Per la seconda volta, Mariya Ibrahim è di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, dove ha già vinto una causa nel 2019.
di Alessandro Amicarelli — Un numero sproporzionato di casi di adozione forzata alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) arriva dalla Norvegia. I servizi sociali norvegesi non esitano a privare i genitori dei loro diritti, accusandoli di negligenza e a dare i bambini in affidamento, il che porta alla loro adozione.
Spesso, questo accade ai figli di indigenti genitori single immigrati, che finiscono per essere adottati da norvegesi benestanti. Gli studiosi e la CEDU hanno notato che la Norvegia confonde la povertà con l'abbandono, e che costringere i genitori estremamente poveri a dare i loro figli in adozione a famiglie ricche viola l'articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, che garantisce il rispetto della vita privata e familiare. Mentre la Norvegia sostiene che ciò garantisce ai bambini un futuro migliore, la CEDU ha costantemente affermato che ci sono altri modi per aiutare bambini e genitori indigenti senza troncare le relazioni familiari.
Ora, per la prima volta, la libertà di religione assume una posizione di primo piano in questa controversia decennale.
Mariya Abdi Ibrahim è una donna somala nata nel 1993. A causa della guerra civile nel suo paese fuggì in Kenya, dove diede alla luce un figlio nel 2009.
Si è poi trasferita in Norvegia, dove ha richiesto e ottenuto lo status di rifugiata.
Nel dicembre 2010, suo figlio fu dato in affidamento temporaneo dai servizi sociali norvegesi, che sostennero che Mariya non era in grado di occuparsi di lui.
Nel 2011, il bambino è stato assegnato in affidamento a lungo termine a una coppia norvegese, che si dà il caso siano Cristiani Evangelici praticanti. Hanno espresso il desiderio di adottare il bambino.
Mariya si è appellata ai tribunali norvegesi opponendosi all'adozione. Ha perso e nel 2015 l'adozione è stata autorizzata. Mariya è stata anche privata dei suoi diritti di genitore e le è stato impedito di avere ulteriori contatti con suo figlio.
Mariya si è quindi rivolta alla CEDU che, il 17 dicembre 2019, si è pronunciata in suo favore ordinando alla Norvegia di permetterle di mantenere contatti periodici con suo figlio, pur continuando a lasciarlo con la sua famiglia adottiva. La stessa Mariya non aveva contestato il fatto che i genitori adottivi amassero suo figlio e si prendessero cura di lui, ma aveva obiettato al fatto che fosse stato totalmente separato da lei e dalla sua identità ed eredità somala.
Mariya ha anche saputo che suo figlio è stato battezzato nella Mission Covenant Church, la chiesa Cristiana a cui appartengono i suoi genitori adottivi. Ora lei è di nuovo davanti alla CEDU, che ha rinviato il suo caso alla Grande Camera, questa volta ribadendo che la Norvegia ha violato anche l'articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che protegge la libertà di religione o di credo. Il figlio di Mariya ha 11 anni, e lei sostiene che gli è stato precluso qualsiasi contatto con la comunità Musulmana ed è stato privato del diritto di scegliere eventualmente l'Islam, la religione di sua madre e dei suoi antenati.
La settimana scorsa, la CEDU ha ascoltato le argomentazioni, e gli avvocati di Mariya hanno sostenuto che tutti i problemi provengono dalla scelta delle autorità di dare in affidamento il bambino a genitori Cristiani di etnia norvegese, mentre in Norvegia esistono anche coppie somale o Musulmane in attesa di adozione. Mariya ha dichiarato a un emittente televisiva norvegese che considera il caso come un " rapimento di minore" e una conversione forzata al Cristianesimo.
Ora sta aspettando la decisione della CEDU.
Fonte: Bitter Winter