto troppo limitativo e delle regole organizzative molto complesse e restrittive.

Ma questo non ha convinto subito la Chiesa Cattolica, che ha chiesto un accordo speciale con lo Stato francese.

C. ACCETTAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DIOCESANE SENZA ESERCIZIO DI CULTO DELLA LEGGE DEL 1905

Nel 1923, dopo un riavvicinamento diplomatico con il governo, diversi giureconsulti diedero un parere sulla Chiesa Cattolica:

L'articolo 2 [della legge del 1905], che dice che la Repubblica non riconosce alcuna religione, non significa che i culti siano aboliti o che la legge intende ignorarli, ma semplicemente che i culti, che in precedenza erano chiamati "culti riconosciuti", saranno d'ora in poi autonomi e governati da regole proprie, regole che lo Stato, ai sensi dell'articolo 4 della legge, si impegna a rispettare[65].

Degli statuti di un'associazione diocesana videro quindi la luce e furono sottoposti al Consiglio di Stato, che ne ammise la compatibilità con la legge del 1905 e il rispetto dovuto alla libera organizzazione della religione Cattolica[66].

Da allora, il culto Cattolico è stato praticato al di fuori delle associazioni della legge del 1905, in organizzazioni canoniche, associazioni di culto diocesane aventi l'unico scopo di "provvedere alle spese e al mantenimento del culto Cattolico".

È quindi evidente che anche tutte le altre religioni hanno diritto al rispetto del loro modello organizzativo e del loro diritto canonico, altrimenti il loro trattamento sarebbe discriminatorio.

Questo è inoltre ciò che la giurisprudenza europea sancisce facendo del principio dell'autonomia delle religioni una regola cardinale:

Poiché le comunità religiose esistono tradizionalmente sotto forma di strutture organizzate, l'articolo 9 deve essere interpretato in combinazione con l'articolo 11 della Convenzione che protegge la vita comunitaria da interferenze ingiustificate da parte dello Stato. Visto in questa luce, il diritto dei credenti alla libertà di religione, che include il diritto di esprimere le proprie convinzioni in gruppi, porta con sé la speranza per i credenti di potersi associare liberamente senza l'intervento arbitrario dello Stato. Infatti, l'esistenza autonoma delle comunità religiose è essenziale per il pluralismo di una società democratica e quindi è una questione centrale della protezione garantita dall'articolo 9. Il dovere di neutralità e imparzialità dello Stato definito dalla giurisprudenza della Corte è incompatibile con qualsiasi potere da parte dello Stato di valutare la legittimità delle credenze religiose[67].

A questo proposito, la Corte Europea ha chiaramente imposto agli Stati l'obbligo di rispettare tutti gli aspetti specifici e particolari di ciascuna religione, come già ricordato.

Si pone quindi il problema del riconoscimento di una religione e quello dei vantaggi ad essa attribuiti dal diritto francese.

V. IL PRESUNTO RICONOSCIMENTO DELLE RELIGIONI ATTRAVERSO LE ASSOCIAZIONI CULTUALI [⬆︎]

Neutralità, uguaglianza delle religioni e pluralismo vanno di pari passo, come ha stabilito il Consiglio di Stato:

Il principio costituzionale della laicità implica la neutralità dello Stato e la parità di trattamento delle diverse religioni[68].

E ha anche ricordato che la laicità "deve almeno essere scomposta in tre principi: quelli della neutralità dello Stato, della libertà religiosa e del rispetto del pluralismo"[69].

Poiché dopo la legge del 1907, l'associazione prevista dalla legge del 1905 è solo una delle forme giuridiche con cui può avvenire l'esercizio pubblico del culto, è assurdo affermare, come fanno molti, che il riconoscimento di una religione debba passare attraverso la verifica del carattere religioso delle sue associazioni utilizzando vari meccanismi come l'editto prefettizio, l'esenzione dall'imposta fondiaria, l'accettazione di donazioni e lasciti, ecc., l'assenza di diritti di trasferimento per donazioni manuali, ecc.

Ciò equivarrebbe a imporre a un movimento religioso un modello organizzativo non conforme al suo diritto canonico e vincoli che gli impedirebbero di funzionare secondo le sue regole interne.

È quindi necessario che i culti scelgano la forma giuridica più consona al loro modello religioso (ad esempio associazioni religiose o associazione del 1901 con fine religioso) senza che questa scelta li penalizzi privandoli dello status di culto e dei suoi vantaggi.

Tutte le religioni sono uguali e dovrebbero godere degli stessi benefici, il che implica anche l'adozione di una concezione pragmatica e aperta del concetto di esercizio esclusivo del culto, nonché delle attività accessorie a questo esercizio.

L'approccio Giudaico-Cristiano alla nozione di culto deve essere abbandonato a favore di un criterio oggettivo che consenta di identificare una religione.

A. CULTO E ASSOCIAZIONE CULTUALE NON SONO SINONIMI

1. ASSOCIAZIONI CULTUALI E DEFINIZIONE RESTRITTIVA DI CULTO

L'articolo 18 della legge del 9 dicembre 1905 fa riferimento alle "associazioni costituite per far fronte alle spese, al mantenimento e al pubblico esercizio del culto" e l'articolo 19 specifica che "queste associazioni devono avere esclusivamente per oggetto l'esercizio del culto".

Da queste disposizioni deriva il fatto che le associazioni che rivendicano lo status di culto devono "svolgere attività aventi come unico oggetto l'esercizio del culto, come l'acquisizione, la locazione, la costruzione, lo sviluppo e il mantenimento di edifici adibiti al culto nonché al mantenimento e alla formazione di ministri e altre persone che contribuiscono all'esercizio del culto".

La giurisprudenza indica che "l'esercizio da parte di un'associazione di attività diverse da quelle sopra richiamate, a meno che tali attività siano direttamente collegate all'esercizio del culto e siano di natura strettamente accessoria" è sufficiente per "escluderla dal beneficio dello status di associazione religiosa"[70].

Il Commissario del Governo Arrighi de Casanova ha precisato a tal proposito che:

A nostro avviso si può accettare una ragionevole applicazione di tale requisito: poiché l'oggetto definito dallo statuto si riferisce esclusivamente all'esercizio di un culto, la circostanza che l'associazione eserciti di fatto attività diverse da quelle elencate nel parere del 1989 non è necessariamente tale da farle perdere il suo carattere, se almeno è accertato che tali attività siano veramente accessorie, il che presuppone:

- che il loro rilievo rimanga secondario;

- e soprattutto che siano direttamente collegate all'esercizio del culto.

Ad esempio, la semplice distribuzione di un notiziario parrocchiale non deve impedire a un'associazione di essere riconosciuta come religiosa, mentre viceversa l'associazione che di fatto provvede in modo permanente la distribuzione e la vendita di opuscoli oltre alle sue attività strettamente religiose non può, quali che siano le disposizioni dei suoi statuti, beneficiare di questa qualifica.

Quindi, in ultima analisi, è l'oggetto delle associazioni che si limitano esclusivamente all'esercizio del culto la chiave di volta del sistema. Pertanto, se limitiamo la definizione di culto, limitiamo in tal modo quella dell'oggetto dell'associazione, e quindi la definizione di religione.

Nel parere del 24 ottobre 1997, il Consiglio di Stato ha adottato una definizione di culto ispirata a quella data dal suo Commissario del Governo:

La celebrazione di cerimonie organizzate da persone unite dalla stessa fede religiosa, per la realizzazione di certi riti o di certe pratiche[71].

A questo proposito il Commissario scriveva che:

Il riconoscimento dell'esistenza di un culto presuppone quindi un'unione tra un elemento soggettivo e un elemento oggettivo:

- Il primo è costituito da una credenza o una fede in una divinità;

- Il secondo, che materializza il primo, è l'esistenza di un incontro comunitario per praticare questo credo durante le cerimonie.

Ha giustificato la sua definizione molto restrittiva considerando che la celebrazione delle cerimonie è un "elemento materiale ... fondamentale", da un lato, "perché permette di differenziare la nozione di culto - che ha uno status giuridico - da quella di religione - che ne è priva" e, dall'altro, "perché indica chiaramente i limiti dell'esercizio: è solo perché il legislatore ha ritenuto opportuno interessarsi alle condizioni materiali in cui si sarebbero organizzate tali celebrazioni, e più particolarmente allo statuto e il modo di gestione degli edifici che gli sono dedicati, che l'amministrazione e il giudice devono interrogarsi sull'esistenza di un culto. E devono farlo solo nel quadro della legge del 1905, e rispetto all'oggetto di questo testo"[72].

