Libertà di religione e laicità dello Stato durante la crisi del COVID-19: Il caso dell'Italia

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Francesco Alicino

di Francesco Alicino — Abstract — L'articolo analizza il ruolo della libertà religiosa e del principio di laicità dello Stato in Italia durante la pandemia del Covid-19. In particolare, l'autore si concentra sulle misure restrittive anti-Covid-19 del governo che hanno limitato alcuni diritti fondamentali, tra cui il diritto di professare e celebrare liberamente i riti religiosi in comunità; ciò ha generato un vivace dibattito. Tuttavia, a differenza di altri Paesi occidentali, in Italia il dibattito è rimasto confinato nell'ambito delle controversie accademiche, mentre il controllo giudiziario è stato pressoché inesistente. Ciò stimola interessanti interrogativi circa gli effetti pandemici di lunga durata su importanti fattori del principio di laicità italiano, tra cui il metodo del bilateralismo (Stato-Chiesa) e le sue connessioni con il diritto alla libertà religiosa.

Parole chiave: Italia – Covid-19 – religione – libertà – laicità – emergenza

1 Introduzione

È difficile fare ampie generalizzazioni sull'epidemia del COVID-19 (nota anche come SARS-CoV-2) Questo è particolarmente vero se si prende in considerazione l'Italia, dove, all'inizio del 2020 il numero di persone infette, il tasso di incidenza, il tasso di ospedalizzazione e il tasso di mortalità variavano drammaticamente da anziani a giovani, da nord a sud, da regione a regione e persino da una città all'altra. Una cosa è certa: il virus si è diffuso rapidamente, ha attraversato la penisola e ha messo il Paese in una situazione di emergenza senza precedenti. Questo non solo per quanto riguarda l'epidemia in sé, ma anche per le risposte delle autorità pubbliche, a partire dal Governo che, in quel periodo, ha imposto misure restrittive straordinarie. All'inizio dell'epidemia queste misure riguardavano alcune città del Nord-Ovest. In seguito vennero estese all'intera nazione [1]. Come il problema in questione, anche l'intervento del Governo fu senza paragoni nella storia della Repubblica Italiana. La prova più eloquente è il fatto che quei provvedimenti sospendevano alcuni diritti fondamentali, tra cui quello di professare e celebrare liberamente i riti religiosi in comunità.

Da qui è nato un vivace dibattito soprattutto in relazione alle limitazioni imposte alla vita liturgica pubblica (messe, funerali, battesimi, matrimoni) della Chiesa cattolica, religione maggioritaria in Italia [2]. Tuttavia, a differenza di altri paesi occidentali, in Italia il dibattito è rimasto confinato nell'ambito delle dispute accademiche, mentre il controllo giudiziario è stato pressoché inesistente [3].

Tutto ciò stimola intriganti interrogativi sia sulla posizione della libertà religiosa nell'ambito della crisi del COVID-19 (sezione 2), sia sulla procedura con cui sono state adottate le misure restrittive sulle riunioni spirituali (sezione 3). In particolare, il dibattito ci porta a chiederci se le attività riguardanti il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso e di celebrare riti siano state declassate da essenziali – cioè fondamentali – a un livello inferiore di interesse giuridico durante e dopo la crisi del COVID-19 (sezione 4). Allo stesso tempo, l'esperienza pandemica italiana ha sollevato dubbi sul ruolo degli articoli 7 e 8 della Costituzione che regolano la cooperazione tra Stato e religioni e il riconoscimento dell'autonomia delle chiese, che non hanno influenzato l'attuazione delle misure restrittive nella fase iniziale dell'epidemia del 2020. Questi interrogativi portano anche a concentrarsi sugli effetti duraturi della pandemia su importanti fattori del principio di laicità dell'Italia, tra cui il metodo del bilateralismo (Stato-Chiesa) (sezioni 5 e 6).

Come vedremo, l'analisi di queste questioni fornirà anche una visione delle ragioni della (non) reazione giudiziaria in questo campo (sezioni 2-4).

2 Libertà di professare la religione come diritto essenziale

La Costituzione italiana riconosce a tutte le confessioni religiose la stessa libertà di fronte alla legge [4]. La Costituzione afferma anche che tutti gli individui hanno il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso in qualsiasi forma, individualmente o con altri [5], senza discriminazioni [6]. La Costituzione stabilisce inoltre che il carattere religioso o lo scopo religioso dei gruppi sociali non può giustificare speciali limitazioni legali alla loro fondazione, al loro status o a qualsiasi loro attività [7].

Tutte queste disposizioni sottolineano la natura essenziale-fondamentale della libertà religiosa, nel senso individuale e collettivo dell'espressione. Tale natura, peraltro, è sancita anche dall'articolo 32 della Costituzione in base al quale «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività». Come ha stabilito la Corte Costituzionale italiana (CCI) nel caso ILVA del 2018, la pronta rimozione di qualsiasi fattore di pericolo per i diritti inviolabili di cui all'articolo 32 impone allo Stato di prestare la massima attenzione alla tutela della salute umana e dell'integrità fisica degli individui [8]. In altre parole, la salvaguardia della salute richiede che le autorità pubbliche difendano la salus rei publicae che, nelle situazioni di emergenza in generale e nel caso della pandemia di SARS-CoV-2 in particolare, può assumere le caratteristiche di lex suprema. In effetti, in casi come questi la vecchia formula salus rei publicae suprema lex esto sembra essere appropriata; il che non significa che questa lex possa assumere un carattere tirannico [9].

La tutela costituzionale dei diritti fondamentali si basa sulla loro reciproca integrazione. Se così non fosse, «si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette» [10]. I conflitti tra diritti concorrenti devono essere risolti attraverso un bilanciamento tra gli uni e gli altri. Il test del bilanciamento, tuttavia, non sempre produce una soluzione vantaggiosa per tutti. Spesso accade che un diritto fondamentale debba prevalere sugli altri, a seconda della situazione esistente e delle circostanze concrete. È proprio questo il caso della tutela della salute che, durante un'emergenza pandemica, tende a prevalere su alcuni aspetti della libertà religiosa, come quelli che si riferiscono al diritto di professare liberamente il proprio credo religioso con altri e di celebrare riti in pubblico.

In una democrazia costituzionale questo diritto è sempre essenziale. Ma, nonostante la sua essenzialità, la libertà di culto deve essere sottoposta ai vincoli contestuali (necessari) dell'emergenza pandemica, in base ai quali la bilancia della Costituzione pende verso la tutela della salute, per quanto temporanea. Ciò non significa che la libertà di religione cessi di essere essenziale, né che questa libertà debba essere interpretata in modo da discriminare i credenti e i non credenti o una determinata religione o credo. La libertà di religione deve essere limitata selettivamente alla luce di ragionevoli standard di proporzionalità tra le misure necessarie utilizzate e gli obiettivi perseguiti. Ciò obbliga a prendere in seria considerazione i costi e i danni reali che la situazione di emergenza potrebbe comportare. Di conseguenza, la fonte di prova più convincente per capire se le limitazioni alla libertà religiosa sono ragionevolmente appropriate richiede innanzitutto di accertare se le misure restrittive sono necessarie per la gestione di situazioni di emergenza. Naturalmente, non si possono sottovalutare i rischi di abuso di potere che queste situazioni offrono alle autorità pubbliche. Tuttavia, la semplice possibilità di abuso non è sufficiente a impedire l'attuazione di misure necessarie in risposta a pericoli reali. Il rischio di potenziali abusi deve essere evitato attraverso la diffusione di informazioni accurate che riguardano sia i dati empirici sulla salute pubblica sia il lavoro delle persone giuridiche, compreso il Governo.

Queste considerazioni sono ancora più rilevanti se si considera che le risposte del governo italiano per il contenimento del COVID-19 non sono state esenti da problemi legali. Il massiccio ricorso agli atti amministrativi denominati DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) per adottare le misure anti-COVID-19 ne è una delle prove più tangibili [11]. Un'altra importante indicazione viene dal fatto che molte volte il contenuto dei DPCM non era chiaro, in quanto erano spesso accompagnati da fonti non legali, come le FAQ del Ministro dell'Interno e i promemoria interni (circolari) [12]. Inoltre, per molti studiosi era costituzionalmente inappropriato utilizzare i DPCM e persino i decreti legge per delegare al Governo e agli altri rami della pubblica amministrazione una consistente massa di poteri che invadevano i diritti e le libertà fondamentali [13].

