Se l'informazione diventa spettacolo ai danni della realtà

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Steno Sari

di Steno Sari — I media detengono una responsabilità ineludibile: garantire un flusso informativo accurato, esaustivo e profondamente rispettoso della dignità umana. Questa missione è spesso tradita da dinamiche che trasformano il giornalismo in un pericoloso strumento di linciaggio mediatico. La gogna pubblica, amplificata dalla risonanza mediatica, si configura come una pratica eticamente abominevole, poiché calpesta principi cardine della civiltà giuridica e morale: la presunzione d'innocenza, il diritto inviolabile alla riservatezza e il rispetto intrinseco dovuto a ogni individuo.

Una rappresentazione superficiale e distorta della diversità umana alimenta paure ancestrali e irrazionali nel tessuto sociale, contribuendo inesorabilmente al consolidamento di pregiudizi e stereotipi radicati. Questo meccanismo perverso innesca e propaga un clima di intolleranza e violenza verbale, minando alla base i valori fondamentali di convivenza pacifica e di rispetto reciproco. La complessità della realtà, così brutalmente semplificata, viene ridotta a narrazioni sensazionalistiche e decontestualizzate, ostacolando in maniera significativa la formazione di un'opinione pubblica realmente informata, critica e consapevole della pluralità delle prospettive.

Un giornalismo rigoroso deve fondarsi su dati verificabili e su un'analisi imparziale. Quando la priorità diventa catturare l'attenzione anziché informare, l'accuratezza cede il passo alla spettacolarizzazione più effimera: i fatti vengono esasperati ad arte, privati di contesto o addirittura manipolati per assecondare interessi, spesso oscuri, che vi sottendono.

Così partecipare a un dibattito televisivo in contesti dominati da pregiudizi e dinamiche da caccia alle streghe rischia di rivelarsi controproducente. In ambienti caratterizzati da tempi serrati e toni polemici, la difesa da accuse infondate diventa quasi impossibile.

Certi format televisivi, pensati per esasperare conflitti e stereotipi, anziché favorire un confronto costruttivo, creano narrazioni precostituite. In tali scenari, ribaltare l'opinione dominante richiede abilità comunicative straordinarie, specie se conduttori o ospiti abbandonano la neutralità a favore del sensazionalismo.

Alcuni giornalisti, nella rincorsa all'audience, riducono fenomeni sociali complessi a schemi narrativi elementari, sacrificando sfumature e approfondimenti. Alimentano allarmismo e discriminazione anziché promuovere analisi equilibrate. Per contrastare questa deriva è essenziale privilegiare informazioni verificate, contestualizzate e inclusive. Valorizzare i dettagli, rispettare prospettive plurali e garantire un dibattito rispettoso sono passi indispensabili per un giornalismo eticamente corretto. Solo attraverso un'informazione ineccepibile e libera da pregiudizi è possibile favorire una società più consapevole e inclusiva.

Ogni parola e ogni immagine veicolata ha un peso: sta ai professionisti dell'informazione decidere se utilizzare tale potere per costruire ponti di comprensione e conoscenza, o per erigere muri di intolleranza e distruzione del tessuto sociale.

Articolo apparso su Libero il 18 maggio 2025 e ripubblicato con l'autorizzazione dell'autore

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