Questa analisi appare inconciliabile con la legge del 1905, in quanto istituisce, attraverso vantaggi fiscali, un sistema di riconoscimento restrittivo che è espressamente vietato dal testo, salvo quando va a vantaggio di tutte le religioni allo stesso modo.

Inoltre, il diritto internazionale richiede un approccio molto ampio al concetto di religione che è incompatibile con una definizione che enfatizzi la celebrazione delle cerimonie. La religione può essere esercitata in molti modi diversi dalle cerimonie collettive. L'espressione religiosa non può in alcun modo essere ridotta a un gruppo limitato di pratiche e riti.

Infine, va tenuto presente che nella tradizione costituzionale francese, culto e religione sono generalmente sinonimi.

2. SIMILITUDINE DELLE PAROLE CULTO E RELIGIONE NELLA TRADIZIONE COSTITUZIONALE FRANCESE

Questa restrittiva definizione di culto è tanto più illegittima in quanto non è conforme alla tradizione costituzionale della Francia dopo la rivoluzione del 1789. In effetti, se esaminiamo i testi, vediamo spesso che i termini religione e culto sono intercambiabili.

La Costituzione del 1791, che pone la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino (DDHC) all'inizio del testo, menziona unicamente opinioni, anche religiose, assicurando che ogni cittadino non si dovrà preoccupare di tali opinioni. Il suo preambolo indica che la legge "non riconosce più né i voti religiosi né qualsiasi altro impegno che sarebbe contrario ai diritti naturali o alla Costituzione". Non si fa riferimento al culto.

Il decreto dell'Assemblea Costituente del 2 novembre 1789 votò per la nazionalizzazione dei "beni ecclesiastici" che "sono a disposizione della Nazione, con l'incarico di provvedere, in maniera adeguata, alle spese del culto e al mantenimento dei suoi ministri". Ma menziona anche "il mantenimento dei ministri della religione", considerando come sinonimi il ministro del culto e il ministro della religione.

Anche la Costituzione del 1791 mette all'inizio una DDHC (Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen), il cui articolo 10 ritorna alla formula del 1789: "nessuno deve preoccuparsi delle sue opinioni, anche religiose"; il preambolo di questa costituzione condanna i "voti religiosi" che sarebbero contrari ai "diritti naturali o alla Costituzione". Ma, nel suo primo titolo sulle disposizioni fondamentali sui diritti naturali e civili, evoca la libertà di ogni uomo "di esercitare il culto religioso a cui è legato", "i beni destinati alle spese del culto", l'elezione e la scelta dei "ministri del culto" e, nel titolo V, "lo stipendio dei ministri del culto Cattolico". Il culto e la religione sono quindi ancora sinonimi.

Anche la Costituzione del 24 giugno 1793 ha una DDHC, il cui articolo 7 prevede che "il libero esercizio del culto non può essere vietato" e, nella parte dedicata alla garanzia dei diritti, un articolo 122 che prevede che "la Costituzione garantisce a tutti i francesi ... il libero esercizio del culto".

Il decreto del 3 ventoso Anno III (21 gennaio 175) pubblicato sotto il Direttorio è importante perché è il primo sistema di Separazione tra Chiese e Stato che, del resto, sembra essere servito da modello per la legge del 1905. È quanto sostiene il deputato Plichon, per il quale il progetto "Briand riproduce nel suo spirito, a volte anche nei suoi termini esatti, la legge del 3 ventoso anno III sulla Separazione tra Chiese e Stato"[73].

È vero che il testo prevede che ai sensi dell'articolo 7 della DDHC e dell'articolo 122 della Costituzione, l'esercizio di qualsiasi culto non possa essere disturbato", e contiene poi una serie di articoli molto simili al testo. della legge del 1905:

- Articolo 2: "La Repubblica non ne stipendia alcuno" (i culti).

- Articolo 3: "Non procura locali né per l'esercizio del culto né per l'alloggio dei ministri".

- Articolo 4: "Sono vietate le cerimonie di ogni forma di culto fuori dai recinti prescelti per il loro esercizio".

- Articolo 5: "La legge non riconosce alcun ministro di religione ...".

- Articolo 6: "Ogni raduno di cittadini per l'esercizio del culto è soggetto alla vigilanza delle autorità costituite".

- Articolo 7: "Nessun simbolo specifico del culto può essere collocato in un luogo pubblico ...".

Sebbene il decreto accenni all'esercizio del culto e ai ministri del culto, il vice Chénier che ne era il relatore, nel frattempo, parlò della volontà di garantire "ad ogni individuo la completa libertà di seguire e ideare qualsiasi religione che gli aggraderà" intendendo che "ciascuno pagherà il culto che vuole e non ne pagherà altri". Ancora una volta, culto e religione sono sinonimi, sebbene sia un testo che chiaramente è servito da ispirazione per Aristide Briand.

La Costituzione del 5 fruttidoro Anno III mescola ancora una volta culto e religione, termini usati in modo intercambiabile.

Il suo articolo 12 stabilisce che "l'esercizio dei diritti dei cittadini è perso ... 2° per affiliazione a qualsiasi ente straniero che supponga distinzioni di nascita, o che richieda voti religiosi", mentre il suo articolo 352 indica che "la legge non riconosce né i voti religiosi né alcun impegno contrario ai diritti umani naturali". Tuttavia, l'articolo 354 stabilisce che "a nessuno può essere impedito di esercitare, in conformità con le leggi, il culto che ha scelto. Nessuno può essere costretto a contribuire alle spese di un culto. La Repubblica non ne sovvenziona alcuno".

Allo stesso tempo, il Concordato concluso con il Vaticano il 15 luglio 1801 prevede: "Il governo della Repubblica francese riconosce che la religione Cattolica, Apostolica e Romana è la religione della grande maggioranza dei francesi" e aggiunge che "Sua Santità riconosce anche che questa stessa religione si è ritirata e attende ancora in questo momento il massimo bene e la massima gloria dall'istituzione del culto Cattolico in Francia e dalla particolare professione che ne fanno i Consoli della Repubblica".

L'articolo 1 prevede poi che "la religione Cattolica, Apostolica e Romana sarà esercitata liberamente in Francia. Il suo culto sarà pubblico, nel rispetto delle norme di polizia che il Governo ritiene necessarie per la quiete pubblica". Poi molte altre disposizioni fanno riferimento al "culto". Ad esempio, quelle relative all'assegnazione di alcuni edifici "necessari al culto", ai reati commessi "nell'esercizio del culto", agli attacchi "alla pratica pubblica del culto", al fatto che "il culto Cattolico sarà esercitato sotto la direzione degli arcivescovi e dei vescovi e anche agli "altri culti autorizzati". In breve, si fa riferimento sia alla religione Cattolica sia al culto Cattolico come sinonimo.

La Costituzione del 22 frimaio Anno VIII (Consolato) e quella del 16 termidoro Anno X (Consolato a vita) non contengono alcuna disposizione sul culto o sulla religione. Ma, quello del 28 floreale anno XII, cioè quello dell'Impero, prevede un giuramento in cui l'Imperatore "giura di mantenere l'integrità del territorio della Repubblica, di rispettare e di assicurare il rispetto delle leggi del concordato e la libertà dei culti".

Allo stesso modo, l'atto aggiuntivo alle Costituzioni dell'Impero del 22 aprile 1815 richiama il culto prevedendo nell'articolo 62 che "La libertà di culto è garantita a tutti" e nell'articolo 67 che "Il popolo francese dichiara che, nel delegare i suoi poteri, non ha inteso e non intende conferire il diritto di proporre ... né il diritto di ristabilire ... né alcun culto privilegiato ... ".

