Le raccomandazioni formulate da FOB al Meeting OSCE 2017 a Varsavia

Sezione:
Alessandro Amicarelli

Come già negli anni precedenti, la Federazione Europea per la Libertà di Credo (European Federation for Freedom of Belief - FOB) ha partecipato allo Human Dimension Implementation Meeting 2017.

Dall’11 al 22 settembre 2017 si è svolto a Varsavia, presso lo Stadio Narodowy, lo Human Dimension Implementation Meeting 2017 organizzato dall'OSCE ODIHR, la Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa - Ufficio per le Istituzioni Democratiche e per i Diritti Umani.

Lo Human Dimension Implementation Meeting è il più grande Incontro sui Diritti Umani organizzato in Europa ogni anno e vede la partecipazione di 57 rappresentanti di Stati Membri dell'Unione Europea, di numerose ONG (Organizzazioni Non-Governative) e di altre associazioni della società civile e dei media.

FOB ha partecipato attivamente a tutte le sessioni, sia in quanto organismo a sé stante, sia attraverso le sue associazioni confederate, come il CAPLP e Soteria International.

Fra le altre "associazioni amiche", vi erano Human Rights Without Frontiers (HRWF), European Muslim Initiative for Social Coesion (EMISCO), All Faiths Network, Affirm Human Rights, solo per citarne alcune.

foto_di_gruppo-hdim_2017.jpg

Alessandro Amicarelli con rappresentanti di altre associazioni amiche

Sono onorato di aver potuto presentare due dichiarazioni e raccomandazioni agli Stati membri per conto di FOB, nella sessione 6 e nella sessione 11, che trattavano rispettivamente della libertà di religione e credo e della situazione dei rifugiati e dei profughi.

Nella prima raccomandazione, FOB ha analizzato alcune questioni riguardanti i diritti umani che gruppi minoritari si trovano ad affrontare sul territorio europeo, ponendo l’accento in particolare sull'insufficiente attuazione delle linee guida FoRB (Freedom of Religion and Belief - Libertà di Religione e di Credo) in Europa, sulla questione concernente l’interferenza dello stato in questioni religiose e anche sul grave problema della discriminazione religiosa in alcuni paesi, tra i quali la Russia e pochi altri.

Nella nostra dichiarazione abbiamo ricordato la tattica utilizzata per far chiudere gruppi religiosi etichettandoli come sette o gruppi estremisti oppure prendendo di mira alcune delle loro pratiche come non conformi al patrimonio culturale nazionale e/o semplicemente dichiarando tali gruppi fuori legge sul territorio.

Sono stati citati alcuni casi come, ad esempio, quello delle autorità austriache che hanno cercato di rifiutare la concessione di personalità giuridica ai Testimoni di Geova (la citata sentenza Religionsgemeinschaft der Zeugen Jehovas e altri contro Austria ricorso CEDU n. 40825 del 31 luglio 2008); il caso del divieto da parte delle autorità francesi di esporre simboli religiosi in luoghi pubblici, in nome del laicismo francese (legge n. 228/2004 del 15 marzo 2004), la legislazione francese che consente di chiudere un gruppo religioso se il leader è stato dichiarato colpevole di reati gravi (legge "About-Picard", n. 504/2001 del 12 giugno 2001) e anche il caso dei Testimoni di Geova nella Federazione russa e in Bulgaria, come pure in altri paesi.

Abbiamo anche evidenziato gli stretti legami esistenti tra i movimenti anti-religiosi francesi e alcune associazioni della Federazione russa, dove i Testimoni di Geova sono stati recentemente dichiarati fuorilegge e considerati un gruppo estremista; altri gruppi stanno sperimentando problemi in quel paese, tra i quali pacifiche comunità Musulmane, i Pentecostali, la Chiesa di Scientology, gli Ebrei e altri gruppi (fonte Portal-Credo.ru). Occorre inoltre ricordare che la Federazione russa, pur non appartenendo all'Unione Europea, è comunque a tutti gli effetti un paese membro del Consiglio d'Europa ed è vincolata all’osservanza del contenuto della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo, pertanto è tenuta a rispettare e applicare le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo secondo cui la stessa Federazione russa ha violato più volte la libertà religiosa e altre libertà ad essa connesse.

