Testimoni di Geova in Israele: servizio militare, ostilità sociali e riconoscimento dello Stato

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World-Wide Religious News

Dopo la Seconda guerra mondiale, il termine “Giusti tra le nazioni” (in ebraico: חסידי אומות העולם, traslitterato “Chasidei Umot HaOlam”) è stato utilizzato per indicare i non-ebrei che hanno agito in modo eroico, a rischio della propria vita e senza interesse personale, per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista della Shoah.

È inoltre una onorificenza conferita dal Memoriale ufficiale di Israele, Yad Vashem fin dal 1962, a tutti i non ebrei riconosciuti come "Giusti".

Yad Vashem, l'Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele, ha conferito a 19 Testimoni di Geova il prestigioso titolo.

In Israele vi sono approssimativamente 1.600 Testimoni di Geova e ulteriori 300 nell’area territoriale dell’autorità della Palestina.
Loro obbediscono alle leggi della nazione, pagano le tasse dovute e vivono nell’onestà, ma si rifiutano di adempiere ad una obbligazione nazionale: il servizio militare.

Lo scorso 3 dicembre uno dei principali quotidiani nazionali, Haaretz, ha pubblicato un articolo del giornalista Netta Ahituv, intitolato “Un raro sguardo alla vita isolata dei Testimoni di Geova Israeliani” (qui l'articolo originale: http://wwrn.org/articles/46423/)

L’articolo si occupa di storie d’intolleranza nei confronti dei Testimoni di Geova, come nel caso di Motti Danziger: 43 anni, un ex ebreo diventato membro della comunità dei Geova negli anni dell’adolescenza.

Motti racconta che un giorno un uomo ultra-ortodosso l’ha inseguito fino alla palazzina dove abita con la moglie, anch’essa Testimone di Geova.

La mattina successiva tutti gli occupanti del complesso residenziale hanno trovato nella cassetta delle lettere un avviso: il messaggio recitava di non illudersi dall’aspetto affabile del Sig. Danziger, poiché in realtà era una persona pericolosa, che avrebbe tentato di convertire gli abitanti della palazzina.

Danziger ha conosciuto episodi d’intolleranza anche nella sua attività missionaria.

Nella città di Nes Tziona, a sud di Tel Aviv, ha bussato alla porta di un appartamento ed è stato fatto entrare dalla donna che vi abitava.
Ma nel momento in cui il marito della donna è entrato, ha chiuso la porta a chiave e minacciato Danziger e il suo socio.
Dopo vari scambi di parole e tentativi di chiamare la polizia da parte di Danziger, il marito ha deciso a lasciarli andare, a patto che lasciassero tutti i materiali scritti in casa.

L’articolo prosegue con esempi d’intolleranza durante alcuni raduni dei Testimoni di Geova provenienti da varie città, accolti con violente dimostrazioni.

Uno degli ultimi episodi è successo lo scorso giugno dove i Testimoni sono stati fisicamente assaliti e hanno subito lanci di pietre a Rishon Letzion: attacchi apparentemente organizzati dal movimento di ultra-destra Lehava, per la Prevenzione dell’Assimilazione nella Terra Santa (il nome in ebreo è un acronimo della parola “Fiamma”).

Un evento simile era accaduto soltanto un anno prima, a Ra’anana, che ha anch’esso avuto un seguito legale.
Nel giorno dell’assemblea, la municipalità ha annunciato di voler cancellare l’evento “per paura di offendere la sensibilità pubblica”, dopo aver scoperto che era stata noleggiata una sala dai Testimoni di Geova.

Questa causa ha raggiunto la suprema corte (dopo che il municipio aveva fatto ricorso, a seguito dell’ordinanza della corte distrettuale che aveva stabilito che l’assemblea dei Testimoni di Geova poteva aver luogo), stabilendo che una municipalità non può cancellare un’assemblea sulla base della religione, poiché questo infrange la libertà religiosa e di culto.