La Carta Costituzionale del 4 giugno 1814 ritorna a mischiare culto e religione usandoli in modo paritario, prevedendo che, nei confronti degli stranieri, "anche i loro culti sono protetti dalla legge" e che "ciascuno professa la propria religione con uguale libertà e ottiene per il proprio culto la stessa protezione" (art. 5), pur affermando che "tuttavia la religione Cattolica, Apostolica e Romana è la religione di Stato" (art. 6) e che "i ministri della religione Cattolica, Apostolica e Romana, professati dalla maggioranza dei francesi e di altri Culti cristiani, ricevono stipendi dall'erario" (art. 7).

La legge del 25 marzo 1822 relativa alla repressione e al perseguimento dei crimini commessi a mezzo la stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicazione è stata quindi adottata per reprimere "chiunque abbia insultato o deriso la religione di Stato" e prevedeva le stesse pene "contro chiunque avrebbe insultato o deriso qualsiasi altra religione la cui istituzione fosse legalmente riconosciuta in Francia".

La Carta costituzionale del 14 agosto 1830 aboliva la religione di Stato e disponeva: "Ognuno professi la propria religione con uguale libertà e ottenga la stessa protezione per il suo culto" (art. 5) e che "i ministri della religione Cattolica, Apostolica e Romana, professata dalla maggioranza dei francesi e da quelli di altri culti Cristiani, ricevono stipendi dall'erario" (art. 6).

Nella costituzione del 4 novembre 1848 della II Repubblica, "La Repubblica deve proteggere il cittadino nella sua persona, la sua famiglia, la sua religione", e "ciascuno professa liberamente la propria religione, e riceve dallo Stato, per l'esercizio del suo culto, uguale protezione. I ministri delle religioni attualmente riconosciute dalla legge, o di quelle che saranno riconosciute in futuro, hanno diritto a ricevere uno stipendio dallo Stato".

La Costituzione del 14 gennaio 1852 del Secondo Impero afferma che il Senato è contrario alla promulgazione di leggi contrarie a "religione, libertà di culto, libertà individuale ...", mentre l'articolo 26 del consulto del senato del 14 marzo 1867 ribadisce la stessa disposizione.

Le leggi costituzionali del 1875 riguardanti la Terza Repubblica non contengono alcuna disposizione sulla religione o sul culto, ma queste disposizioni compaiono nella legge del 9 dicembre 1905 e in quella del 2 gennaio 1907.

È certo, leggendo il rapporto della Commissione Briand, che culto e religione furono usati come sinonimi, come negli esempi seguenti:

- Questo famoso editto, dopo aver notato che il culto Cattolico era stato ristabilito dove era stato soppresso e dopo aver riconosciuto al clero tutti i loro beni e diritti precedenti, assicurò alla religione riformata la legalità[74].

- I ministri della religione non erano investiti di alcuna autorità amministrativa

Oppure:

Questa organizzazione del culto israelita era opera di Napoleone. Venne, dopo il Concordato e le leggi organiche dell'anno X, a completare il corpus legislativo che disciplina l'esercizio delle tre religioni riconosciute dallo Stato[75].

- Si cercherebbe invano la minima traccia di un secondo fine di persecuzione contro la religione Cattolica. I tre culti riconosciuti in Francia vi ricevono lo stesso trattamento[76].

Si potrebbe quindi facilmente sostituire la parola culto nella legge del 1905 con quella di religione e scrivere che la Repubblica "garantisce il libero esercizio delle religioni sotto le sole restrizioni di seguito enunciate nell'interesse dell'ordine pubblico" (art.1 ), che "non riconosce, paga o sovvenziona alcuna religione" (articolo 2), e richiama anche "l'organizzazione generale della religione" (articolo 4), designare le associazioni religiose come "associazioni religiose" il cui "oggetto esclusivo" sarebbe "provvedere ai costi, al mantenimento e all'esercizio della religione" (articolo 18), designando "I ministri del culto" come "ministri della religione" (art. 14, 24 ecc.). Ciò sarebbe del tutto possibile e in conformità con la tradizione costituzionale francese.

Tanto più che, dalla Costituzione del 1946 per la Quarta Repubblica, non si tratta più di culto, ma di religione, opinioni o credenze religiose. Il preambolo a quest'ultima afferma che:

... il popolo francese proclama ancora una volta che ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione o credo, ha diritti inalienabili e sacri. Riafferma solennemente i diritti e le libertà dell'uomo e del cittadino sanciti nella Dichiarazione dei diritti del 1789 e dei principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica.

La Francia forma con i popoli d'oltremare un'unione basata su uguali diritti e doveri, senza distinzione di razza né di religione.

Il Preambolo alla Costituzione del 4 novembre 1958 fa riferimento ai "Diritti umani e ai principi di sovranità nazionale come definiti dalla Dichiarazione del 1789, confermati e completati dal preambolo della Costituzione del 1946", e il suo primo articolo afferma che:

La Francia è una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Garantisce l'eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini senza distinzione di origine, razza o religione. Rispetta tutte le convinzioni.

Così, la tesi, a volte ripresa dai migliori autori, secondo la quale "l'espressione [Culto] permette di racchiudere tutte le religioni presenti ma anche di pretendere di conoscere la religione solo nel suo aspetto visibile, sociale e puramente esteriore", non corrisponde alla storia costituzionale francese. Infatti, i vari testi costituzionali hanno talvolta utilizzato il termine "religione", talvolta quello di "culto", e spesso entrambi contemporaneamente, in modo sinonimo e intercambiabile.

Inoltre, se lo Stato non deve conoscere dogmi, credenze o opinioni religiose perché la libertà di coscienza è assoluta e si occupa solo delle loro manifestazioni esterne, il culto in senso stretto, cioè, le cerimonie, non sono le uniche manifestazioni esterne che consentirebbero di identificare una religione al fine di applicare il regime previsto per i culti da un punto di vista fiscale, per gli edifici per il culto ecc., e per far rispettare l'ordine pubblico.

A questo proposito, nei testi internazionali, il culto, nel senso stretto del termine, è solo una delle manifestazioni della religione: "la libertà di manifestare la propria religione o credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, attraverso il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'esecuzione di riti".

Lo Stato può quindi identificare una religione attraverso le sue manifestazioni, sia private che pubbliche, nonché individuali o collettive, attraverso pratiche, riti o insegnamenti, oltre al culto.

Pertanto, non vi è alcuna giustificazione per adottare una definizione restrittiva della parola culto ai sensi della legge del 1905 con il pretesto che le cerimonie sono l'unico mezzo per identificare un culto dalle sue manifestazioni esterne.

B. UNA DEFINIZIONE RESTRITTIVA DELLA PAROLA CULTO CAUSA UNA VIOLAZIONE DELLA LIBERTÀ DI RELIGIONE E DISCRIMINAZIONE

Limitando il culto alle sole cerimonie pubbliche, il Consiglio di Stato ha adottato una definizione restrittiva di religione e ha aperto la porta alla discriminazione per tutte le religioni che non desiderano organizzarsi in associazioni ai sensi della legge del 1905, o per chi non lo può fare.

Tuttavia, è tutt'altro che certo che una tale definizione sia l'unica compatibile con un'associazione religiosa, come possiamo vedere con le varie costituzioni francesi.

Checché se ne dica, il sistema francese condiziona il riconoscimento di una religione al passaggio di associazione religiosa e, così facendo, priva parte delle religioni dei notevoli vantaggi fiscali legati allo statuto delle religioni.

Una definizione restrittiva di religione è tuttavia incompatibile con l'articolo 9 della Convenzione Europea e con il diritto internazionale in generale, poiché il rifiuto del riconoscimento religioso ha un grave impatto sull'esercizio della religione, ed è contrario al principio dell'autonomia organizzativa delle religioni.

Inoltre, il sistema genera discriminazione tra nuove religioni e culti Giudaico-Cristiani o orientali in cui predominano le cerimonie del culto.

Tuttavia, la Francia è stata condannata per discriminazione nel caso cosiddetto Union of Atheists, per aver privato questa associazione dei vantaggi fiscali legati al regime delle associazioni religiose. Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa associazione non può essere considerata un'associazione religiosa poiché riunisce coloro che considerano Dio un mito[77].

Il professor Rolland sottolinea che "il giudice indica quindi indirettamente che la nozione di culto è legata a quella di Dio. Inoltre, l'ateismo non sviluppa realmente attività rituali".

