Ancora leggi regionali “anti moschee”

Sezione:
Nelly Ippolito Macrina

Alla vigilia del 68° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, FOB torna sul problema delle leggi antireligiose che ancora affligge il nostro paese e l’Europa pubblicando il seguente articolo ricevuto dalla Dott.ssa Nelly Ippolito Macrina.

Nelly Ippolito Macrina è laureata in giurisprudenza, conseguita con lode all’Università La Sapienza di Roma, attualmente è Viceprefetto presso la Prefettura di Firenze dove ricopre l’incarico di Capo dell’Ufficio del Rappresentante dello Stato e della conferenza permanente. Sino al 2003 ha prestato attività lavorativa a Roma, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, dove ha diretto l'Osservatorio sulla libertà religiosa, partecipato a Commissioni (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Esteri), workshop (Bruxelles e Albania) tenuto docenze (S.S.A.I., Scuola di Polizia e ANUSCA) e pubblicato numerosi articoli sulla libertà religiosa e sui nuovi movimenti religiosi. Ha inoltre collaborato con Introvigne, Zoccatelli e Roldan alla "Enciclopedia delle religioni in Italia”, 2001. Autore di articoli sul tema dell’immigrazione, è coautore di quattro volumi su “L’immigrazione in Toscana” (2007, 2008, 2009 e 2010), pubblicati dalla Prefettura di Firenze.


di Nelly Ippolito Macrina

L’anno che sta per finire consegnerà al nuovo un pesante bagaglio. Soffia ancora dalle regioni del nord dell’Italia il vento dell’intolleranza religiosa, un pericolo sempre latente che ripropone con rinnovata attualità i temi della libertà religiosa e di culto, quali si collocano nella cornice ampia della laicità dello Stato.

Ci si riferisce alla nuova legge della Regione Liguria in materia di “Disciplina urbanistica dei servizi religiosi” – la n. 23 del 4 ottobre 2016 - la quale, a sostituzione della pregressa normativa (art. 3 della l.r. 4/1985 e successive modificazioni e integrazioni), prevede che “I progetti per la realizzazione di attrezzature di tipo religioso sono localizzati sul territorio comunale dopo aver sentito i pareri, non vincolanti, di organizzazioni e comitati di cittadini presenti nelle zone suscettibili di un simile impianto e nelle aree ad esse limitrofe. Resta ferma la facoltà per i Comuni di indire referendum, nel rispetto delle previsioni statutarie e dell’ordinamento statale, per conoscere l’orientamento della popolazione interessata”.

Una legge, quella ligure, da subito definita come “legge anti-moschee”.

Sono i valdesi i primi a denunciare la nuova disposizione legislativa, sia sotto il profilo della legittimità costituzionale sia sotto il profilo della incapacità di distinguere tra le esigenze di ordine pubblico e il diritto alla libertà di pensiero e di fede; insomma una legge, secondo il Concistoro della Chiesa valdese di Genova, tesa a giustificare “la paura dell’altro, del diverso, che purtroppo offusca la mente ed i sentimenti di una parte della popolazione”.

Il Governo, come è noto, ha impugnato la legge ligure, così come d’altra parte aveva già fatto con due analoghe normative: quella della Regione Lombardia prima, e quella della Regione Veneto, dopo, a giugno di quest’anno.

Mentre sulla seconda pende ancora il giudizio presso la Corte Costituzionale, la prima è già stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta.

Su quest’ultima vicenda vale la pena di soffermare l’attenzione.

La legge regionale lombarda [1] – la n. 2 del 2015 (“Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi”) – distingue tre soggetti destinatari: gli enti della Chiesa cattolica; gli enti delle altre confessioni religiose che hanno stipulato l’intesa con lo Stato; gli enti collegati a confessioni senza intesa.

Per questi ultimi le norme, poi censurate dalla Consulta, richiedevano due requisiti specifici per la realizzazione di edifici di culto:

  • che le confessioni religiose dovevano avere una presenza diffusa sul territorio comunale [2];
  • che gli statuti delle confessioni religiose dovevano esprimere “il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione”.

A vigilare sui requisiti previsti dalla legge era prevista una Consulta regionale istituita ad hoc, alla quale era affidato il compito di rilasciare un parere preventivo e obbligatorio per la costruzione degli edifici di culto.

Per la realizzazione di edifici di culto la legge imponeva inoltre l’acquisizione di pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura al fine di valutare possibili profili di sicurezza pubblica. Si concedeva allo stesso tempo la facoltà per i Comuni di indire referendum [3] per coinvolgere i cittadini nella scelta relativa alla costruzione del nuovo edificio di culto.