Abbiamo sottolineato che le autorità dello Stato si devono mantenere neutrali quando si occupano di questioni religiose e che devono smettere di utilizzare etichette e comportamenti che danneggiano direttamente o indirettamente un particolare gruppo religioso o più gruppi religiosi. Nel corso degli anni, sia il Consiglio d'Europa, sia la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani hanno fornito agli Stati chiare istruzioni e raccomandazioni su come affrontare tali questioni, come impedire l'uso di etichette negative di sette o culti quando si riferiscono a gruppi minoritari, e di evitare qualsiasi azione che causi pregiudizio nei confronti delle religioni minoritarie, indipendentemente dal fatto che siano legate o meno alle tradizioni religiose storiche (cfr. Raccomandazioni del Consiglio d'Europa 1178/92 e 1412/99; relazioni sui diritti umani 33/2000 e 42/2001).

Abbiamo ricordato ancora una volta l'anomala Squadra Anti Sette della Polizia italiana chiedendo al Governo di fornire cifre che, finora, non sono ancora state divulgate.

Abbiamo concluso la nostra dichiarazione chiedendo all'OSCE di continuare a fare del suo meglio per tenere in considerazione i diritti delle religioni minoritarie nell'area dell'OSCE affinché gli Stati membri rispettino pienamente gli impegni internazionali, al fine di assicurare a tutti gli individui il diritto di professare e praticare la propria religione o credo, da soli o in comunità con gli altri, in pubblico o in privato e di manifestare la propria religione o credo attraverso l'insegnamento, la pratica, adorazione e osservanza, anche attraverso leggi, regolamenti, pratiche e politiche trasparenti e non discriminatorie (decisione OSCE MC.DEC /3/13 sulla Libertà di Pensiero, di Coscienza, di Religione o di Credo).

Su questa falsariga abbiamo proposto all'OSCE di coinvolgere attivamente le religioni minoritarie nelle attività dell'OSCE, nominando uno o più rappresentanti di gruppi di minoranza che potrebbero lavorare in collaborazione con i rappresentanti dell'Ebraismo, del Cristianesimo e dell'Islam che sono già rappresentati nell'OSCE.

Nella dichiarazione resa il 18 settembre nella seduta 11, si sono considerati i casi di respingimento illegittimo di rifugiati musulmani alla frontiera italiana; abbiamo sollevato in modo particolare il problema dei rifugiati musulmani che hanno validi e regolari titoli di viaggio delle Nazioni Unite emessi dalle autorità britanniche e che si stavano recando in Italia.

I titolari di questo tipo di documento sono esonerati dal requisito del visto per l'ingresso in alcuni paesi firmatari dell'Accordo Europeo sull'Abolizione del Visto per i Rifugiati del Consiglio d'Europa adottato nel 1959.

L'Italia e il Regno Unito sono membri firmatari di questo accordo ed entrambe le parti accettano che i rifugiati in possesso di un valido titolo di viaggio delle Nazioni Unite rilasciato dalle autorità di entrambi i paesi siano esenti da un visto per l'ingresso nel paese.

Abbiamo segnalato un caso specifico portandolo come esempio: il rifugiato stava viaggiando da Londra a Roma e le sue circostanze soddisfacevano tutti i criteri; infatti intendeva trascorrere ben meno di 3 mesi nel paese, particolarmente perché doveva partecipare a una cerimonia religiosa di un ordine Sufi e ripartire dopo 48 ore; aveva un biglietto di ritorno, una prova dell'iscrizione alla cerimonia e i dettagli della famiglia che lo avrebbe ospitato per la notte.

