La libertà di stampa

Sezione:
propaganda digest - the lying truth

“La giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali,
così come la verità lo è dei sistemi di pensiero"

John Rawls

La conferenza sulla libertà di stampa tenuta alcuni anni fa (qui ne è pubblicata la trascrizione), intendeva e intende sottolineare la funzione di debunking che la stampa "buona" (così è stata indicata) dovrebbe o meglio deve fare. Quest'intenzione di verità accompagna quella libertà come suo elemento costitutivo, spesso se non spessissimo, tradito. La attuale esperienza della comunicazione giornalistica "peggiore" sono i programmi televisivi di informazione o di approfondimento che con riferimento alle minoranze di credenza o religiose spesso tradiscono due volte la verità, posto che si presentano come inchiesta giornalistica o articolo di debunking loro stessi. "Le notizie raccontate in queste rubriche non sono propriamente false ma sono dentro una "storia sbagliata": qualcosa è denunciato con allarmismo come evento eccezionale (...) e invece è il semplice, normale e non problematico esito di certe condizioni (quindi il fatto è vero ma spiegandone le cause, si vede che non è allarmante); oppure si identificano nemici e piani programmatici laddove ci sono semplici causalità o contingenza che non hanno alcuna regolarità e ripetitività ... in comune, tanto nella retorica dell'allarmismo quanto in quella della cospirazione, la costruzione di una minaccia pericolosa, la costruzione di una narrativa deformante" (Anna Maria Lorusso, Postverità, Editori Laterza, 2018, p. 61).

È in particolare contro questo "falso" e "ingannevole" debunking che si pone il diritto alla verità di ogni cittadino e di tutti e l'esigenza di una sua tutela giuridica efficace. È la verità infatti che sola può tradursi in giustizia sociale e la storia della libertà della stampa "buona" davvero lo dimostra.


LA LIBERTÀ DI STAMPA

Conferenza del 4 gennaio 2015 di Fabrizio d’Agostini
(in occasione della giornata internazionale della libertà di stampa)

La libertà di stampa, come tutti i diritti di libertà che non stabiliscono quale ne sia il contenuto, è un diritto difficile, controverso e del quale nello stesso tempo non è più possibile fare a meno, costituendo uno dei diritti che caratterizzano l’età appena trascorsa, il secondo ‘900, l’“età dei diritti” e caratterizzano tutt’ora il nuovo secolo.

È un diritto che si è affermato lentamente, attraverso una storia solo occidentale travagliata e spesso insanguinata.

L’inizio della storia del diritto alla libertà di stampa è tecnologico più che ideologico è può essere fissato nel 1450, quando Gutenberg a Magonza inventa i caratteri mobili, il tornio e l’inchiostro da stampa e stampa 180 copie della Bibbia. Un fatto tecnologico che ha cambiato il mondo cominciando a renderlo più piccolo.

La storia del diritto alla libertà di stampa è necessariamente intrecciata con altre storie. In particolare con quella di poter comunicare il proprio pensiero senza subire conseguenze e quest’ultima storia ha un suo pallido inizio in Inghilterra nel Agreement of People del 28 ottobre 1647 che, per la prima volta, con pochi articoli pone limiti al potere assoluto del Sovrano e, subito dopo aver affermato il diritto alla libertà di religione, stabilisce: “dopo che l’attuale parlamento sarà stato sciolto, nessuno potrà mai più essere sottoposto a procedimento per quanto detto o fatto nel corso delle recenti controversie pubbliche, …”.

Nel 1763 Voltaire pubblica il Trattato sulla tolleranza. Qui il Trattato interessa non tanto per il legame con il diritto alla libertà di religione, quanto perché la prima parte del Trattato appare ante litteram costituire il primo giornalismo d’inchiesta “moderno” ed è anche il primo caso noto nel quale non è l’applicazione di un diritto, una norma di legge, loi o Agreement, ma, sulla spinta del Trattato, è l’opinione pubblica a condizionare il potere e a imporre la revisione di un processo. Voltaire racconta del processo alla famiglia Calas, famiglia ugonotta calvinista accusata di aver ucciso uno dei figli e fratello perché intenzionato a convertirsi al cristianesimo. Nel processo sono coinvolti tutti i famigliari e un amico. All’esito di un processo attraversato da un pregiudizio infinito, il padre era stato condannato, torturato e giustiziato. Voltaire esamina i presupposti di fatto di quel processo, la prove, i ragionamenti e denuncia l’ingiustizia.

Sotto la spinta dell’opinione pubblica, un nuovo giudizio riconosce che si era trattato di un suicidio e riabilita Calas, le figlie chiuse in convento vengono restituite alla madre e il figlio, esiliato, torna libero di tornare in Patria.

È l’epoca dei lumi e l’illuminismo di qua e di là dell’oceano Atlantico comincia a creare e promuovere i diritti di libertà come diritti propri dell’essere umano, naturali, insopprimibili. Una sorta di riscossa del giusnaturalismo, argine contro la tirannia.