È inoltre importante notare che durante la crisi del COVID-19 i politici nazionali e locali hanno cercato di aggiungere credibilità alle loro azioni attraverso pareri scientifici. Il problema di questo comportamento è che gli scienziati non sempre hanno risposte concrete e potrebbero sentirsi sotto pressione da parte dei politici a spingersi al di là di ciò che è effettivamente conosciuto. Di conseguenza, tutti gli schieramenti politici tendono ad utilizzare come arma ogni informazione (incerta) che, per questo stesso motivo, potrebbe aprire la porta a controversie. Ciò avviene soprattutto quando l'oggetto del contendere è la combinazione tra la tutela della salute e la natura multiforme della libertà religiosa che, non a caso, non sono sempre facili da bilanciare.

Tuttavia, nonostante la potenziale area di controversie legali, in Italia il controllo giudiziario delle leggi di emergenza per il COVID-19 è stato quasi inesistente. Una possibile spiegazione di ciò potrebbe essere che le questioni in gioco sono questioni di natura costituzionale che, in quanto tali, sono soggette al controllo della Corte Costituzionale italiana. Questo controllo è centralizzato e nella maggior parte dei casi solo "incidentale": la questione di costituzionalità si pone come "incidente" durante i procedimenti giudiziari ordinari e viene certificata alla CCI dai giudici che presiedono tali procedimenti. Il risultato è un minore dinamismo da parte della CCI che, durante la crisi del COVID-19, non ha avuto la possibilità di intervenire su misure restrittive antipandemiche riguardanti la libertà religiosa.

Una spiegazione ulteriore, a mio avviso più realistica, è che, dato l'alto grado di competenza scientifica richiesto dalle questioni in gioco, gli esperti del settore sanitario hanno agito da filtro per le potenziali nomine giudiziarie. L'esempio più importante è il ruolo svolto dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS). Con sede presso il Dipartimento della Protezione Civile del PM [14] e insieme all'Istituto Superiore di Sanità (ISS), il CTS ha acquisito una funzione normativa essendo intensamente coinvolto nell'attuazione delle misure restrittive anti-COVID-19, comprese quelle relative alle cerimonie religiose. Basti pensare ai "Protocolli per la ripresa delle messe pubbliche" del 2020 che, non a caso ma piuttosto per necessità, il CTS ha approvato prima di sottoporli alle autorità statali [15] e ai rappresentanti religiosi [16] per la firma [17].

Credo che l'assenza di un controllo giudiziario sia dovuta alla molteplicità di fattori che ho cercato di analizzare finora. Almeno questo è ciò che emerge dalla lettura dell'unica sentenza giuridica finora emessa in materia. Si tratta del decreto del 29 aprile 2020 del TAR del Lazio, che ha respinto un ricorso contro le misure restrittive anti-COVID-19 dei DPCM sulle cerimonie religiose. Senza sottovalutare il diritto fondamentale degli individui a partecipare alle riunioni spirituali, il TAR del Lazio ha ritenuto che la tutela della salute debba avere la precedenza su altri diritti. Questo è evidente, ha chiarito il Tribunale. Inoltre, il TAR del Lazio ha affermato che ciò è ancora più evidente quando esistono alternative temporanee (ad esempio, cerimonie online in live-streaming) che potrebbero contribuire a porre rimedio al sacrificio del ricorrente e di tutti i credenti religiosi che non possono partecipare al culto con altri e in edifici religiosi. In altre parole, mirando a proteggere la salute dall'agente patogeno virulento, le misure governative avevano un enorme margine di discrezionalità, in quanto tali misure erano normalmente concepite per impedire il controllo da parte della magistratura [18].

L'assenza di ricorsi giudiziari suggerisce inoltre che, nel rispetto dei canoni di proporzionalità, le misure restrittive del governo sembrano essere state adottate per garantire che il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso fosse relativamente limitato, ma non eliminato. Le misure del Governo erano basate su considerazioni di salute pubblica e non erano utilizzate per reprimere il dissenso o colpire gruppi religiosi, siano essi maggioritari o minoritari. Le misure restrittive non hanno limitato la libertà di culto dei credenti in quanto persone. Tali misure riguardavano solo l'esercizio pubblico del culto delle religioni come istituzioni collettive. In altre parole, le misure restrittive anti-COVID-9, pur limitando la libertas ecclesiae, non hanno mai messo in discussione la libertas fidelium [19].

Nel contesto dell'emergenza, i riti e gli incontri spirituali sono opportunità essenziali per le persone di praticare ed esercitare il loro diritto alla libertà religiosa. E, naturalmente, l'impossibilità di partecipare a tali cerimonie può provocare disagi, se non problemi di salute. Resta il fatto che durante la prima fase della crisi del 2020 la minaccia proveniva da un virus che non faceva distinzione tra credenti e non credenti. Allo stesso tempo, la SARS-CoV-2 non faceva distinzione tra edifici di culto e altri luoghi come ristoranti, bar, teatri, arene, stadi sportivi, negozi. In condizioni normali questa somiglianza può essere inaccettabile per molte persone: non si possono paragonare gli spazi di culto religioso ad altre aree come bar e ristoranti. In caso di pandemia globale, questo confronto è in qualche modo necessario per tenere sotto controllo la diffusione del virus letale. Tutti gli incontri, compresi quelli religiosi, sono potenziali vettori di trasmissione della malattia, che mette in pericolo non solo i partecipanti ma anche tutti coloro con cui interagiscono.

Questa posizione potrebbe essere sostenuta anche dall'interpretazione di alcuni testi religiosi, tra cui il Codex Iuris Cononici dove si afferma (canoni 213 e 843.1) che «il diritto di ricevere i sacramenti – e quindi l'obbligo per i sacerdoti di amministrarli – è soggetto a circostanze personali e oggettive sia di tempo che di luogo». Quindi, i cattolici «devono tenere conto del diritto individuale e collettivo all'assistenza sanitaria», che è stato «messo sotto attacco dall'epidemia di sindrome respiratoria acuta grave associata al coronavirus o SARS-CoV2». La dottrina cattolica «ritiene che in alcune circostanze l'autorità civile possa legittimamente limitare l'esercizio pubblico della libertà di religione» [20].

Resta il fatto che questa situazione ha inciso sull'autonomia delle Chiese e dei loro rappresentanti, che nella prima fase della pandemia COVID-19 non sono stati coinvolti nella preparazione e nell'attuazione delle misure anti-pandemia che limitano il diritto di professare il proprio credo religioso. Questo spiega perché il dibattito italiano si è tradotto in una discussione più generale sul metodo di cooperazione bilaterale Stato-Chiesa (di seguito metodo del bilateralismo) sancito dagli articoli 7.2 e 8.3 della Costituzione. Anche in questo caso, il dibattito è stato relegato nel contesto della disputa dottrinale senza alcuna reazione giudiziaria. Anche il metodo del bilateralismo, quindi, sembra essere fortemente influenzato da un ampio margine di discrezionalità politica che, in quanto tale, "non potrebbe essere oggetto di sindacato in sede giudiziaria" [21].

3 Autonomia della Chiesa in condizioni di emergenza

È importante notare che l'articolo 7 della Costituzione italiana stabilisce la reciproca indipendenza e sovranità sia per lo Stato che per la Chiesa Cattolica Romana. Sebbene meno forte, questo principio è sancito anche dall'articolo 8.2 che riconosce il diritto all'auto-organizzazione alle religioni minoritarie, definite come confessioni diverse dalla Cattolica. Allo stesso tempo, gli articoli 7.2 e 8.3 regolano i rapporti tra Stato e Chiese. Sulla base di quello che gli studiosi chiamano tipicamente metodo della bilateralità pattizia, questi articoli promuovono norme legislative che mirano a combinare il rispetto degli obblighi costituzionali generali e l'attenzione alle specifiche rivendicazioni religiose [22].

