La libertà di religione è sempre un diritto

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Steno Sari

di Steno Sari — Dalla nascita ci vengono trasmesse idee religiose dai nostri genitori e così la religione professata da adulti diventa quasi sempre una tradizione di famiglia che porta ad accettare spesso passivamente le scelte decise da altri per noi. Un tema molto delicato in uno Stato di diritto come il nostro, dove la scelta e la pratica religiosa è tutelata dall’articolo 19 della Costituzione. Pensiamo per esempio a cosa può succedere quando, nel caso di separazione, in una casa religiosamente divisa, un genitore vuole impartire la sua educazione religiosa al figlio minore mentre l’altro vi si oppone.

Una sentenza della Corte di Cassazione, depositata in questi giorni, ha sostenuto il diritto di una madre testimone di Geova di impartire al figlio minorenne la sua educazione religiosa nonostante l’opposizione del marito separato. La Cassazione ha ricordato che «tutte le confessioni religiose» hanno «pari dignità davanti alla legge» e che, in caso di disaccordo fra i genitori in merito all’educazione dei figli, il giudice non ha il compito di esprimere un giudizio su quale religione per lui sia migliore; deve solo verificare se una certa educazione rechi danni concreti al minore.

La sentenza è arrivata dopo due gradi di giudizio che hanno visto coinvolta una testimone di Geova della zona di Como. Dopo la separazione, benché il figlio fosse stato affidato principalmente alla madre, il padre aveva insistito che venisse educato esclusivamente secondo i princìpi cattolici. Pertanto aveva chiesto al tribunale di impedire alla moglie di condividere con il figlio le proprie convinzioni religiose e di portarlo alle riunioni religiose dei Testimoni di Geova. La richiesta del padre era stata accolta sia in primo grado che in appello. Nella sentenza di primo grado la Corte aveva motivato la decisione denigrando la religione della madre, arrivando ad affermare che avesse una «natura settaria». La sentenza di appello aveva confermato la precedente decisione con la motivazione di «non creare confusione nel minore, proponendogli contemporaneamente insegnamenti differenti, con il rischio di disorientarlo».

La Cassazione ha stabilito che la sentenza di primo grado era basata «su un’inaccettabile valutazione di disvalore della religione dei Testimoni di Geova» e che la Corte d’Appello era «incorsa ugualmente in una falsa applicazione dei principi di uguaglianza e di libertà religiosa» manifestando «un pregiudizio nei confronti della religione [dei Testimoni di Geova]». La Cassazione ha inoltre fatto notare che la Corte di Appello aveva emesso la sentenza discriminatoria senza preoccuparsi di ascoltare il parere del minore (di sette anni) e non dando nessuna spiegazione di tale mancanza. La Cassazione ha quindi rinviato la decisione alla Corte d’Appello che, sulla base dei princìpi di legge menzionati sopra, dovrà rivedere la propria precedente sentenza.

L’avvocato Lucio Marsella, del collegio di difesa della giovane madre,ha commentato: «Ancora una volta la Cassazione è stata vigile nel garantire il rispetto della Costituzione e della legge superando stereotipi e pregiudizi anche di tipo culturale. Ha garantito il diritto di un minore di ricevere pienamente l’eredità spirituale e culturale di ciascuno dei genitori indipendentemente dagli orientamenti della maggioranza. Speriamo che grazie a questa sentenza si affermino maggiormente la tolleranza e il reciproco rispetto, valori che devono trovare speciale tutela in una corte giudiziaria».

I principi cristallizzati nella Costituzione Italiana vanno nella direzione della laicità dello Stato che sostiene l’uguaglianza morale e giuridica dei genitori, la libertà religiosa anche all’interno della famiglia, l’uguaglianza di tutte le religioni, senza esprimere giudizi di valore o di merito come se ci fossero religioni di serie A e di serie B.

Fonte: «Libero» del 13 settembre 2019