È un avvento, quello dei diritti, non senza feriti e morti, ma la storia occidentale prende un indirizzo che non abbandonerà più.

Nel Bill of Rights, dichiarazione dei diritti della Virginia, del giugno 1776, compare per la prima volta il termine “libertà di stampa”, sezione 12, “La libertà di stampa è uno dei grandi capisaldi della libertà e non può mai essere limitata che da governi dispotici”.

Segue subito dopo la Pennsylvania, art. 12, “Il popolo ha diritto alla libertà di parola, di scrivere e di rendere pubblici i suoi sentimenti; perciò la libertà di stampa non può essere limitata”.

Le costituzioni nordamericane influenzeranno potentemente la politica europea e nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” all’esito di infuocate discussioni e dibattiti, la Francia della rivoluzione borghese costituzionalizzava la libertà di stampa. L’art.11 della Dichiarazione prevede infatti che “La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”.

Ormai le gazzette del sabato e i giornali si moltiplicano e, nati in Inghilterra, si diffondono in tutta Europa e in America.

Alla fine del ‘800 (1898), per la penna di un grande scrittore, viene pubblicata sul giornale l’Aurore (quotidiano socialista) quella che può essere considerata la prima vera e propria inchiesta giudiziaria. È il “J’accuse” di Émile Zola, lettera aperta al Presidente della Repubblica che ripercorre la storia della falsa accusa di tradimento al capitano ebreo Dreyfus e il falso processo che aveva condotto nel 1894 alla condanna del capitano all’ergastolo alla Caienna.

“J’accuse” è un violentissimo attacco alle gerarchie dell’esercito francese e si chiude con una sequenza martellante di “io accuso” con nome e cognome degli ufficiali che solo per antisemitismo avevano inventato prove false e nascosto prove vere.

Zola subisce un processo e viene condannato, ma quell’articolo causa la revisione del processo a Dreyfus e nel 1906 la Corte Suprema riabilita il capitano e lo reintegra nell’esercito.

È la forza della stampa quando si fa carico della giustizia.

Ma la stampa ha anche un’altra grande funzione storica ed è quella di creare unità di popoli e di intenti.

Non sarebbe possibile comprendere la formazione di quella unità culturale, quella religione civile nordamericana quale si forma agli inizi del ‘900 senza le gazzette del sabato o i fogli dei quotidiani che arrivano in ogni luogo e in ogni terra di quel continente smisurato che aveva raccolto e raccoglieva ancora profughi e coloni inglesi, tedeschi, francesi, spagnoli … mille confessioni religiose dai puritani inglesi agli Amisch tedeschi e mille linguaggi.

Anche per ragioni tecnologiche (le rotative) sono soprattutto i racconti di appendice e le strisce domenicali che negli anni precedenti la seconda guerra  mondiale, caratterizzano la cultura del Nordamerica … È la Hard Boiled Literature, il Pulp: da Hammet (Falcone Maltese) a Chadler e a Cain (Il postino suona sempre due volte).[1]

È per la rivoluzione industriale; è per la Stampa e le rotative che si può cominciare a parlare di cultura di massa e di post-moderno (il termine risulta utilizzato per la prima volta nel 1934 dai un critico d’arte).

Ed è anche agli inizi del secolo scorso che emerge, con più evidenza che nel passato, la forza, spesso terribile, distruttiva della stampa.

Certo le scelte sono sempre degli uomini, dei giornalisti, ma la stampa, periodica o quotidiana, diviene docile strumento di potere, di propaganda e di spregiudicato sfruttamento delle passioni umane sia con la pubblicità commerciale, sia con quella politica, razziale, religiosa (mercanti di caos).

Nel 1920 il Times di Londra pubblica i “Protocolli dei savi anziani di Sion”, uno dei più famosi documenti anti ebrei, indicato come “il testo integrale del programma ebraico per la conquista del mondo”.[2]

L’anno dopo il Times stesso, chiedendo scusa, riconoscerà trattarsi di un clamoroso falso dei servizi segreti russi in funzione antinapoleonica, ma tutt’ora, nel 2015, i Protocolli fanno parte dello statuto di Hamas e ancora avvelenano gli animi.

È in quei anni all’inizio del ‘900 che Simone Weil, nell’Enrancinement (La prima radice), denuncia il grande danno che i giornali possono causare se spregiudicati e privi di responsabilità verso gli esseri umani e poco dopo ancora più duro il filosofo Popper accusa i giornali d’infamia perché privi di moralità.

Ma qualche cosa di nuovo sta avvenendo.

Il 6 gennaio 1944 Roosvelt pronuncia davanti al Congresso americano il “discorso delle quattro libertà” sulle quali, come pilastri, fondare la società che doveva uscire dalla seconda guerra mondiale e “La prima libertà (per la prima volta non è la libertà di religione), è la libertà di parola e di espressione in tutto il mondo”, libertà seguita dalla libertà di religione, libertà dai bisogni e libertà dalla paura.