In particolare, l'articolo 7.2 dichiara che i Patti Lateranensi del 1929 [23] regolano le relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica. Tuttavia, questo articolo afferma anche che qualsiasi modifica a tali Patti, se accettata dalla Santa Sede e dallo Stato, non richiede la procedura di modifica costituzionale [24]. Ciò contribuisce a spiegare il contenuto dell'Accordo di Villa Madama (d'ora in poi Accordo del 1984) che il Governo e la Santa Sede hanno firmato nel 1984 e il Parlamento italiano ha ratificato un anno dopo [25].

Tenendo conto dell'articolo 7.1, l'Accordo del 1984 gode di una speciale protezione costituzionale, in quanto non può essere contraddetto da una legislazione unilaterale [26]. Inoltre, l'Accordo del 1984 è visto come il prototipo giuridico del metodo del bilateralismo, che è anche incorporato nell'articolo 8.3 della Costituzione [27]. Di conseguenza, solo gli atti legislativi possono regolare i rapporti tra le religioni minoritarie e lo Stato [28]. Tuttavia, questi atti devono basarsi su intese  tra lo Stato e le confessioni diverse dal cattolicesimo [29]. In altre parole, una volta che il governo italiano e i rappresentanti di una determinata religione hanno firmato un'intesa, il governo italiano può firmare un'intesa. In altre parole, una volta che il Governo italiano e i rappresentanti di una determinata religione hanno firmato un accordo (relativo alla Chiesa cattolica) o un'intesa (riferita alle religioni minoritarie), questi due documenti devono essere ratificati (per l'accordo) o approvati (per l'intesa) da specifici atti legislativi del Parlamento.

Per quanto riguarda le organizzazioni prive di intese, esse sono soggette alla legge 1159/1929 sui "culti ammessi" [30]. Essendo stata approvata durante il regime fascista, questa legge non è sempre congrua con il dettato costituzionale [31]. Tuttavia, la legge del 1929 è ancora in vigore, in quanto il Parlamento non è stato in grado di sostituirla con una normativa più conforme alla Costituzione [32]. Queste constatazioni contribuiscono a chiarire perché molti gruppi religiosi sono ancora regolati da leggi più generiche sulle associazioni riconosciute e non riconosciute [33], in quanto questi gruppi non solo sono esclusi dalle intese, ma sono anche impossibilitati a essere legalmente riconosciuti ai sensi della legge 1159/1929 sui culti ammessi [34].

È anche importante sottolineare che il principio di bilateralità fa parte del principio di laicità dell'Italia che non è espressamente menzionato nella Costituzione italiana. Ciò non ha impedito alla CCI di insinuare il contrario. Sulla base di una serie di disposizioni costituzionali (in particolare gli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20), la CCI ha dimostrato che la laicità è uno dei princìpi supremi dell'ordinamento giuridico italiano. Pur riconoscendo che tutte le persone sono uguali davanti alla legge e hanno il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso in qualsiasi forma, individualmente o con altri, il principio supremo della laicità non implica l'indifferenza nei confronti delle religioni. Al contrario, il principio supremo di laicità conferisce uno status giuridico speciale alle confessioni religiose, pur mantenendo un rapporto equidistante e imparziale tra lo Stato e le singole religioni [35].

Il principio supremo della laicità è quindi giuridicamente delineato attraverso la combinazione del favor libertatis, come affermato negli articoli 2, 3 e 19 della Costituzione, e del favor religionis, come illustrato negli articoli 7, 8 e 20 della stessa Carta. Mentre il favor libertatis pone l'accento sui diritti e le libertà degli individui di scegliere e praticare le proprie convinzioni religiose e non, il favor religionis presta particolare attenzione alle confessioni e alle istituzioni religiose, a partire da quella maggioritaria. Il fatto è che il rapporto favor libertatis-favor religionis non sempre si traduce in una coesistenza armoniosa. I complessi e contraddittori dibattiti sulle misure restrittive del Governo per il contenimento dell'epidemia di COVID-19 e il suo impatto sulle relazioni Stato-Chiesa ne sono un esempio. È importante ricordare i commenti di alcuni autori che hanno criticato le misure di emergenza del Governo per la prevenzione e il contenimento degli eventi di super-diffusione verificatisi durante la fase iniziale dell'epidemia di COVID-19 in Italia. Questi critici si sono basati su tre argomenti principali.

In primo luogo, il principio di bilateralità è strettamente connesso al diritto fondamentale alla libertà religiosa che, in conformità con gli articoli 8.1 e 19 della Costituzione, implica altri due diritti inviolabili: il diritto di tutte le confessioni religiose di essere ugualmente libere di fronte alla legge, che è importante per soddisfare le esigenze peculiari di tutte le religioni e dei loro aderenti, compresi i cattolici [36] e il diritto di ogni persona di professare liberamente il proprio credo religioso in qualsiasi forma, individualmente o con altri [37], e di celebrare riti in pubblico o in privato senza la coercizione del governo [38].

In secondo luogo, l'Accordo del 1984 non è tutelato solo dall'articolo 7 della Costituzione italiana. L'Accordo rientra anche nel quadro del più antico principio di diritto internazionale noto con la formula latina pacta sunt servanda [39]. Questa interpretazione, si sostiene, è confermata dall'articolo 7.1 della Costituzione, che stabilisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono indipendenti e sovrani ciascuno nella propria sfera [40].

Infine, ma non per questo meno importante, le misure restrittive del governo hanno violato il principio dell'autonomia della Chiesa, che implica la libertà di organizzazione, l'esercizio pubblico del culto e l'esercizio della giurisdizione in materia religiosa ed ecclesiastica.

Anche se sembrano convincenti, queste argomentazioni rivelano una serie di difficoltà interconnesse.

4 Il metodo del bilateralismo durante l'emergenza

Va chiarito che l'articolo 7.2 della Costituzione regola i rapporti Stato-Chiesa nelle rex mixta areas, cioè dove lo Stato e la Chiesa cattolica hanno degli interessi in comune [41]. Questo articolo non regola e non può regolare tutte le materie giuridiche. Certamente, l'articolo 7.2 non può includere la tutela della salute, rispetto alla quale lo Stato ha competenza esclusiva [42]. Questo perché il diritto alla salute e la tutela della sicurezza pubblica riguardano tutte le persone; pertanto, tale diritto e la relativa tutela non possono essere ammissibili a geometria variabile a seconda delle modalità di relazione Stato-Chiesa [43].

Per quanto riguarda la regola pacta sunt servanda, essa rientra senza dubbio nel diritto internazionale. È altrettanto chiaro, però, che questa norma fa parte di una fonte peculiare nota come diritto internazionale consuetudinario [44]. L'articolo 10 della Costituzione italiana li definisce "principi generalmente riconosciuti" che, come sancito dalla giurisprudenza della CCI, non riguardano l'Accordo del 1984 [45]. È ovvio che questo Accordo è assimilabile a un trattato internazionale. Tuttavia, come la CCI ha più volte affermato [46] e gli studiosi italiani hanno dimostrato attraverso studi approfonditi, lo status internazionale dell'Accordo del 1984 non lo rende una fonte giuridica vincolante di rango costituzionale [47].

Il principio pacta sunt servanda non può essere applicato automaticamente nell'ordinamento italiano, quindi l'Accordo del 1984 non rientra nell'articolo 10 della Costituzione. A questo proposito, è sufficiente ricordare quanto affermato dalla CCI fin dal 1989: «non è mai stata condivisa dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, né di questa Corte [Costituzionale], la tesi secondo la quale i trattati internazionali, pur introdotti nel nostro ordinamento da legge ordinaria, assumerebbero un rango costituzionale o comunque superiore» [48]. Lo stesso si può dire delle considerazioni secondo cui i trattati internazionali non possono «essere abrogati o modificati da legge ordinaria in forza del principio del rispetto dei trattati (pacta sunt servanda)» [49].