Applicato per distinguere un'associazione filosofica da un'associazione religiosa, ciò è del tutto legittimo. Ma il criterio diventa discriminatorio non appena distingue tra religioni, soprattutto perché i Buddisti sono costituiti in associazioni secondo la legge del 1905 in quanto è una religione non teista.

Sappiamo, però, che "il commissario del governo ha concluso su questo punto che bisognava attenersi a un significato stretto della nozione di culto, che il dizionario Larousse definisce "omaggio reso a una divinità o a un santo personaggio".

La Commissione Europea dei Diritti dell'Uomo, tuttavia, ha respinto questa concezione discriminatoria. Dopo aver analizzato a lungo il sistema francese, ha deciso che:

… Il governo non ha fornito alcuna giustificazione per la disparità di trattamento operata dalla legislazione francese in termini di donazioni tra associazioni religiose da un lato e altre associazioni dall'altro. La Commissione, da parte sua, non vede alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole per mantenere un sistema che svantaggi in tal modo le associazioni non cultuali.

La Commissione rileva infatti che l'obiettivo della ricorrente è quello di riunire tutti coloro che considerano Dio un mito. Ammette che un simile atteggiamento non sembra, a prima vista, idoneo a qualificarla come associazione religiosa. Il ricorrente, tuttavia, esprime solo una certa concezione metafisica dell'uomo, che condiziona la sua percezione del mondo e giustifica la sua azione. Pertanto, per la Commissione, il tenore filosofico, sebbene fondamentalmente diverso in entrambi i casi, non sembra un argomento sufficiente per distinguere l'ateismo da un culto religioso in senso classico e per servire come base per uno status giuridico così diverso[78].

La Francia è stata quindi condannata per discriminazione ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione congiuntamente all'articolo 11 perché c'era disuguaglianza tra le associazioni a seconda delle credenze, religiose o meno, da esse professate.

A seguito di questa condanna, il governo francese ha ritenuto nella sua risposta al Comitato dei Ministri che la legge del 1987 sullo sviluppo del patrocinio conferisse a questo tipo di associazioni non religiose capacità finanziarie identiche a quelle delle associazioni ai sensi della legge del 1905: il diritto a ricevere donazioni e in particolare donazioni manuali[79].

Poi, la legge del 1 agosto 2003 ha fatto ulteriormente scomparire alcune differenze tra le associazioni del 1901 e le associazioni religiose in materia di donazioni poiché, d'ora in poi, le organizzazioni di interesse generale di cui all'articolo 200 del codice fiscale generale beneficiano anche dei vantaggi dell'articolo 757 del CGI [Codice Generale delle Imposte]. Le donazioni manuali effettuate ad associazioni di interesse generale, danno diritto ad una riduzione dell'imposta sul reddito pari al 60% dell'importo delle donazioni effettuate entro il limite del 20% del reddito imponibile, per le persone fisiche, e a una riduzione dell'imposta sul reddito o imposta sulle società pari al 60% dell'importo delle donazioni effettuate entro il limite del 5% del proprio fatturato, per le aziende.

Questa modifica legislativa per armonizzare lo statuto delle associazioni religiose con quello delle associazioni di interesse generale, anche di natura filosofica, dimostra che lo Stato francese è consapevole del suo obbligo di garantire vantaggi simili in situazioni simili.

Deve quindi giustificare con considerazioni del tutto oggettive una disparità di trattamento fiscale, tanto più se quest'ultima ha un impatto significativo sul libero esercizio del culto.

Tuttavia, come giustificare una distinzione di sistema fiscale sfavorevole come quella che esiste oggi tra associazioni religiose delle legge del 1905 e associazioni religiose della legge del 1901, quando fu giudicata discriminatoria per un'associazione filosofica e considerando che la legge del 1907 era stata appunto approvata per consentire l'esercizio del culto sotto forma di associazioni del 1901?

Dal momento in cui la definizione di culto è limitata esclusivamente alle cerimonie pubbliche e le associazioni di culto non ammettono alcuna altra attività, se non strettamente incidentale, viene direttamente violata la libertà di religione compreso il sistema di credenze e l'organizzazione che non si concentra sulle cerimonie religiose.

Tuttavia, il principio di autonomia e libero esercizio del culto è così importante che "in determinate circostanze, l'assenza di un trattamento differenziato nei confronti di persone poste in situazioni significativamente diverse può costituire una violazione di questa disposizione"[80].

Inoltre, l'intera storia francese dei culti non è altro che una lotta perché ogni religione adotti un modello conforme alla propria costituzione assicurandosi che il legislatore lo rispetti, come ha fatto la Chiesa Cattolica con le associazioni diocesane, o con lo status sociale dei suoi ministri di religione, o come la religione Protestante maggioritaria che non affilia i suoi ministri al fondo religioso ma al regime generale.

Le religioni minoritarie devono essere in grado di adattare il sistema legale alla propria organizzazione e godere degli stessi vantaggi dei culti tradizionali.

Nell'attuale sistema, tali religioni sono private dei vantaggi fiscali dell'associazione religiosa e soprattutto del "riconoscimento", che si traduce nel ristabilire insidiosamente il sistema delle religioni riconosciute, privando le nuove religioni dei benefici della legislazione sui culti.

Il professor Patrice Rolland apre le porte a una soluzione in questi termini:

La definizione di culto data nel 1997 non evita il riferimento alla religione. Il giudice francese dovrà quindi eventualmente dare una definizione di religione. La possibilità non è astratta: tra i nuovi movimenti religiosi, non tutti si riferiscono chiaramente a Dio o a un Essere Supremo; alcuni sono addirittura qualificati come atei o religioni senza Dio. Gli sviluppi del ventesimo secolo hanno cancellato vecchie evidenze culturali o filosofiche.

Da un punto di vista laico, cioè quello che tiene conto solo della libertà di coscienza, la categoria appropriata è piuttosto quella della convinzione. Permette di includere tutte le credenze senza doverle qualificare come religiose o meno. La nozione di convinzione può essere caratterizzata in modo formale senza doverne analizzare il contenuto. La libertà è per tutte le credenze.

Il problema è che il legislatore del 1905 non voleva attenersi alla legge comune delle convinzioni e manteneva una nozione di culto che difficilmente può fare a meno del riferimento religioso.

Ciò implica la fede in Dio o in un riferimento trascendente.

Infine, si riferisce all'approccio del giudice europeo che è attaccato alla nozione di religione che deve essere "identificabile" e rappresentare "punti di vista che raggiungono un certo grado di forza, serietà, coerenza e importanza" che riguardano "problemi fondamentali". Questo criterio, scrive, è "abbastanza formale e copre un ampio campo di convinzioni al di là delle religioni proprie che si riferiscono alla trascendenza. Permette di integrare molte convinzioni in quelle cui spetta la tutela dell'articolo 9, in particolare tra i "nuovi movimenti religiosi"[81].

Questo approccio è lungi dall'essere ignorato nel diritto amministrativo. Il commissario governativo André Bonnet si è interrogato su questo e ha risposto in un articolo dal titolo "Che cos'è un edificio utilizzato per il culto?".

Per quanto lo riguarda, il giudice deve esercitare il controllo "sul contenuto e sulla realtà del culto invocato dinanzi a lui", altrimenti chiunque potrebbe godere di agevolazioni fiscali senza corrispondere a una religione. Inoltre, si chiede: "qual è, in fondo, la giustificazione giuridica per un regime di esenzione riservato solo alle associazioni cultuali?".

Secondo lui, "c'è necessariamente una base per la 'discriminazione' operata dalla legge del 1905, ed è questa base che rimuove precisamente il suo carattere apparentemente arbitrario. Tutta la difficoltà è identificarla". Alla fine, conclude, "questo fondamento non può che essere quello del riconoscimento, da parte dello Stato stesso, del fatto religioso, in senso stretto del termine".

L'espressione "fatto religioso" non è sinonimo di culto come definito dal Consiglio di Stato nel suo parere dell'ottobre 1997. È più vicino ai criteri di identificazione stabiliti dalla Corte Europea, che riguardano principalmente le credenze religiose.

M. Bonnet si riferisce anche alla "plausibilità di una comunicazione tra il naturale e il soprannaturale, tra l'umano e il sovrumano, tra l'umano e il divino, qualunque sia il termine che decidiamo di utilizzare per designare il più ampiamente possibile questa realtà".