L’orrore della seconda guerra mondiale spinge i popoli della terra ad un grande abbraccio. L’abbraccio prende il nome di “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” sottoscritta il 10 dicembre 1948, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Allora furono 48 gli Stati che la sottoscrissero e 8 quelli astenuti.

All’art. 19 la dichiarazione afferma “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.

Fra i sottoscrittori anche Afganistan, Birmania, Cina, Egitto, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Turchia …

Astenuti, i paesi del blocco sovietico (Visinsckj per il blocco chiedeva che la libertà non fosse estesa al fascismo); il Sud Africa (parità delle razze umane) e l’Arabia Saudita (diritto a cambiare religione).

Dunque la libertà di stampa come mezzo di diffusione del pensiero, delle idee e delle intenzioni, appare in teoria ormai radicata e accettata non più con riferimento alla singola nazione ma all’intera umanità. Il rapporto non è più fra popoli e i loro governi, ma fra gli Stati.

In teoria, perché in pratica il diritto alla libertà di stampa si è scontrato da sempre con il potere e con la conseguente censura, qualche volta durissima e la sottoscrizione della Dichiarazione (secondo le intenzione della vedova di Roosvelt avrebbe dovuto essere un patto vero e proprio e non una semplice dichiarazione) più che creare una realtà ha voluto indicare un obbiettivo, uno scopo all’umanità.

Per tutta la seconda metà del ‘900 l’idea dei diritti di libertà ha prevalso.

La libertà di comunicare e di diffondere tramite stampa le proprie idee risulta riconosciuta in tutte le costituzioni o leggi fondamentali europee ed è divenuta elemento qualificante delle dichiarazioni, convenzioni e costituzioni comunitarie.

Da ultimo, la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” (Nizza 2000; Lisbona 2007) all’art. 11 prevede “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.

La rivoluzione degli anni ’80 ha ancor più enfatizzato il bene e il male dell’esercizio di quel diritto e il mondo si è ulteriormente ristretto. L’informatica ha creato partecipazioni e unioni nuove e inaspettate e ritenute impossibili a tal punto che l’unione, che dal punto di vista politico il mondo non riesce ad avere o ha davvero parzialmente, è invece in atto su internet (ancora il mondo non ne è pienamente consapevole).

Intanto, è nel 1993, sotto l’impatto di “mani pulite” che viene sottoscritto il codice deontologico dei giornalisti italiani.

Come già accennato la forza buona della stampa è quando si fa carico della giustizia. Non bisogna dimenticarlo.

Concludo questa storia come segno della consapevolezza del valore della stampa “buona”, ricordando quella forza in un film famoso uscito in Italia nel 1952. L’“Ultima minaccia” con uno straordinario Humphrey Bogart direttore di un quotidiano che lotta per impedirne la chiusura per portare a termine una inchiesta sull’omicidio di una ragazza da parte di un potente boss della malavita organizzata che in ogni modo cerca di fermare l’inchiesta. L’ultima scena del film in bianco e nero avviene a notte fonda appena fuori della sede del giornale ed è il faccia a faccia fra il direttore e il boss, con sullo sfondo le rotative che nel frastuono sfornano a ritmo incessante migliaia di copie del quotidiano che contiene la conclusione dell’inchiesta e la prova della colpevolezza del boss. È in quel momento e a fronte di quelle mille e mille copie sfornate dalle rotative che Humphrey Bogart, a muso duro, pronuncia la frase che rimarrà famosa: “È la stampa, la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente, niente”.

Venti anni dopo, nel 1972, il giornalismo d’inchiesta coinvolgerà la Casa Bianca: è il Watergate.


NOTE

[1] “I pulp arrivano dappertutto, nelle zone d’ombra della società americana. La loro particolare struttura industriale (un tanto a “riga”), ovvero le norme accettate del hack writing e dello pseudonimo, tiene in ombra talenti che saranno riscoperti molto più avanti: persino molti scrittori di grido si sono fatti le ossa scrivendo racconti per poche lire, affinando proprio nella disciplina la propria arte; oltre ai nomi celeberrimi di Hammett e Chandler, con i loro fin troppo ricordati private eyes Sam Spada e Philip Marlowe, bisognerebbe parlare a questo punto di Lovecraft, Dent, Howard, Heinlein, Cain, Stout …” (Storia della letteratura americana, AA. VV., Bur, Saggi, p 406).

[2] Nel 1881 venne fondata a Parigi dell’ebreo Isacco Crémieux (Gran Maestro della massoneria francese) in collaborazione con gli altri ebrei Carlo Marx, Engels, Lassalle ed ad uno stato maggiore israelita, un’associazione che prese il nome di “Alleanza Israelita Universale”. In questa occasione venne deliberato che la Sinagoga non aveva compreso il vero significato della parola “Messia”. Per “Messia” si doveva intendere non questo o quest’altro figlio, ma il Popolo israelita stesso preso collettivamente, il quale, prendendo coscienza della sua superiorità etnica, doveva vincere il mondo e piegarlo sotto il giogo della razza giudaica” (protocolli dei savi anziani di Sion, introduzione – 580)