Pertanto, le norme dei trattati internazionali, comprese quelle relative all'Accordo del 1984, «non rientrano nell'articolo 10 della Costituzione» [50]. Inoltre, a differenza dei Patti Lateranensi del 1929, anche l'Accordo del 1984 non rientra nell'articolo 7.2 della Costituzione. Ciò è evidente per altre due ragioni interconnesse. In primo luogo, «l'articolo 10 e l'articolo 7.2 della Costituzione si riferiscono ad accordi precisamente individuati, che riguardano rispettivamente la condizione giuridica degli stranieri e i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica».  Quindi questi due articoli «non possono essere riferiti a norme pattizie diverse da quelle espressamente menzionate» [51]. In secondo luogo, dal 1978 la CCI ha affermato che l'articolo 7.2 deve essere inteso come una norma di rinvio fisso, nel senso che fa «un riferimento precisamente identificato ai Patti stipulati ed entrati in vigore nel 1929» [52]. Il fatto è che l'Accordo del 1984 ha sostituito integralmente i Patti Lateranensi del 1929, con l'unica eccezione della prima parte denominata Trattato che, come tale, non riguarda propriamente la materia religiosa, in senso stretto: il Trattato riconosce il Vaticano come Città-Stato. Per queste ragioni, come i Patti del 1929, l'Accordo del 1984 non può rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 7.2. Questa esclusione implica a sua volta che, a differenza dei Patti del 1929 che erano soggetti solo alle parti della Costituzione chiamate principi supremi [53], le norme del 1984 sono soggette a tutte le disposizioni costituzionali.

In particolare, l'Accordo del 1984 è soggetto all'articolo 117, comma 1, della Costituzione, che stabilisce che «la potestà legislativa spetta allo Stato e alle Regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento giuridico dell'Unione europea e dagli obblighi internazionali». Ciò significa che l'Accordo del 1984 non produce disposizioni direttamente applicabili nell'ordinamento giuridico italiano, proprio perché le norme di questo Accordo hanno lo status di obblighi internazionali, anche se con caratteristiche peculiari [54]. Inoltre, dal punto di vista giuridico, l'Accordo del 1984 ha lo stesso status della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) [55], in base alla quale la libertà di manifestare la propria religione o le proprie convinzioni è effettivamente soggetta a specifiche limitazioni, tra cui la tutela della salute e degli interessi della sicurezza pubblica [56].

Per tutti questi motivi, non è logico considerare l'Accordo del 1984 come un test per stabilire la costituzionalità delle misure di blocco del Governo a causa della crisi del COVID-19. Tali misure dovrebbero invece essere verificate sulla base di un adeguato bilanciamento tra il diritto alla libertà religiosa e il dovere dello Stato di proteggere la salute individuale e pubblica.

Sotto questo aspetto, è importante notare che coloro che hanno criticato le misure d'emergenza COVID-19 del governo italiano hanno anche fatto riferimento all'autonomia della Chiesa sancita dall'articolo 2 dell'Accordo del 1984, in base al quale «La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica» [57]. Inoltre, ai sensi dell'articolo 14 dell'Accordo del 1984, in caso di problemi interpretativi, le disposizioni dell'Accordo sono soggette alla «ricerca di un'amichevole soluzione [affidata] ad una Commissione paritetica da loro nominata [lo Stato e la Santa Sede]» [58]. Il problema di questa argomentazione è che l'articolo 2 dell'Accordo del 1984 non riguarda effettivamente la libertà di culto dei cattolici in quanto persone. L'articolo 2 dell'Accordo del 1984 riguarda solo l'esercizio pubblico del culto per la Chiesa cattolica come istituzione religiosa. In altri termini, l'articolo 2 riguarda la cosiddetta libertas ecclesiae e non la libertas fidelium. E le misure di emergenza del Governo non hanno mai messo in discussione la libertas fidelium [59].

Tuttavia, alcuni autori hanno affermato che le misure restrittive del Governo hanno violato le procedure previste dalla Convenzione di Vienna del 1969. Tali misure, hanno affermato, sono state imposte unilateralmente senza la collaborazione della Santa Sede, come richiesto dagli articoli 2 e 14 dell'Accordo del 1984, le cui disposizioni sono state quindi violate: poiché l'Accordo del 1984 è assimilabile a un trattato internazionale, ciò ha comportato anche la violazione della Convenzione di Vienna [60]. Il fatto è che la procedura interna dell'articolo 14 dell'Accordo del 1985 deroga ed esclude la Convenzione di Vienna, procedura che è in contrasto con il principio canonico della Prima sedes a nemine iudicatur (la Prima Santa Sede non è giudicata da nessuno). Pertanto, alla luce del principio della Kompetenz-Kompetenz (in base al quale lo Stato detiene la competenza ultima) [61], quando non è possibile la "soluzione amichevole" di cui all'articolo 14 dell'Accordo del 1984, prevarrà l'interpretazione dello Stato italiano [62]. E se queste considerazioni non bastano, si può ricordare la procedura della Convenzione di Vienna, in base alla quale «una parte che ... invoca sia un vizio del suo consenso ad essere vincolato ad un trattato, sia un motivo per contestarne la validità ... deve notificare la sua pretesa alle altri parti» [63]; questa notifica «deve essere fatta per iscritto» [64]. In relazione ai provvedimenti del Governo dovuti all'emergenza COVID-19, la Santa Sede non ha mai notificato le sue richieste. Pertanto, da un punto di vista giuridico, la questione dell'applicabilità della Convenzione di Vienna non si pone in questo caso [65].

5 Cooperazione amministrativa tra Stato-Religioni

All'inizio del 2020, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza [66]. Il Governo lo ha fatto in base al codice della protezione civile che, in caso di calamità naturali, consente al Governo di adottare misure eccezionali senza il controllo del Parlamento [67]. In questa fase della crisi COVID-19, i luoghi di culto erano aperti al pubblico e l'ingresso era consentito ai singoli individui, a condizione che praticassero il distanziamento sociale e si tenessero ad almeno un metro di distanza dalle altre persone. Infatti, uscire per entrare nei luoghi di culto, ad esempio per pregare, non era considerato un bisogno essenziale o primario [68]. Il 26 aprile 2020, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ha annunciato i piani cautelativi del Governo per una fine graduale del lungo lockdown del Corona-virus in Italia. Ha dichiarato che le misure restrittive, messe in atto da sette settimane, sarebbero state alleggerite a partire dal 4 maggio 2020, quando avrebbero riaperto parchi, fabbriche e cantieri. Per quanto riguarda i luoghi di culto, le condizioni per la loro apertura continuavano a essere soggette all'adozione di misure precauzionali, come la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Le cerimonie civili e religiose sono rimaste sospese fino al 18 maggio 2020 [69].

La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha risposto poco dopo l'annuncio del premier, affrontando le politiche che avrebbero continuato a limitare la facoltà della Chiesa di svolgere l'attività pastorale. I Vescovi hanno chiarito di essere stati in costante trattativa con le autorità dello Stato. Di conseguenza, la CEI aveva proposto linee guida e protocolli «nel pieno rispetto di tutte le norme sanitari»". Tuttavia, secondo la CEI, il governo «esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la messa con le persone». Per questi motivi, la CEI ha ricordato al Governo e al suo Comitato Tecnico Scientifico «il dovere di distinguere tra la responsabilità dello Stato di dare indicazioni precise in materia sanitaria e la responsabilità della Chiesa di organizzare la vita della comunità cristiana; il che significa che la Chiesa rispetterà le misure stabilite, ma nella pienezza della propria autonomia» [70]. Papa Francesco non era del tutto d'accordo. Due giorni dopo, durante la Messa mattutina a Casa Santa Marta, un ostello del Vaticano, in un momento in cui le persone cominciavano a ricevere istruzioni per uscire dalla quarantena, ha detto «preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni» [71].

In realtà, la crisi del COVID-19 non ha impedito alla Chiesa e alle altre religioni di collaborare con lo Stato, come dimostrano chiaramente le misure governative relative alla fase 2 del lockdown per il coronavirus.