Indica che "le forme possono quindi essere diverse: ma, per essere riconosciuto in diritto, il fatto religioso deve voler essere tale ed essere sostenuto da una dottrina esplicita in tal senso. D'altra parte, una semplice saggezza o un 'culto' che pretende di essere una negazione del principio del fatto trascendente non potrà essere riconosciuto come culto".

È necessario che "la stessa dottrina che sta alla base di questo culto o di questo rito, per come appaiono, faccia esplicito riferimento a una connessione in atti tra due realtà profondamente diverse, ma che il fatto religioso ha proprio l'effetto di mettere in relazione, secondo l'etimologia del termine".

In definitiva, lo Stato ha il diritto di concedere vantaggi e "di avviare il riconoscimento giuridico solo dopo che siano state prese le necessarie precauzioni al riguardo: senza tuttavia pronunciarsi sul merito di una religione genuina, per come la intendiamo qui, spetta ad essa assicurarne la sostenibilità e la rappresentatività". Questo riconoscimento del fatto religioso "a differenza della laicità, che per definizione nega ogni fatto religioso e che tende a cancellare dalla sfera pubblica ogni manifestazione di questo tipo", è conforme al principio della laicità che "riconosce la possibilità di tale fatto: richiede semplicemente allo Stato di fare un passo indietro e di non privilegiare alcuna religione rispetto alle altre"[82].

Ritorniamo quindi all'idea che un sistema di "riconoscimento" deve aderire a criteri oggettivi per identificare una religione, senza interferire nella sua dottrina o nelle sue convinzioni, e preservando la diversità religiosa.

VI. IL FATTO RELIGIOSO È UN FATTO LEGALE LA CUI PROVA È LIBERA [⬆︎]

Il fatto religioso nel senso sociologico del termine "mira a cogliere i fenomeni religiosi come fatto storico da un lato, e come fatto sociale dall'altro"[83]. In diritto, costituisce un fatto giuridico. L'esistenza di una religione, poiché la legge non ne dà una definizione vincolante, è infatti "un evento a cui la legge attribuisce effetti giuridici" ai sensi dell'articolo 1100-2 del codice civile.

Pertanto, la sua prova è libera e può essere stabilita con qualsiasi mezzo.

Se la Repubblica non riconosce alcun culto, non può ignorarlo. "La neutralità non può essere indifferenza. La realtà religiosa fa parte del campo d'azione dello Stato come altri fatti sociali"[84].

Ciò che vieta formalmente la legge del 1905, è il ritorno al sistema dei culti riconosciuti, cioè al Concordato che è, appunto, una procedura di riconoscimento per mezzo di una convenzione internazionale. Vieta anche un sistema come quello degli articoli organici in cui lo Stato regola l'organizzazione interna del culto, o meglio, i suoi dogmi, a dispetto della Separazione.

Dal 1905 la Repubblica è quindi neutrale: non combatte alcuna religione né promuove alcuna religione attraverso una procedura ufficiale di riconoscimento. Tutte le religioni sono uguali ai suoi occhi, "il che significa che le conosce tutte su un piano di parità tra loro e sullo stesso piano di tutte le altre componenti della società civile"[85].

Di conseguenza, il sistema francese non è quello del riconoscimento ma quello dell'identificazione del fatto religioso. La Repubblica deve conoscere le religioni, e non riconoscerle, perché la loro esistenza comporta conseguenze giuridiche a moltissimi livelli. La domanda rilevante viene quindi posta dall'autore: "Come fa lo Stato laico a conoscere le religioni?".

In primo luogo, deve evitare la trappola di emettere un giudizio di valutazione sulle dottrine religiose: "Con la legge del 1905, la distinzione tra culti riconosciuti e non riconosciuti scompare completamente, lo Stato si dichiara incapace di determinare cosa "è una religione buona o vera e ciò che non lo è". La Francia è una repubblica laica. Rispetta tutte le convinzioni.

In secondo luogo, "lo Stato non interviene nell'organizzazione interna di alcun culto, né nelle sue convinzioni, né nella sua liturgia, né nella sua ecclesiologia" in virtù dell'articolo 4 della legge del 1905 che si riferisce alle "regole di organizzazione generale dei culti che intendono esercitare".

In terzo luogo, il fatto religioso deve essere compreso dagli Stati mediante una definizione o dei criteri non restrittivi. Secondo il diritto internazionale, potrebbe esistere un sistema di riconoscimento, ma deve essere equo e non discriminatorio.

In quarto luogo, il modo in cui una religione si definisce e la presa in considerazione delle sue specificità costituiscono obblighi per le istituzioni pubbliche che non possono ignorarle e sostituirle con le proprie concezioni.

In quinto luogo, l'uguaglianza delle religioni implica che la Repubblica "le conosca tutte, senza alcun privilegio, né alcuna discriminazione, su un piano di parità. Le uniche restrizioni alla libertà religiosa devono essere stabilite dalla legge, "nell'interesse dell'ordine pubblico" (articolo 1 della legge del 1905)".

In definitiva, "ci sono molte ... aree in cui lo stato conosce le religioni"[86].

Con il suo obbligo di applicare la legge, lo Stato, attraverso la sua amministrazione e il suo sistema giudiziario, si confronta con il fatto religioso nelle sue numerose manifestazioni legali.

"Oltre al sistema di culto disciplinato dalla legge del 1905, nonché alla legislazione dei servizi di cappellania pubblica nelle scuole superiori, collegi, scuole, ospizi, asili e prigioni" (articolo 2, paragrafo 2 della legge del 1905) e, per lungo tempo, negli eserciti (legge dell'8 luglio 1880), molti testi giuridici si riferiscono alla religione, al culto, alle loro manifestazioni esterne e ai loro ministri, sia nel diritto privato che in quello pubblico, nonché alla libertà di coscienza.

I giudici sono confrontati con questo in particolare quando devono applicare la legislazione penale sulla discriminazione "per l'appartenenza a una "religione specifica" (225 1 del codice penale), ai reati di offesa o diffamazione contro una persona o un gruppo di persone in ragione della loro vera o presunta affiliazione a una "religione specifica" (articoli 32 e 33, legge del 1881), al reato di istigazione alla discriminazione, all'odio, alla violenza nei confronti di un gruppo di persone a causa della loro appartenenza a una "religione specifica" (art. 24 legge del 1881), ecc.

Il Codice dell'Istruzione che ha codificato la legge Debré del 1959 sui rapporti tra lo Stato e le istituzioni private prevede che "lo Stato adotta tutte le misure necessarie per garantire la libertà di culto e dell'istruzione religiosa agli studenti dell'istruzione pubblica", mentre le scuole private con contratto devono "fornire questa educazione nel pieno rispetto della libertà di coscienza".

Ai sensi dell'articolo 60 del codice civile, vi è un legittimo interesse a cambiare il nome di una donna musulmana alla quale "non è certamente impedito di praticare la sua religione portando il nome Charlyne", ma può "giustificare un legittimo interesse il poter usare Aïcha come nome per armonizzarsi con la sua identità, quella dei suoi figli e della sua nuova condizione religiosa ..."[87].

Ci sono molti esempi nel diritto delle persone fisiche, così come nel diritto del lavoro. L'articolo L.1132-1 del codice del lavoro vieta la discriminazione nell'assunzione, nella retribuzione e più in generale nella carriera dei dipendenti facendo riferimento alla definizione data dall'articolo 1 della legge n. 2008-496 del 27 maggio 2008, avendo adattato il diritto comunitario. Questo testo si riferisce a "appartenenza o meno, vera o presunta, a una particolare religione".

Il diritto privato offre molti casi che obbligano il giudice a decidere le controversie relative alla libertà di coscienza e di religione[88].

Gli articoli L381-12 e seguenti del codice di sicurezza sociale riguardano il sistema sociale dei "ministri del culto", dei "membri di congregazioni e comunità religiose" e la loro applicazione giurisprudenziale ha dato luogo a una definizione di comunità religiosa che caratterizza un membro dall'"impegno religioso della persona interessata manifestato, in particolare, da uno stile di vita in comunità e da un'attività svolta prevalentemente al servizio della sua religione".