Infine, si richiedeva l’approvazione di piani per le attrezzature religiose, che dovessero prevedere “la realizzazione di un impianto di videosorveglianza esterno all’edificio, con onere a carico dei richiedenti, che ne monitori ogni punto di ingresso, collegato con gli uffici della polizia locale o forze dell’ordine”.

Non è difficile ravvisare come la normativa, dietro misure a carattere urbanistico e per il governo del territorio, celasse un carattere fortemente discriminatorio nei confronti delle confessioni religiose (in particolare nei confronti della comunità islamica) presenti in Lombardia rendendo pressoché impossibile la realizzazione di moschee sul territorio regionale.

La Corte Costituzionale, come prima si è anticipato, ha bocciato la legge lombarda [4].

Lo ha fatto con la sentenza n.63 del 24 marzo 2016, ricordando che l’ordinamento repubblicano è contraddistinto dal principio di laicità, inteso non come indifferenza di fronte all’esperienza religiosa ma come “salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale”, e che pertanto è compito della Repubblica “garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della libertà di religione” [5].

Il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà di religione ed è riconosciuto ugualmente a tutti e a tutte le confessioni religiose, a prescindere dalla stipula di un’intesa ex artt. 7 e 8 Cost. con lo Stato italiano.

L’apertura dei luoghi di culto ricade sotto la tutela dell’art. 19 Cost. e non può essere condizionata alla previa stipula dell’intesa, intesa che invece è necessaria “solo se e in quanto a determinati atti di culto vogliano riconnettersi particolari effetti civili.” [6]

Pur avendo ad oggetto la disciplina urbanistica – cioè il “governo del territorio”, rientrante nella sfera della competenza regionale concorrente – la legge lombarda in materia di edilizia di culto introduce disposizioni che limitano la libertà di religione, imponendo requisiti differenziati e più stringenti per le sole confessioni senza intesa.

Da qui l’illegittimità delle norme in questione per violazione del diritto di libertà religiosa ai sensi degli artt. 8, primo comma, e 19 Cost.

Altre due disposizioni vengono infine censurate per illegittimità dalla Corte Costituzionale: sono quelle – a cui prima si è fatto cenno – che prevedono l’acquisizione di pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine ecc., al fine di valutare “possibili profili di sicurezza pubblica”, nonché la realizzazione, per ogni edificio di culto di un impianto di videosorveglianza esterno all’edificio, con onere a carico dei richiedenti, che ne monitori ogni punto di ingresso, collegato con gli uffici della polizia locale o forze dell’ordine.

Tutti i diritti costituzionalmente protetti, osserva la Corte, “sono soggetti al bilanciamento necessario ad assicurare una tutela unitaria e non frammentata degli interessi costituzionali in gioco, di modo che nessuno di essi fruisca di una tutela assoluta e illimitata”.

Tra gli interessi costituzionali da tenere in considerazione nel bilanciamento con la libertà di culto, rientrano quelli relativi alla sicurezza, all’ordine pubblico e alla pacifica convivenza.

La legge lombarda, nel prescrivere l’acquisizione di pareri in tema di sicurezza pubblica e l’installazione di impianti di videosorveglianza, persegue evidenti finalità di ordine pubblico e sicurezza; ma questa materia, concludono i giudici costituzionali, è affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (artt. 117, secondo comma, lettera h, e 118, terzo comma, Cost.).

Anche queste disposizioni, in quanto travalicano la competenza regionale invadendo quella esclusiva dello Stato, sono state quindi dichiarate dalla Corte costituzionalmente illegittime.

Al vaglio della Consulta, rimangono ora le altre due leggi regionali c.d. anti moschee.

E ci viene da chiedere: in Italia siamo razzisti?

Lasciamo la risposta a Izzedin Elzir, Imam di Firenze e Presidente dell’UCOII: “Abbiamo un problema che si chiama islamofobia … ma il nostro paese non è razzista … Personalmente, comprendo la paura dell’altro … Quello che non comprendo è quando un partito cerca di prendere un voto in più cavalcandola … Poi ci sono i mass media che parlano di terrorismo islamico. Capisco che i giornalisti debbano vendere la notizia … ma a questo punto si parla di mercato liberale.” [7]


NOTE

[1] La Regione Lombardia è così tornata sulla materia degli edifici di culto, riprendendo le fila di una questione iniziata con l’approvazione di una legge risalente a più di vent’anni fa, poi dichiarata incostituzionale, che limitava l’accesso ai contributi pubblici destinati all’edilizia di culto alla sola confessione cattolica e a quelle che avevano stipulato l’ intesa con lo Stato.