L'attenzione si concentra sul "Protocollo per la ripresa delle Messe pubbliche", firmato il 7 maggio 2020 da Giuseppe Conte, dal Ministro dell'Interno Luciana Lamorgese e dal Presidente della CEI Cardinale Gualtiero Bassetti. Il documento stabiliva che le Messe per il pubblico sarebbero riprese il 18 maggio 2020, ma a condizioni rigorose e che i ministri di culto stabilissero il numero massimo di persone che potevano entrare in una chiesa rimanendo ad almeno un metro di distanza l'una dall'altra. In caso di richiesta, si sarebbero tenute altre messe, piuttosto che permettere a più persone di entrare in chiesa per una sola funzione. I fedeli dovevano indossare delle mascherine in chiesa. I sacerdoti celebravano la maggior parte della Messa senza mascherine, ma dovevano indossarne una, così come i guanti, quando distribuivano l'eucaristia. Il Protocollo prevedeva inoltre che i cori fossero vietati, che le acquasantiere rimanessero asciutte e che venisse eliminato il tradizionale scambio di un segno di pace, solitamente sotto forma di stretta di mano [72], Vale la pena sottolineare che in questa occasione il Cardinale Bassetti ha ribadito l'impegno della Chiesa per il superamento dell'attuale crisi della COVID-19 affermando che «il Protocollo è il risultato di una profonda collaborazione e sinergia tra il Governo e la Conferenza Episcopale Italiana, in cui ognuno ha fatto la sua parte in modo responsabile» [73].

È anche importante notare che pochi giorni dopo documenti molto simili (copia e incolla) sono stati firmati da altri leader religiosi, compresi quelli che rappresentano gruppi privi di intese o addirittura non legalmente riconosciuti come religioni [74]. Queste iniziative sono in linea con quelle che vengono chiamate mini-intese, come quelle che si riferiscono ai rapporti tra il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP) e i Testimoni di Geova, le Chiese Protestanti, la Conferenza Islamica (IIC), l'Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche d'Italia (UCOII), i cui ministri religiosi sono ora autorizzati ad entrare nelle carceri [75].

Un altro esempio riguarda la questione degli spazi per le sepolture islamiche nei cimiteri pubblici, nei quali devono essere riservati settori separati per la sepoltura di persone appartenenti a religioni diverse dal Cattolicesimo [76]. I migranti musulmani spesso preferiscono rimpatriare la salma di una persona cara nel proprio Paese d'origine. Ciò è stato impossibile durante l'emergenza della pandemia Covid-19: nella prima fase dell'epidemia, il governo ha impedito l'invio di corpi fuori dal Paese. Di conseguenza, molti musulmani hanno dovuto essere sepolti sul suolo italiano. Tuttavia, non sempre è stato possibile rispettare il requisito islamico della sepoltura entro 24 ore dalla morte. Inoltre, in provincia di Brescia, nella Regione Lombardia, una famiglia macedone ha dovuto tenere in casa la salma di uno dei suoi membri chiusa in una bara per più di una settimana, perché nel Comune in cui vivevano non c'era un campo di sepoltura islamico [77]. Appena un anno prima (febbraio 2019), il Consiglio regionale della Lombardia aveva approvato un emendamento che annullava una disposizione della legge funeraria regionale del 2009 [78] che obbligava le associazioni private a consentire le sepolture negli spazi loro assegnati nei cimiteri pubblici, indipendentemente dal sesso o dalla religione [79]. I leader musulmani hanno risposto che la legge avrebbe probabilmente limitato lo spazio per le sepolture islamiche, creando così un'ulteriore segregazione. Il 4 luglio 2020, nell'ambito della crisi COVID-19, il Comune di San Donato Milanese, un sobborgo di Milano, ha riservato spazi per le sepolture islamiche nel cimitero pubblico di Monticello, frutto di una collaborazione tra autorità locali e comunità religiose.

Va sottolineato che questo tipo di cooperazione non rientra nel metodo della bilateralità. Da un punto di vista giuridico, può essere interpretato nell'ambito della legge unilaterale che regola la procedura pubblica, stabilendo che i singoli, le associazioni o i comitati (che hanno un interesse concreto per la difesa di situazioni giuridicamente rilevanti e che potrebbero essere pregiudicati dal provvedimento adottato dalle autorità pubbliche) hanno il diritto di intervenire durante i procedimenti di regolamentazione [80].

In ogni caso, questi esempi dimostrano che l'emergenza pandemica ha costretto le istituzioni pubbliche a trovare nuove soluzioni nel sistema di relazioni tra Stato e confessioni. Queste soluzioni hanno di fatto aperto la strada allo sviluppo di una collaborazione più efficace per affermare un pluralismo più inclusivo, come richiesto dal principio supremo di laicità dell'Italia.

6 Conclusioni

La laicità italiana si basa sulla concezione di una laicità pluralista. In quanto tale, la laicità italiana si distingue da altri modelli di laicità, come quelli che si rifanno alla laicità militante francese, tesa a tenere la religione fuori dalla sfera pubblica, o alla laicità comunitaria, in cui viene data grande priorità all'autogoverno collettivo di ogni comunità religiosa all'interno dello Stato [81]. In questo modo, le varie religioni minoritarie sono state a lungo parte del pluralismo italiano e hanno spesso goduto di un livello di considerazione pubblica di gran lunga superiore alla loro importanza numerica [82].

Tuttavia, la crisi del COVID-19 ha messo in evidenza alcune sfide tradizionali nell'attuazione del principio di laicità italiano, soprattutto nella sua parte relativa al favor religionis e al metodo del bilateralismo, che sono stati sempre più visti in termini di "esternalità negative": pur creando privilegi per la Chiesa cattolica e un piccolo numero di confessioni minoritarie, il favor religionis in generale e il metodo del bilateralismo in particolare hanno prodotto discriminazioni irragionevoli nei confronti di tutte le altre religioni. È il caso delle comunità musulmane che, in presenza di altre emergenze di lungo corso, dall'immigrazione al terrorismo di matrice religiosa, sono viste con maggiore sospetto da alcuni protagonisti della politica e da una parte della popolazione italiana [83]. Questo ci ricorda anche come i fattori di emergenza endogeni ed esogeni possano incidere sulle posizioni costituzionali dello Stato italiano nei confronti della religione, comprese quelle che si riferiscono al diritto di tutti gli individui e di tutte le confessioni religiose di essere uguali e ugualmente liberi davanti alla legge.

D'altra parte, l'esperienza italiana in materia di pandemia ci ricorda anche che nessun diritto è assoluto. Alcuni diritti, tuttavia, sembrano essere immuni da limitazioni o sospensioni, anche in situazioni di emergenza. È il caso delle libertà dalla tortura, dalla schiavitù e dai trattamenti inumani o degradanti. Questi diritti sono considerati di importanza vitale non solo per gli individui, ma anche per l'esistenza delle democrazie costituzionali. Come la tutela della salute, questi diritti sono strettamente legati allo ius existentiae, cioè alla condizione essenziale per esercitare e godere di tutti i diritti fondamentali. Allo stesso modo, la tutela della salute umana funge da salvaguardia contro l'abuso del potere governativo. Queste considerazioni acquistano ulteriore rilevanza quando si parla di libertà religiosa, che non può essere limitata in modo sproporzionato in nome delle emergenze sanitarie. Per lo stesso motivo, però, la libertà religiosa non è assoluta, in quanto deve essere bilanciata con altri diritti, tenendo conto della condizione esistente e delle circostanze specifiche [84].

In sintesi, le misure restrittive del Governo sulla libertà religiosa sono costituzionalmente protette quando hanno un fondamento giuridico e sono rispettose della dignità di ogni persona, basate su prove scientifiche, di durata ridotta, soggette a controllo giudiziario, proporzionate per raggiungere l'obiettivo di prevenire-contenere le minacce sia alla vita umana che alla sicurezza pubblica. In breve, tali misure restrittive sono costituzionalmente giustificate quando non sono né arbitrarie né discriminatorie nella loro applicazione [85].