I campi sono troppo numerosi per essere nominati.

Se la prova è libera in materia, allora sono ammissibili tutti gli elementi oggettivi che tendono a identificare una religione: l'opinione delle istituzioni religiose e dei loro membri. Questo criterio è fondamentale e obbligatorio in una ricerca di identificazione. Analisi dello scopo sociale di una persona giuridica religiosa, esistenza di una comunità di fedeli, riconoscimento storico, pubblico e sociale; decisioni dell'amministrazione e dei tribunali francesi e stranieri, opinioni di sociologi, storici, antropologi, specialisti del diritto, ecc.

Molti mezzi oggettivi consentono al giudice di identificare una religione e applicarvi il regime dei culti, così come qualsiasi altra legislazione specifica.

***

Il legislatore deve fare attenzione a non affondare anima e corpo nella reazione agli eventi attuali.

Al contrario, il dibattito deve prendere il sopravvento, come nel caso della legge del 1905, per elaborare una legislazione duratura che generi consensi.

La legge che interverrà deve preservare la libertà di coscienza e il libero esercizio del culto, rafforzare l'uguaglianza delle religioni tenendo conto della loro diversità, assicurare una concezione ampia e inclusiva del concetto di religione e del pubblico esercizio del culto, riaffermare il principio della libera organizzazione delle religioni, preservando l'ordine pubblico in modo proporzionato.

Solo in questo modo il legislatore preserverà quanto acquisito con la legge del 1905 adattandolo alla società contemporanea.

VII. CONCLUSIONE: APPLICAZIONE DEL DISEGNO DI LEGGE CHE CONSOLIDA IL RISPETTO DEI PRINCIPI DELLA REPUBBLICA [⬆︎]

Il disegno di legge, al titolo II, cerca innanzitutto di semplificare l'accesso all'associazione cultuale della legge del 1905, come annunciato nella relazione illustrativa. Quindi intende imporre

anche alle associazioni religiose, per fornire regole di funzionamento che garantiscano un migliore controllo da parte dei propri membri delle importanti decisioni prese dall'associazione, sottoponendosi alla decisione di un organo che delibera l'adesione di nuovi membri, le modifiche statutarie, i trasferimenti di proprietà e, a meno che ciò non sia di competenza dell'associazione, il reclutamento di ministri religiosi.

L'obiettivo di questo provvedimento è "contrastare meglio i tentativi da parte di gruppi radicali di prendere il controllo o contro gli abusi che potrebbero portare all'appropriazione del funzionamento associativo da parte di alcuni individui".

Poi ha modificato la legge del 1907, al fine di "assoggettare le associazioni che si dichiarano semplicemente aventi un oggetto in tutto o in parte di culto, note come associazioni "miste", agli obblighi essenziali imposti alle associazioni di culto". Si è capito dalle dichiarazioni del governo che l'obiettivo è quello di incoraggiare associazioni religiose o miste (principalmente musulmane, ma non solo) che fino ad allora avevano scelto di costituirsi sulla base della legge del 1901, a entrare nel quadro della legge del 1905 che offre allo stesso tempo indubbi vantaggi fiscali, ma che contiene anche la sua parte di vincoli che non devono sostenere le associazioni della legge 1901.

Le seguenti disposizioni, nel loro insieme, tendono a rafforzare il controllo statale sulle religioni (si veda in proposito il potere del rappresentante dello Stato che può, entro due mesi dalla dichiarazione obbligatoria, opporsi al beneficio dei vantaggi della legge per motivi di ordine pubblico, ovvero qualora constati che l'associazione non soddisfa o non soddisfa più le condizioni previste dagli articoli 18 e 19 della legge). È facile capire, nel contesto attuale, cosa spinga il governo a voler rafforzare questo controllo. Tuttavia, ci sono diverse insidie da evitare e il testo così come è concepito nella versione inviata al Parlamento non ci sembra completo a questo proposito.

Innanzitutto, il principio di autonomia e libera organizzazione di ciascuna religione secondo la propria costituzione interna, e soggetta solo al rispetto dell'ordine pubblico, il che implica che tutte le associazioni con un oggetto religioso debbano godere degli stessi vantaggi. Non può esistere una sottocategoria di associazioni della legge del 1901 con fini religiosi che presenta solo gli svantaggi e non i vantaggi dell'associazione religiosa, senza violare il suddetto principio e il principio di non discriminazione.

Quindi, dobbiamo evitare la contraddizione che significherebbe che da un lato le associazioni religiose sono incoraggiate a inserirsi nel quadro della legge del 1905 e che, dall'altro, la scoraggiamo con un'applicazione arbitraria o troppo ampia della nozione di ordine pubblico, ma anche con riferimento alla "celebrazione di cerimonie organizzate…", escludendo de facto le associazioni la cui costituzione interna e le modalità di svolgimento dei riti non rientrano nel quadro di questa visione ristretta.

Come abbiamo visto, la legge del 1905, di ispirazione liberale, intendeva mettere tutti i culti, cioè tutte le religioni, su un piano di parità, e rispettare la libera organizzazione dei culti nel rispetto dell'ordine pubblico. Se riusciamo a capire che il governo, in quanto legislatore, desidera rafforzare il controllo statale sulle religioni, una buona riforma dovrebbe sancire per legge il fatto che il rispetto dell'ordine pubblico non deve servire direttamente o indirettamente a limitare la diversità religiosa e violare l'eguaglianza di tutte le religioni.

Durante il procedimento con il quale il Prefetto verifica il carattere religioso dell'associazione e nel caso in cui rifiuti il beneficio della legge del 1905 per motivi di ordine pubblico, il problema menzionato deve essere attuale, provato e sufficientemente grave per giustificare la privazione dei vantaggi dello status di culto a un'associazione.

La legge dovrebbe anche riaffermare l'autonomia concettuale e organizzativa dei culti, per allontanarsi dall'ormai superata definizione di culto data dal Consiglio di Stato.

La legge dovrebbe includere anche il principio di un'ampia concezione di cosa si intenda per "attività esclusivamente religiose". In effetti, è essenziale, per adattarsi all'evoluzione del panorama religioso francese come appare oggi, tenere conto del fatto che molte associazioni religiose hanno attività di culto incentrate sull'insegnamento, o su pratiche individuali o collettive che esulano dalla cornice delle celebrazioni di "cerimonie organizzate…". Inoltre, la legge dovrebbe specificare che sono intese come attività esclusivamente religiose tutte le attività accessorie ad essa collegate da un legame sufficiente, ad esclusione delle attività sociali, filantropiche, caritative o culturali.

Dovrebbe includere anche il principio dell'autonomia delle religioni, che garantisce la libera organizzazione delle religioni secondo i loro principi religiosi.

Questa legge offre un'opportunità unica per combinare un rafforzamento del controllo statale dei culti con quello della libertà collegata alla legge del 1905 e della parità di trattamento tra i diversi culti, ma anche per modernizzare la legge in modo che il suo spirito iniziale sia rispettato ma che la sua applicazione corrisponda all'attuale realtà religiosa della Francia.

Come afferma il Consiglio di Stato nel suo parere sul disegno di legge, "la comparsa e l'ascesa di culti che non avevano la stessa posizione al momento della separazione, l'Islam in particolare ma anche le nuove espressioni cristiane, o i culti orientali, hanno sollevato nuove domande. Nella maggior parte dei casi, queste religioni sono state riluttanti a formare associazioni religiose ... ".

Spetta al legislatore garantire che la legge consenta di alleviare questa difficoltà, assicurando che l'accesso allo status di associazione religiosa della legge del 1905 sia facilitato e attrattivo.

In parole povere, il rafforzamento del controllo statale è giustificato solo fintanto che riguarda la necessità di poter lottare contro la minaccia terroristica, sia ad esempio controllando i finanziamenti dall'estero per proibirli "quando le azioni dell'associazione beneficiaria o di uno dei suoi funzionari o amministratori stabiliscono l'esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave che leda un interesse fondamentale della società "(articolo 35, III del disegno di legge), oppure chiudendo temporaneamente i luoghi di culto "in cui i commenti che vengono fatti, le idee o le teorie che vengono diffuse o le attività che si svolgono provocano odio o violenza nei confronti di una persona o di un gruppo di persone o tendono a giustificare o incoraggiare questo odio o violenza" (articolo 44 paragrafo 2 del disegno di legge).