Quando è apparso chiaro che l’assemblea si sarebbe tenuta regolarmente come pianificato, il rabbino della città, Yitzhak Peretz, ha organizzato una dimostrazione fuori la sede stabilita. Circa 1.000 persone si sono presentate nel luogo dell’assemblea e hanno tentato di entrare. Due dimostranti sono stati arrestati dalla polizia e rilasciati poco dopo.

Una comunità non riconosciuta

Il principale confronto che i Testimoni di Geova hanno in Israele è con lo stato, scrive Haaretz. Il riconoscimento religioso accorderebbe loro vari diritti, quali il diritto al matrimonio secondo la loro fede, così come diritti sociali, legali e culturali, oltre che alcuni benefici a livello tributario.

Nell’agosto 2000 gli avvocati dei Testimoni di Geova hanno cercato di ottenere il riconoscimento religioso tramite il segretario di gabinetto, il procuratore generale e l’ufficio del Primo Ministro.
Dopo un’attesa durata 3 anni, il Procuratore ha risposto che la decisione spettava al governo, come la comunità stessa aveva fatto notare.
Seguendo un’altra lettera gli veniva comunicato che solo un ministro con gabinetto poteva inserire la richiesta in agenda e pertanto il procuratore generale sottoponeva la questione al ministero degli interni, a quello di giustizia e a quello degli affari religiosi.

Sette anni dopo il segretario di gabinetto ha informato i Testimoni di Geova che non vi era stato alcun passo in avanti.

Nel 2014 è stata fatta un’altra richiesta di riconoscimento, trasmessa al segretario di gabinetto.
Dopo un anno senza risposta, la richiesta è stata rifiutata dai consulenti legali dell’ufficio del Primo Ministro adducendo come motivazione:

"Ci sono molti gruppi in Israele che vorrebbero essere riconosciuti come comunità religiose. Pertanto, negli ultimi 40 anni, date le ampie implicazioni nel riconoscimento di nuovi movimenti religiosi, il governo non ha visto l’opportunità di cambiare la situazione esistente”.

La “situazione esistente” è quella in cui lo stato riconsce solamente le seguenti comunità religiose (oltre a quella ebrea): Mussulmani, Cristiani, Drusi, Beduini, Circassiani, Samaritani, Ahmadi e Bahais. (Per fare un paragone, la Gran Bretagna riconosce circa 30 comunità religiose).

I Testimoni di Geova ora credono che, oltre agli altri tentativi fatti, l’unica alternativa sia quella di rivolgersi all’Alta Corte di Giustizia. Una petizione è stata firmata dall’avvocato Yael Nagar, dallo studio legale Eliad Shraga & Co.

Allo stesso tempo i Geova stanno cercando riconoscimento fiscale come pubblica istituzione e come organizzazione no-profit dedicata ad attività religiose.

La richiesta coordinata da 3 anni dall’avvocato Amit Moshe Cohen dello studio legale Doron Tikotzky Kantor Gutman Cederboum, è stata esaminata dalle autorità tributarie israeliane, le quali dopo aver visitato gli uffici dei Testimoni di Geova a Tel Aviv si sono convinti che i criteri richiesti erano stati soddisfatti e hanno trasmesso la richiesta al Comitato Finanziario del Knesset.

In una riunione svoltasi lo scorso marzo, il capo del comitato, MK Moshe Gafni (del movimento United Torah Judaism), ha dichiarato che la richiesta sarebbe passata nelle mani del procuratore poiché la questione era materia di “profonda controversia pubblica”.

Nessuna risposta è stata ricevuta dall’ufficio del Primo Ministro, che è anche responsabile dell’ufficio del procuratore generale.

I Testimoni di Geova di Israele sperano che questo articolo di Haaretz, il primo a riuscire ad entrare nelle attività che hanno preso il via nel 1913 in Palestina e Israele, possa aiutare a ridurre l’ostilità sociale del movimento religioso.