Francesco Alicino | ORCID: 0000-0002-3363-7484
Professore di Diritto Pubblico e di Religione e Diritto Costituzionale presso l'Università LUM Jean Monnet, Casamassima, Bari, Italia — alicinoatlum.it (alicino[at]lum[dot]it)

Religion and Human Rights 17 (2022) 82–102

© Koninklijke Brill NV, Leiden, 2022 | doi:10.1163/18710328-bja10027


NOTE

 [1] ⬆︎ Mara Sanfelice, ‘The Italian Response to the COVID-19 Crisis: Lessons Learned and Future Direction in Social Development’, The International Journal of Community and Social Development (1 July 2020), https://doi.org/10.1177/2516602620936037.

 [2] ⬆︎ Si vedano ex plurimis tutti gli articoli pubblicati in https://diresom.net/blog. Si vedano anche tutti gli articoli pubblicati nel Numero the Speciale ‘Salute umana e tradizioni religiose di fronte alle emergenze sanitarie’, Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica-Daimon (2021), pp. 1–324; Pierluigi Consorti, ‘Religion and Virus’, in Pierluigi Consorti (ed.), Law, Religion and Covid-19 Emergency (Pisa: DiReSoM, 2020); Pierluigi Consorti, ‘La libertà religiosa travolta dall’emergenza’, Forum di Quaderni Costituzionali (2020), p. 371; Angelo Licastro, ‘Il lockdown della libertà di culto pubblico al tempo della pandemia’, Consulta on line (2020), p. 229; Alessandro Tira, ‘Normativa emergenziale ed esercizio pubblico del culto. Dai protocolli con le confessioni diverse dalla cattolica alla legge 22 maggio 2020’, 35 Giustizia Insieme (8 giugno 2020); Gianfranco Macrì, ‘Brevi considerazioni in materia di governance delle pratiche di culto tra istanze egualitarie, soluzioni compiacenti e protocolli (quasi) “fotocopia”’, 11 Rivista telematica (2020), p. 75, www.statoechiese.it.

 [3] ⬆︎ Adelaide Madera, ‘Some Preliminary Remarks on the Impact of COVID-19 on the Exercise of Religious Freedom in the United States and Italy’, 2 Rivista telematica (2020), pp. 71–140, www.statoechiese.it.

 [4] ⬆︎ Articolo 8.1 della Costituzione Italiana.

 [5] ⬆︎ Articolo 19 della Costituzione Italiana.

 [6] ⬆︎ Articoli 2 e 3 della Costituzione Italiana.

 [7] ⬆︎ Articolo 20 della Costituzione Italiana.

 [8] ⬆︎ Corte Costituzionale, 23 marzo 2018, n. 58. In questo senso si veda la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE), Swedish Match AB v. Secretary of State for Health, causa C-151/17 (rinvio pregiudiziale), 22 novembre 2018, in cui si afferma che «il legislatore dell'Unione deve tenere conto del principio di precauzione, secondo il quale, in caso di incertezza sull'esistenza o sulla portata dei rischi per la salute umana, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali rischi si manifestino pienamente. Quando risulta impossibile determinare con certezza l'esistenza o l'entità del rischio presunto perché i risultati degli studi condotti non sono conclusivi, ma persiste la probabilità di un danno reale per la salute pubblica qualora il rischio si concretizzi, il principio di precauzione giustifica l'adozione di misure restrittive»..

 [9] ⬆︎ Su questo principio si veda Martin Loughlin, The Idea of Public Law (Oxford: Oxford University Press, 2004), p. 154.

 [10] ⬆︎ Corte Costituzionale, 09 maggio 2013, n. 85 - Caso ILVA e diritto alla salute.

 [11] ⬆︎ Antonio Fuccillo, Miriam Abu Salem e Ludovica Decimo, ‘Fede interdetta? L’esercizio della libertà religiosa collettiva durante l’emergenza COVID-19: attualità e prospettive’, 96 CALUMET—Intercultural Law and Humanities Review (2020).

 [12] ⬆︎ È importante notare che, anche quando si considerano quelle circolari e FAQ come “documenti interpretativi” – cosa che resta e va chiarita – si tratta di istruzioni interne per le pubbliche amministrazioni. Dato che l'obiettivo primario di questo articolo è quello di indagare le questioni relative agli atti giuridicamente vincolanti, penso sia meglio non concentrare la mia analisi su quelle circolari e FAQ. Del resto il dibattito relativo a questi documenti è rimasto relegato a brevi articoli su quotidiani e riviste online, di scarso impatto e evidenza scientifica. Vedi, ad esempio, Simona Sotgiu, ‘Faq nuova fonte di diritto? Il governo faccia chiarezza. Parla Guzzetta’, Formiche (16 aprile 2020), https://formiche.net/2020/04/guzzetta-faq-restrizioni/ (accessed 2 January 2022).

 [13] ⬆︎ Ugo Allegretti, ‘Osservazioni sulla lotta al coronavirus all’inizio della “seconda fase”’, 3 Forum di Quaderni Costituzionali (2020).

 [14] ⬆︎ S ili veda Decreto del Capo Dipartimento n. 371 (5 febbraio 2020) [Istituzione del Comitato Scientifico].

 [15] ⬆︎ Il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'Interno.

 [16] ⬆︎ A cominciare dal presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti.

 [17] ⬆︎ Cfr. Governo italiano, "Protocollo circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo", 63, dove si afferma che «il Comitato Tecnico-Scientifico, nella seduta del 6 maggio 2020, ha esaminato e approvato il presente "Protocollo circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo"».

 [18] ⬆︎ Tar Lazio, decreto del 29 aprile 2020, n. 3453.

 [19] ⬆︎ Nicola Colaianni, ‘Trent’anni di laicità (Rileggendo la sentenza n. 203 del 1989 e la successiva giurisprudenza costituzionale)’, 21 Rivista telematica (2020), pp. 52–66, www.statoechiese.it.

 [20] ⬆︎ Giuseppe Dalla Torre, ‘Coronavirus. Gli ordini dati dallo Stato e gli ordini interni della Chiesa’, Avvenire (22 marzo 2020).

 [21] ⬆︎ Corte Costituzionale, 10 marzo 2016, n. 52.

 [22] ⬆︎ Giuseppe Casuscelli, Post-confessionismo e transizione (Milano: Giuffrè, 1984), p. 55; Raffaele Botta, Tutela del sentimento religioso ed appartenenza confessionale nella società globale. Lezioni di diritto ecclesiastico per il triennio con appendice bibliografica e normativa (Torino: Giappichelli, 2002), p. 54; Carlo Cardia, La riforma del Concordato. Dal confessionismo alla laicità dello Stato (Torino: Einaudi, 1980), pp. 108–109; Giovanni Battista Varnier, ‘La prospettiva pattizia’, in Vincenzo Parlato and Giovanni Battista Varnier (eds.), Principio pattizio e realtà religiose minoritarie (Torino: Giappichelli, 1995), pp. 8–13; Jlia Pasquali Cerioli, ‘Interpretazione assiologica, principio di bilateralità pattizia e (in)eguale libertà di accedere alle intese ex art. 8, terzo comma, Cost.’, Rivista telematica (www.statoechiese.it) (16 luglio 2016); Giuseppe Casuscelli, ‘Il pluralismo in materia religiosa nell’attuazione della Costituzione ad opera del legislatore repubblicano’, in Sara Domianello (ed.), Diritto e religione in Italia. Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libertà religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale (Bologna: Mulino, 2012), p. 23; Giuseppe D’Angelo, Repubblica e confessioni religiose tra bilateralità necessaria e ruolo pubblico: contributo alla interpretazione dell’art. 117, comma 2, lett. c) della Costituzione (Torino: Giappichelli, 2012), p. 13; Francesco Finocchiaro, Diritto ecclesiastico (Bologna: Zanichelli, 2012), p. 128; Giorgio Balladore Pallieri, Diritto costituzionale (Milano: Giuffrè, 1970), p. 124; Francesco Margiotta Broglio, ‘Dalla questione romana al superamento dei Patti lateranensi’, in General Director of President of the Council of Ministers, La revisione del Concordato. Un accordo di libertà (Roma: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1986), p. 19; Salvatore Berlingò, ‘Fonti del diritto ecclesiastico,’ Digesto discipline pubblicistiche (1991), p. 459; Giuseppe Casuscelli, Concordati, intese e pluralismo confessionale (Milano: Giuffrè, 1974), p. 144.