Ma per garantire che la riforma possa raggiungere i suoi obiettivi, è necessario garantire che lo spirito di libertà della legge del 1905 sia preservato e che la grande maggioranza dei culti che non rappresentano una minaccia terroristica, che non provocano odio o violenza, non solo possano avere accesso ai vantaggi dello status di associazione religiosa, ma anche che tale accesso sia facilitato, incoraggiato e reso attrattivo.


Note

[1] ⬆︎ Consiglio Costituzionale, sentenza n° 2012-297 QPC del 21 febbraio 2013, Associazione per la promozione e l'espansione della laicità [Trattamento dei pastori delle Chiese Concistoriali nei dipartimenti del Basso Reno, Alto Reno e Mosella].

[2] ⬆︎ CE, Ass., Parere del 24 ottobre 1997, "Associazione locale il culto dei Testimoni di Geova a Riom".

[3] ⬆︎ idem

[4] ⬆︎ Consiglio Costituzionale, sentenza n. 2012 297 QPC del 21 febbraio 2013, Associazione per la promozione e l'espansione della laicità [Trattamento dei pastori delle Chiese Concistoriali nei dipartimenti del Basso Reno, Alto Reno e Mosella].

[5] ⬆︎ Léouzon Le Duc, "Le origini del fondo per i culti", Annali della libera scuola di scienze politiche, Volume IV, p.291 293).

[6] ⬆︎ M. de Marcère, "Vision d'un siècle", 1914, p. 290, Citato da DIMENSIONS ANTICLERICALES DE LA CULTURE REPUBLICAINE (1870 1914), di Jacqueline Lalouette, in Persée, 1991, p. 127.

[7] ⬆︎ M. Le comte de Boni de Castellane, Deliberazioni sul progetto di Separazione tra Chiese e Stato, 3a sessione della Camera del 27 marzo 1905, p.16.

[8] ⬆︎ Aristide BRIAND, "Rapporto della Commissione sulla Separazione tra Chiese e Stato, 8° legislatore, seduta del 1905", p.4.

[9] ⬆︎ Camera dei Deputati, Gazzetta ufficiale, Sessione del 20 aprile 1905.

[10] ⬆︎ J. JAURES, dibattiti parlamentari, Camera dei Deputati, Gazzetta ufficiale, 2a sessione, 21 aprile 1905.

[11] ⬆︎ Jean BAUBEROT, "Jean JAURES e la laicità del 1905", blog: laicità e visione critica della società, su Mediapart.

[12] ⬆︎ Verbale delle deliberazioni della legge del 1905, 2a sessione del 23 marzo 1905, p.52.

[13] ⬆︎ Aristide BRIAND, "Rapporto per conto della Commissione sulla Separazione delle Chiese e Stato e sulla risoluzione del concordato incaricato di esaminare il disegno di legge e i vari progetti di legge concernenti la Separazione delle Chiese e Stato", p.3.

[14] ⬆︎ Intervento di JEAN MARC SAUVE, vicepresidente del Consiglio di Stato: "La Francia è una Repubblica laica ...", Cena annuale della Grande Loge de France, sabato 21 settembre 2013, p.3-4.

[15] ⬆︎ Consiglio di Stato, rapporto pubblico 2004: "Un siècle de laïcité", p.264-265.

[16] ⬆︎ Elsa FOREY, "Istituzioni statali e religiose", Presses Universitaires de Strasbourg, 2019, p.329.

[17] ⬆︎ CE, parere del 25 ottobre 2005, n. 190699.

[18] ⬆︎ CE, ord. rif., 25 agosto 2005, Comune di Massat, AJDA 2006, p. 91.

[19] ⬆︎ Consiglio di Stato, rapporto pubblico 2004: "Un siècle dc laïcité", p.277-278.

[20] ⬆︎ Articolo 44 della legge: "sono e restano abrogate tutte le disposizioni relative all'organizzazione pubblica delle religioni precedentemente riconosciute dallo Stato".

[21] ⬆︎ Dalloz, "Giurisprudenza generale, giurisprudenza generale. Direttorio metodico e alfabetico di legislazione, dottrina e giurisprudenza, Associazioni illecite", T. V, 1846, "associazioni illicites", p. 279-310.

[22] ⬆︎ Deliberazioni sul disegno di legge e sui progetti di legge sulla separazione tra Chiese e Stato, 4a sessione del 28 marzo 1905, intervento del deputato Plichon, p.24 e 2.

[23] ⬆︎ Portalis, Dalloz, "Giurisprudenza generale, giurisprudenza generale. Repertorio metodico e alfabetico di legislazione, dottrina e giurisprudenza, Cult ", T. XIV, p. 758.

[24] ⬆︎ RITA HERMON-BELOT, "La genesi del sistema dei culti riconosciuti: le origini della nozione francese di riconoscimento", Archives de sciences sociales des religions, no129 gennaio - marzo 2005, p.8.

[25] ⬆︎ M. Dalloz anziano, "Giurisprudenza generale. Repertorio metodico e alfabetico di legislazione, dottrina e giurisprudenza", t. XIV, Parigi, Dalloz, 1853, p. 743.

[26] ⬆︎ Deliberazioni sul disegno di legge e sui progetti di legge sulla separazione tra Chiesa e Stato, 4a sessione del 28 marzo 1905, intervento del deputato Louis Barthou, p.64.

[27] ⬆︎ Aristide Briand, "Relazione a nome della Commissione sulla Separazione delle Chiese e dello Stato e alla risoluzione del concordato incaricato di esaminare il disegno di legge e le varie proposte di legge concernenti la Separazione delle Chiese e Stato ", p.123.

[28] ⬆︎ Jean-Marie Woehrling, "Riflessioni sul principio della neutralità dello Stato in materia religiosa e la sua attuazione nel diritto francese", Archives de sciences sociales des religions, 1998, 101, p.40.

[29] ⬆︎ Supra, p.48

[30] ⬆︎ CEDU, Grande Camera, Izzetin e Doga e altri c. Turchia, n. 62649/10, 26 aprile 2016, § 114.

[31] ⬆︎ Aristide Briand, "Discorso del 3 luglio 1905 su Séparation de l'Eglise et de l'Etat".

[32] ⬆︎ ANNALI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, 10 aprile 1905, p.1623 e 1628.

[33] ⬆︎ CA Parigi, 4 dicembre 1912, DP, 1914, II, p. 213.

[34] ⬆︎ CEDU, Chiesa Metropolitana di Bessarabia, p. 118 e 123, e Hasan e Chaush v. Bulgaria [GC].

[35] ⬆︎ Conclusioni su CE, Ass., 24 ottobre 1997 (opinione), Associazione locale per l'adorazione dei Testimoni di Geova di Riom, RFDA 1998, p. 68.

[36] ⬆︎ Jean-Marie Woehrling, "Il principio della neutralità confessionale dello Stato", CNRS, Editions Société, droit et religion, 2011/1 Number 1, p.70.

[37] ⬆︎ Trattato sul diritto delle religioni, Jurisclasseur, 2003, 2156.

[38] ⬆︎ "Commento generale n. 22: Articolo 18 (Libertà di pensiero, coscienza e religione)".

[39] ⬆︎ Consiglio d'Europa / Corte europea dei diritti dell'uomo, Panoramica della giurisprudenza della Corte sulla libertà di religione, gennaio 2011, n. 10;

[40] ⬆︎ CEDU, Chiesa Metropolitana di Bessarabia e altri c. Moldova, no 45701/99, § 105, CEDU 2001, XII; CEDU, Grande Camera, Izzetin e Doga e altri c. Turchia, n. 62649/10, 26 aprile 2016, § 94.

[41] ⬆︎ CEDU, Grande Camera, Izzetin e Doga e altri c. Turchia, n. 62649/10, 26 aprile 2016, §.94.

[42] ⬆︎ CEDU, Association Les Témoins de Geova c. Francia, n. 8916/05, §.53, 30 giugno 2011; Associazione Religiosa del Tempio della Piramide c. Francia, n. 50471/07, §§.3435, 31 gennaio 2013; Associazione dei Cavalieri del Loto d'Oro c. Francia, no 50615/07, §§ 33 34, 31 gennaio 2013.