Il suo titolo di viaggio, come tutti quelli di questo tipo, menziona chiaramente nella pagina accanto a quella con fotografia e i dati personali, che il titolare è esentato dal visto per viaggiare in un certo numero di paesi che fanno parte dell'accordo di Strasburgo del 1959, tra i quali l'Italia.

Ciò nonostante, la polizia italiana di frontiera l’ha respinto e costretto a ritornare a Londra nel giro di poche ore, in quanto sprovvisto di visto e per il fatto che il governo italiano avrebbe adottato direttive per impedire ai rifugiati Musulmani di entrare nel paese a seguito degli attacchi terroristici nel novembre 2016.

Abbiamo chiesto al Governo italiano di fornire prove sull'esistenza di tali direttive che sono in contrasto con la legislazione ufficiale o di fornire spiegazioni diverse sul perché questo accada in Italia.

Il rappresentante dell'Italia ha risposto facendo riferimento alla legislazione ufficiale secondo la quale i rifugiati che viaggiano in Italia devono munirsi di un visto, a meno che
- non abbiano un valido permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità di un paese Schengen,
oppure
- dispongano di un titolo di viaggio delle Nazioni Unite rilasciato dalle autorità di uno Stato membro firmatario dell'accordo di Strasburgo del 1959

Ha poi concluso affermando che, poiché il Regno Unito non è membro dell’area Schengen, i rifugiati che viaggiano in Italia devono avere un visto.

Mentre la sua prima affermazione, che ha letto sul sito del Ministero degli Esteri e che anche noi abbiamo richiamato, era completamente corretta, le sue conclusioni non erano comunque conformi alle dichiarazioni presenti sul sito del Ministero degli Esteri che aveva appena letto.

È vero che il Regno Unito non è nell’area Schengen, ma il Regno Unito è un membro firmatario dell'Accordo di Strasburgo del 1959 concernente l’abolizione dei visti per i rifugiati; quindi, se detengono e mostrano al confine un valido titolo di viaggio delle Nazioni Unite rilasciato dalle autorità britanniche, non hanno bisogno di un visto, come il rappresentante italiano stesso ha dichiarato nella prima parte della sua risposta, a prescindere dal fatto che il Regno Unito sia o meno un membro dell’aera Schengen.

Riteniamo che l'Italia abbia adottato norme restrittive per i rifugiati Musulmani che viaggiano in Italia per evitare il rischio di attacchi terroristici; se l'Italia vuole adottare tali direttive, questo deve essere fatto in modo ufficiale e nel rispetto delle leggi internazionali ed europee vigenti; nel caso specifico l'Italia può decidere di ritirarsi dall'Accordo di Strasburgo del 1959 seguendo la procedura di cui all'art. 7 dell’Accordo stesso.

Tutte le azioni unilaterali volte a limitare i diritti delle persone e non basate su alcuna legislazione si traducono in provvedimenti decisamente illeciti e ingiusti che vanno al di là dei poteri del governo.

Vogliamo un'Europa più sicura e migliore dove tutte le persone, di qualsiasi origine e qualunque sia la loro fede o credo o non credo, possano godere pienamente dei loro diritti e libertà nel rispetto delle leggi e dei diritti degli altri; i governi non sono esenti da ciò

Su questa falsariga, FOB sta programmando altri eventi per i prossimi mesi in collaborazione con accademici, esperti in materia di diritti umani, membri di gruppi minoritari, avvocati e professionisti e altre associazioni e network che operano nello stesso settore.

La lotta contro il terrorismo è davvero una priorità, ma non può essere una scusa per sopprimere i diritti della gente in una società democratica regolata da uno stato di diritto e dal rispetto dei diritti umani come suoi principi costituzionali fondamentali.

Alessandro Amicarelli

Portavoce e Presidente della
European Federation for Freedom of Belief - FOB


Per le dichiarazioni e i video cliccare qui