 [23] ⬆︎ Francesco Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla conciliazione (Roma-Bari: Laterza, 1966), p. 77; Roberto Pertici, Chiesa e Stato in Italia. Dalla Grande Guerra al nuovo Concordato. Dibattiti storici in Parlamento (Bologna: il Mulino, 2009), p. 185.

 [24] ⬆︎ Questa procedura è regolata dall'articolo 138 della Costituzione italiana.

 [25] ⬆︎ Si veda la legge 25 marzo 1985, n. 121. È interessante notare che dal 1984 il Governo e le religioni diverse dal cattolicesimo hanno firmato tredici intese, dodici delle quali sono state finora ratificate dal Parlamento. Cfr. Marco Ventura, ‘Regolazione pubblica del religioso. La transizione tra simboli e realtà’, in Marco Parisi (ed.), Autonomia, decentramento e sussidiarietà: i rapporti tra pubblici poteri e gruppi religiosi nella nuova organizzazione statale (Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2003), pp. 215–216.

 [26] ⬆︎ Francesco Alicino, ‘The Italian Legal System and Imams: A difficult Relationship’, in Mohammed Hashas, Jan Jaap de Ruiter and Niel Valdemar Vinding (eds.), Imams in Western Europe. Developments, Transformations, and Institutional Challenges (Amsterdam: Amsterdam University Press, 2018), pp. 359–38.

 [27] ⬆︎ Nicola Colaianni, Confessioni religiose e intese. Contributo all’interpretazione sistematica dell’art. 8 della Costituzione (Bari: Cacucci, 1990), p. 132.

 [28] ⬆︎ Francesco Modugno, ‘Norme singolari, speciali, eccezionali’, XXVIII Enc. dir. (1978), p. 508; Mario Ricca, Legge e Intesa con le confessioni religiose: sul dualismo tipicità-atipicità nella dinamica delle fonti (Torino: Giappichelli, 1996), p. 25.

 [29] ⬆︎ Giuseppe Casuscelli, ‘La rappresentanza e l’intesa’, in Alessandro Ferrari (ed.), Islam in Europa/Islam in Italia tra diritto e società (Bologna: il Mulino, 2008), p. 304.

 [30] ⬆︎ Giorgio Bouchard, ‘Concordato e intese, ovvero un pluralismo imperfetto’, 1 Quaderni di diritto e politica ecclesiastica (2004), pp. 70–71.

 [31] ⬆︎ Andrea Bettetini, ‘Alla ricerca del “ministro di culto”: Presente e futuro di una qualifica nella società multireligiosa’, 1 Quaderni di diritto e politica ecclesiastica (2000), p. 249; Angelo Licastro, I ministri di culto nell’ordinamento giuridico italiano (Milano: Giuffrè, 2005), p. 482; Cesare Mirabelli, L’appartenenza confessionale (Padova: CEDAM, 1975), p. 359; Onida Francesco, ‘Voce Ministri di culto’, XX Enciclopedia giuridica (1990), p. 6.

 [32] ⬆︎ Roberto Zaccaria, Sara Domianello, Alessandro Ferrari, Pierangela Floris and Roberto Mazzola (eds.), La legge che non c’è. Proposta per una legge sulla libertà religiosa (Bologna: il Mulino, 2019).

 [33] ⬆︎ Erminia Camassa, ‘Caratteristiche e modelli organizzativi dell’Islam italiano a livello locale: tra frammentarietà e mimetismo giuridico’, in Carlo Cardia and Giuseppe dalla Torre (eds.), Comunità islamiche in Italia. Identità e forme giuridiche (Torino: Giappichelli, 2015), pp. 123–149.

 [34] ⬆︎ Valerio Tozzi, ‘Le confessioni religiose senza intesa non esistono’, in Aequitas sive Deus. Studi in onore di Rinaldo Bertolino (Torino: Giappichelli, 2011), p. 1033.

 [35] ⬆︎ Vedi saggi in Andrea Cardone, Marco Croce (ed.), 30 anni di laicità dello stato: fu vera gloria? Atti del Convegno di Firenze del 27 e 28 settembre 2019 nel trentennale della s.n. 203/1989 della Corte costituzionale (Roma: Nessun Dogma, 2021).

 [36] ⬆︎ Articolo 8.1 della Costituzione Italiana.

 [37] ⬆︎ Adrea Riccardi, ‘Il coronavirus e la sospensione delle messe: così c’è il rischio di sottovalutare la solitudine’, Il Corriere della Sera (8 March 2020).

 [38] ⬆︎ Articolo 19 della Costituzione Italiana. Siveda Corte Costituzionale, 10 marzo 2016, n. 52.

 [39] ⬆︎ Vincenzo Pacillo, ‘La libertà di culto al tempo del coronavirus: una risposta alle critiche’, 8 Rivista telematica (2020) www.statoechiese.it, pp. 84–94, which also refers to Francesco Finocchiaro, Diritto ecclesiastico (Bologna: Zanichelli, 2010), p. 72; Pasquale Lillo, ‘Art. 7’, in Raffaele Bifulco, Alfonso Celotto and Marco Olivetti (eds.), Commentario alla Costituzione (Torino: Utet giuridica, 2006), p. 185; Giuseppe Dalla Torre, Lezioni di Diritto ecclesiastico (Giappichelli: Torino, 2014), p. 117.

 [40] ⬆︎ Fabio Adernò, ‘Il nuovo decreto-legge n. 19/2020: un suggerimento ermeneutico ecclesiasticistico’, 1 Diritti Regionali (2020), p. 484; Matteo Carrer, ‘Salus Rei Publicae e salus animarum, ovvero sovranità della Chiesa e laicità dello Stato: gli artt. 7 e 19 Cost. ai tempi del coronavirus’, 2 BioLaw Journal (2020).

 [41] ⬆︎ Piero Bellini, ‘«Ordine proprio dello Stato», «ordine proprio delle Chiese»’, in Accademia Nazionale dei Lincei, Lectio Brevis (11 May 2012). See also Piero Bellini, ‘Diritti secolari e diritti religiosi’, 3 Daimon (2003), p. 220.

 [42] ⬆︎ Nicola Colaianni, ‘Il sistema delle fonti costituzionali del diritto ecclesiastico al tempo dell’emergenza (e oltre?)’, 4 Rivista AIC (2020), p. 215.

 [43] ⬆︎ Si veda Consiglio di Stato, 30 marzo 2020, n. 1553.

 [44] ⬆︎ Brian D. Lepard, Reexamining Customary International Law (Cambridge: Cambridge University Press, 2017).

 [45] ⬆︎ Corte Costituzionale, 24 ottobre 2007, n. 348, dove si afferma che «le norme contenute in un trattato internazionale bilaterale o multilaterale non rientrano nell'ambito normativo dell'articolo 10.1, anche se sono generali».

 [46] ⬆︎ Si vedano le seguenti decisioni della Corte Costituzionale italiana: n. 348/2007; n. 349/2007; n. 73/2001; n. 15/1996; n. 168/1994; n. 323/1989; n. 153/1987; n. 96/1982; n. 188/1980; n. 48/1979; n. 104/1969; n. 32/1960; n. 323/1989.

 [47] ⬆︎ Si veda Antonio Cassese, ‘Art. 10’, in Giuseppe Branca (ed.), Commentario della Costituzione (Bologna-Roma: Zanichelli-Il foro italiano, 1977), p. 485; Nicola Colaianni, Diritto pubblico delle religioni: Eguaglianza e differenze nello Stato costituzionale (Bologna: il Mulino, 2012), pp. 153–174.

 [48] ⬆︎ Corte Costituzionale, n. 323/1989.

 [49] ⬆︎ Ibid.

 [50] ⬆︎ Ibid.

 [51] ⬆︎ Corte Costituzionale, n. 348/2007 (corsivi aggiunti).

 [52] ⬆︎ Corte Costituzionale, 7 febbraio 1978, n. 16 (corsivi aggiunti).