[43] ⬆︎ Supra, 53 e 114.

[44] ⬆︎ CEDU, Chiesa di Scientology di Mosca v. Russia, n. 18147/02, §§ 71 72; CEDU, Chiesa Metropolitana di Bessarabia et alia v. Moldova, no. 45701/99, § 114, CEDU 2001 XII.

[45] ⬆︎ CEDU, Mirolubovs e altri c. Lettonia, no 798/05, 15 settembre 2009 §, Errore! Solo documento principale.

[46] ⬆︎ CEDU, Grande Camera, Izzetin e Doga e altri c. Turchia, n. 62649/10, 26 aprile 2016, § 178.

[47] ⬆︎ CEDU, Grande Camera, Izzetin e Doga e altri c. Turchia, n. 62649/10, 26 aprile 2016, § 114; Kimlya e altri v. Russia, n. 76836/01 e 32782/03, §86.

[48] ⬆︎ La Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, "Linee guida per la revisione delle leggi relative alla religione o alle credenze religiose" ha citato il §.40 della CEDU, Grande Camera, Izzetin e Doga e altri c. Turchia, n. 62649/10, 26 aprile 2016, § 114; Kimlya e altri v. Russia, n. 76836/01 e 32782/03.

[49] ⬆︎ Corte eur. DH, 25 febbraio 1982, Campbell and Cosans v / United Kingdom, Series A n '48 § 36, Cah. Dr. Eur. 1986 p. 230 osservazioni G. Cohen Jonathan, Journ. Dr. Int. 1985 p. 191 osservazioni P. Rolland e P. Tavernier.

[50] ⬆︎ Com. euro. DH, 1 dicembre 1981, X c / FRG, DR 24/141. Cfr anche: P. Rolland, Ordine pubblico e pratiche religiose, in JF Flauss (a cura di), La protection internationale de la liberté Religieuse / International protection of Religious freedom, Op. Cit., P. 231f., Soprattutto p. 245.

[51] ⬆︎ CEDU, Grande Camera, Izzetin e Doga e altri c. Turchia, n. 62649/10, 26 aprile 2016, §.107; Mansur Yalcin e altri c. Turchia, n. 21163/11 del 16 settembre 2014, §.70.

[52] ⬆︎ AN, Sessione del 3 ottobre 1968, appendice 313, p.95.

[53] ⬆︎ Consiglio di Stato, rapporto pubblico 2004: "Un secolo di laicità", p.284.

[54] ⬆︎ Jean-Marie Woehrling, "Il principio della neutralità confessionale dello Stato" Edizioni CNRS "Società, diritto e religione", 2011/1 Numero 1, p.70.

[55] ⬆︎ Com. euro. HR, 4 ottobre 1977, X v / United Kingdom, D 11/55. Se la menzione della religione dei detenuti nei registri carcerari è accompagnata dalla concessione di determinate facilitazioni, deve, almeno in un caso particolare, essere una religione identificabile.

[56] ⬆︎ CA Toulouse, 12 gennaio 2005, n° 04100563.

[57] ⬆︎ CEDU, Kymlia e altri c. Russia, n. 5 76836/01 e 32782 / O3, § 85, CEDU 2009; CEDU, Grande Camera, Izzetin e Doga e altri c. Turchia, n. 62649/10, 26 aprile 2016, § 94.

[58] ⬆︎ Supra, p.123 e 126.

[59] ⬆︎ Louise-Violette Méjan, "La separazione tra Chiese e Stato. L'oeuvre de Louis Méjan", Parigi, PUF, 1959, p. 1/76 177; Jean Marie Mayeur, "La separazione tra chiese e stato", Parigi, Edizioni Quvfiefes, 1991, p.51.

[60] ⬆︎ Gérard Unger, "I dibattiti parlamentari durante la legge del 1905", Materiali per la storia del nostro tempo, n. 78, 2005, p.13.

[61] ⬆︎ Aristide Briand, "Rapporto sulla Separazione delle Chiese e dello Stato, 8a Legislatura, sessione del 1905", p.103.

[62] ⬆︎ Citato da Christophe Bellon, "I parlamentari socialist e a legge del 1905, L'Harmattan in "Parlement[s], Revue d'histoire politique", 2005/1, n° 3, page 122 e 124.

[63] ⬆︎ Camera dei Deputati, sessione del 20 aprile 1905.

[64] ⬆︎ Jurisclasseur, "Trattato sulla legge delle religioni", 2003, n° 2156.

[65] ⬆︎ Parere dell'8 dicembre 1923, citato da J. P. Durand, "Regime di diritto comune per la separazione delle religioni e dello Stato", in Diritto canonico, p. 548-549, n. 831.

[66] ⬆︎ CE, parere n° 185707 del 13 dicembre 1923.

[67] ⬆︎ CEDU, Chiesa di Scientology di Mosca c. Russia, n° 18147/02, §72.

[68] ⬆︎ CE, 22 marzo 2000, Miss Marteaux; CE, 16 marzo 2005, Miss Marteaux; CE, 16 marzo 2005, Ministro dei territori d'oltremare, AJDA, 2005, p.1463).

[69] ⬆︎ Rapporto pubblico 2004, « Un siècle de laïcité », EDCE n° 55, La Documentation française, 2004.

[70] ⬆︎ CE, Ass., Parere del 24 ottobre 1997, "Associazione locale per l'adorazione dei Testimoni di Geova di Riom".

[71] ⬆︎ Supra.

[72] ⬆︎ Arrighi de Casanova, conclusioni del 1997 relative a C.E. Ass., 24 ottobre 1997, Assemblea locale per l'adorazione dei Testimoni di Geova di Riom, Revue français de droit administratif, 1998, pp.61-69, nota G. Gonzalez.

[73] ⬆︎ Deliberazioni sul disegno di legge per la separazione tra Chiese e Stato, 4a sessione del 28 marzo 1905, p.10.

[74] ⬆︎ Aristide BRIAND, "Rapporto sulla separazione tra Chiese e Stato, 8a legislatura, sessione del 1905", p.23.

[75] ⬆︎ Supra, p.114.

[76] ⬆︎ Supra, p.125.

[77] ⬆︎ CE, Unione degli atei, 17 giugno 1988, n° 63912.

[78] ⬆︎ Com. Euro DH, Applicazione N314635 / 89, Unione degli atei contro la Francia, "RAPPORTO DELLA COMMISSIONE adottato il 6 luglio 1994", §.§78-79.

[79] ⬆︎ Comitato dei Ministri, appendice alla risoluzione finale adottata il 26 febbraio 2001.

[80] ⬆︎ Mirolubovs e altri c. Lettonia, n. 798/05, 15 settembre 2009, § Errore! Solo documento principale. riferendosi alla CEDU, Thlimmenos c. Grecia [GC], no.34369/97, § 44, CEDU 2000 IV.

[81] ⬆︎ Supra, p.9.

[82] ⬆︎ André Bonnet, Commissario governativo, "Cos'è un edificio di culto?", AJDA 2004 p.271.

[83] ⬆︎ Jean Paul WILLAIME, "Qual è il fatto religioso?", Introduzione al rapporto Debray 2002 sull'insegnamento del fatto religioso nelle scuole secolari, sito web hggc.fr.

[84] ⬆︎ Jean-Marie WOEHRLING, "Il principio della neutralità confessionale dello Stato", CNRS Edition Societè, droit et religion, 2011/1 Numero 1, p.70.

[85] ⬆︎ Jean-Claude GROSHENS, "La legge del 1905 e il regime di culto oggi", Istituto teologico protestante "Studi teologici e religiosi", 2007/1 Volume 82, p. 86.

[86] ⬆︎ Alain BOYER, "Come fa lo Stato laico a conoscere le religioni?", Archives de sciences sociales des religions, 129 | Gennaio marzo 2005, La Repubblica non riconosce alcun culto.

[87] ⬆︎ CA Rennes, cap. 6, 5 aprile 2011: JurisData, n° 2011-018012.

[88] ⬆︎ Isabelle RIASSETTO, Droit privé de la religion, dans Société, droit et religion, 2013, 1 (Numero 3), da p.261 a 282.


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