[2] Serve controbattere che quando la libertà religiosa ed il suo esercizio vengono in rilievo, la tutela giuridica deve abbracciare allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti, nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di fede; né, in senso contrario, varrebbero considerazioni in merito alla diffusione delle diverse confessioni, giacché la condizione di minoranza di alcune di esse non può giustificare un minor livello di protezione (Corte Costituzionale, 10 novembre 1997, n. 329).

[3] L’idea di sottoporre espressioni importanti della libertà di culto a consultazione referendaria non è nuova: così in materia di previsione di reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico. Il caso è riportato in “L’esercizio della libertà religiosa in Italia” della Presidenza del Consiglio dei Ministri
(http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/Esercizio_liberta_religiosa_italia.pdf).
Particolarmente interessante – viene detto in quella pubblicazione - risulta essere il parere espresso dal Ministero dell’interno (nota del 23 febbraio 2011), su richiesta del Sindaco pro-tempore di Fossano (Cuneo), in merito alla proposta di indizione di referendum consultivo presentata al Consiglio comunale da alcuni gruppi consiliari costituitisi in Comitato promotore, relativa al mantenimento della sezione speciale del cimitero urbano riservata ai defunti appartenenti a culti diversi da quello cattolico. La questione traeva origine dalla morte improvvisa di un ragazzo marocchino e dalla necessità di seppellirlo secondo i principi della religione islamica; a seguito di ciò, il Comune ha adottato una modifica al Piano Regolatore cimiteriale con la quale è stata disposta la creazione di un’area per l’inumazione rivolta verso la Mecca a favore dei professanti la religione musulmana. Il suddetto Comitato promotore ha quindi avanzato, ai sensi dell’articolo 46 dello Statuto comunale, una proposta di referendum consultivo vertente sulla seguente domanda: “Siete favorevoli che rimanga anche per il futuro attiva la sezione speciale del cimitero urbano riservata ai defunti appartenenti a culti diversi da quello cattolico, progettata rispettando i dettami della religione musulmana, senza mettere in discussione comunque la sepoltura già avvenuta e mantenendo il cimitero ebraico esistente?”.
In proposito, la competente Direzione centrale degli affari dei culti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno ha sottolineato come i contenuti della domanda oggetto del referendum presentino “potenziali profili discriminatori laddove propongono il mantenimento del cimitero ebraico mettendo, seppur latamente, in discussione il diritto dei fedeli musulmani ad avere pari ed adeguati luoghi di sepoltura”, diritto sancito e garantito non solo dal decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990, ma anche dall’articolo 19 della Costituzione italiana (“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”); tali diritti riguardano infatti tutte le confessioni e non solo quelle che, come nel caso dell’Unione delle Comunità Ebraiche richiamata nel quesito, hanno stipulato un’intesa ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione. Per quel che riguarda, infine, le valutazione espresse nel merito, la Direzione ha rilevato quanto segue:
• “il quesito proposto appare sostanzialmente incidere sulla modifica del Piano Regolatore cimiteriale” poiché “si configura come consultazione popolare di tipo abrogativo – e non meramente consultivo – tipologia che non è prevista dalla normativa dell’ente e, conseguentemente, presenta profili di dubbi ammissibilità”; le consultazioni dovrebbero infatti costituire uno strumento di partecipazione popolare all’elaborazione delle scelte amministrative, e non di verifica della condivisione da parte dei cittadini di scelte già definite con formali provvedimenti amministrativi (Consiglio di Stato 29 luglio 2008, n. 3768);
• la formulazione del quesito “appare in contrasto con gli articoli del regolamento che contengono le norme di principio fissate dall’ente per la disciplina della materia”;
• il quesito referendario appare “non coerente con i principi generali e con le specifiche normative statutarie e regolamenti dell’ente, fermo restando che ogni determinazione in merito non può che essere rimessa all’autonomia decisionale del consiglio comunale”.

[4] Un appello in tal senso era subito  stato subito lanciato anche da FOB.
(https://freedomofbelief.net/it/legge-anti-moschee-rapporto-fob)

[5] La libertà di religione (sentenza della Corte Costituzionale  n. 334 del 1996) “rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall’art. 2 Cost.”.

[6] Si pensi, ad esempio, al riconoscimento delle festività religiose (http://www.interno.gov.it/it/temi/cittadinanza-e-altri-diritti-civili/religioni-e-stato/festivita-religiose-confessioni-diverse-quella-cattolica).

[7] “Problemi e prospettive per l’Islam in Italia”, articolo di Izzedin Elzir edito in Coscienza e Libertà 51/2015.

Tag