 [53] ⬆︎ Sui principi supremi dell'ordinamento costituzionale, si veda. Corte Costituzionale, 1 marzo 1971, n. 30.

 [54] ⬆︎ Colaianni, supra note 47, p. 166.

 [55] ⬆︎ Corte costituzionale: n. 348/2007 e n. 349/2007.

 [56] ⬆︎ L'articolo 9, paragrafo 2, della CEDU stabilisce anche (all'articolo 15, paragrafo 1) che «in tempo di guerra o in altre emergenze pubbliche che minacciano la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può prendere misure in deroga agli obblighi che le incombono in virtù della presente Convenzione, nella misura strettamente richiesta dalle esigenze della situazione, purché tali misure non siano incompatibili con gli altri obblighi che le incombono in virtù del diritto internazionale». Si veda la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), Lawless v. Ireland, Appl. n. 332/57, 1 luglio 1961.

 [57] ⬆︎ Articolo 2 dell'Accordo del 1984.

 [58] ⬆︎ Articolo 14 dell'Accordo del 1984. Si veda Vincenzo Pacillo, ‘La sospensione del diritto di libertà religiosa nel tempo della pandemia’, olir.it (16 marzo 2020). Si veda anche Stefano Montesano, ‘L’esercizio della libertà di culto ai tempi del Coronavirus’, Olir.it (20 marzo 2020).

 [59] ⬆︎ N. Colaianni, ‘La libertà di culto al tempo del coronavirus’, 7 Rivista telematica (www.statoechiese.it) (2020), p. 33; Alessandro Ferrari, ‘Covid-19 e libertà religiosa’, Settimana news (6 aprile 2020).

 [60] ⬆︎ Pacillo, supra note 39, p. 90. In general see also Pasquale Lillo, ‘Note preliminari sui proto-colli concordatari’, Rivista telematica (2013), www.statoechiese.it, pp. 1–24.

 [61] ⬆︎ Jose E. Alvarez, International Organization as Law-Makers (Oxford: Oxford University Press, 2005), p. 657.

 [62] ⬆︎ Colaianni, supra note 47, p. 221.

 [63] ⬆︎ Articolo 65 della Convenzione di Vienna.

 [64] ⬆︎ Articolo 67 della Convenzione di Vienna.

 [65] ⬆︎ Federica Botti, ‘Bagatelle per una pandemia’, 10 Rivista telematica (2020), www.statoechiese.it, pp. 1–21.

 [66] ⬆︎ Si veda ‘Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario con-nesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili,’ 26 Gazzetta Ufficiale (1 febbraio 2020).

 [67] ⬆︎ Si veda il decreto legislativo italiano del 2018, n. 1..

 [68] ⬆︎ Licastro, supra nota 2, p. 239.

 [69] ⬆︎ Si veda il DPCM, ‘Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale’, 108 Gazzetta Ufficiale (27 aprile 2020).

 [70] ⬆︎ CEI, DPCM, ‘La posizione della CEI, 26 April 2020’, Nota della CEI (9 maggio 2020).

 [71] ⬆︎ Si veda Massimo Franco, ‘Coronavirus, perché il Papa e la Cei non hanno una linea univoca’, Il Corriere della Sera (28 April 2020).

 [72] ⬆︎ La colletta, in cui si fa girare un cesto per le offerte in denaro, è sostituita da contenitori in cui i fedeli possono dare il loro contributo. Tutti gli ambienti e gli oggetti utilizzati saranno igienizzati al termine di ogni cerimonia. Cfr. Governo italiano, "Protocollo circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo", disponibile su http://www.governo.it/sites/new.governo .it/files/Protocollo_CEI_GOVERNO_20200507.PDF (consultato il 3 gennaio 2022).

 [73] ⬆︎ CEI, ‘Messe con il popolo: condivise le linee di un accordo’, Nota della CEI (2 maggio 2020).

 [74] ⬆︎ È il caso delle comunità musulmane; Governo italiano, Protocollo con le Comunità Islamiche (18 maggio 2020): https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2020.05.14_proto collo_comunita_islamiche.pdf (consultato il 3 gennaio 2022).

 [75] ⬆︎ Questi protocolli consentono agli imam di offrire assistenza spirituale ai detenuti musulmani nelle carceri italiane. L'UCOII e l'IIC forniranno all'amministrazione penitenziaria un elenco di persone che "svolgono le funzioni di imam in Italia" e che sono "interessate a guidare le preghiere e il culto all'interno delle carceri sul territorio nazionale". L'elenco specificherà anche in quale moschea o sala di preghiera ciascun imam svolge normalmente il proprio culto. Gli imam dovranno indicare la loro preferenza per tre province in cui sarebbero disposti a guidare le preghiere per i detenuti. Marco Belli, "Religione in carcere: intesa tra Dap e Comunità islamiche", gNews (5 giugno 2020)., <https://www.gnewsonline.it/religione-in-carcere-intesa-tra-dap-e-comunita-islamiche/> (consultato il 3 gennaio 2022). Si veda anche Francesco Alicino, ‘Italy Tested by New Religious Diversity: Religion in the Italian Prison System’, in Anne-Laure Zwilling and Martínez-Ariño (eds.), Religion and Prison in Europe (Cham: Springer, 2020), pp. 219–236; Silvia Angeletti, ‘L’accesso dei ministri di culto islamici negli istituti di detenzione, tra antichi problemi e prospettive di riforma. L’esperienza del Protocollo tra Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e UCOII’, Rivista telematica (2018), p. 24.

 [76] ⬆︎ Si veda D.P.R. 10 sett 1990, n. 285, Approvazione del regolamento di polizia mortuaria, Art 100.

 [77] ⬆︎ Anna Gianfreda, Tra cielo e terra. Libertà religiosa, riti funebri e spazi cimiteriali (Roma: Libellula, 2020), pp. 323–70.

 [78] ⬆︎ Legge Regionale 30 dice 2009, n. 33, Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità, Art 75.

 [79] ⬆︎ Legge Regionale 4 marzo 2019, n. 4 Modifiche e integrazioni alla legge Regionale 30 dice 2009, n. 33.

 [80] ⬆︎ Legge 7 agosto 1990, n. 241 Nuove norme sul procedimento amministrativo, 192 Gazzetta Ufficiale (18 agosto 1990). Si veda Giovanni Cimbalo, ‘Il papa e la sfida della pandemia’, 9 Rivista telematica (2020), p. 15.

 [81] ⬆︎ Susanna Mancini e Michel Rosenfeld, ‘Unveiling the Limits of Tolerance: Comparing the Treatment of Majority and Minority Religious Symbols in the Public Sphere’, 309 Benjamin N. Cardozo School of Law Working Paper (2010), pp. 3–4.

 [82] ⬆︎ Stefano Allievi, ‘Multiculturalism in Italy: The Missing Model’, in Alessandro Silj (ed.), European Multiculturalism Revisited (London: Zed Books, 2010), pp. 147–80.

 [83] ⬆︎ Fabrizio Ciocca, L’Islam italiano. Un’indagine tra religione, identità e islamofobia (Milano: Melteni, 2019).

 [84] ⬆︎ Alec Stone Sweet e Jud Mathews, ‘Proportionality Balancing and Global Constitutionalism’, 47 Columbia Journal Transnational Law (2008), p. 72. See also Peter Lerche, Übermaß und Verfassungsrecht. Zur Bindung des Gesetzgebers an die Grundsätze der Verhältnismäßigkeit (Köln: Heymann, 1961); Giorgio Pino, ‘Diritti fondamentali e principio di proporzionalità’, Ragion pratica (2014), p. 541.

 [85] ⬆︎ Si veda ‘Derogations in a Public Emergency’, in American Association for the International Commission of Jurist, On the Limitation and Derogation Provisions in the International Covenant on Civil and Political Rights (1985), pp. 5–6. Si veda anche ECtHR, Aksoy v. Turkey, 18 December 1996, Application No. 21987/93. Si veda anche Robert Alexy, ‘Constitutional Rights and Proportionality, 22 Journal for constitutional theory and philosophy of law (2014), pp. 51–65.

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