In risposta alle singolari affermazioni del dr. Luigi Corvaglia
Il 26 novembre il dr. Luigi Corvaglia ha scritto un articolo su L'Opinione dal titolo “Apologeti delle sette e bispensiero”, in qualità di presidente del CESAP, un'associazione “anti-sette” affiliata all'organizzazione francese FECRIS, che ha suscitato non poche preoccupazioni in Europa per le minacce alla libertà di religione e credo. L'associazione CESAP è nota ai più per aver espressamente affermato di aver contribuito in modo determinante, nel 2006, a “sgominare la più pericolosa psico-setta mai esistita”. Si trattava allora dell'innocuo movimento Arkeon: il processo smentì poi le conclusioni ascientifiche del CESAP, sottolineando “l'infondatezza del teorema della psico-setta”. L'evocazione, da parte del dr. Corvaglia, del convegno presso la Camera dei deputati promosso e organizzato dalla European Federation for Freedom of Belief, organizzazione transnazionale che si pone come primo obiettivo statutario il sostegno al programma FORB per la libertà di credenti, non credenti e atei varato dall'Unione Europea, ci costringe a un compito francamente sgradito: quello di dover ribattere alle affermazioni del dr. Corvaglia, la cui sistematica infondatezza e arbitrarietà non richiederebbe alcuna riflessione se non fosse appunto per la rilevanza dell'appuntamento da lui curiosamente citato. Ci poniamo perciò l'obiettivo di essere brevi e non tediare il lettore con osservazioni banali, ma sfortunatamente necessarie proprio per via della pericolosità della banalità e della banalizzazione, oltre che il suo angosciante rapporto col male, la discriminazione e la persecuzione, così incomparabilmente tratteggiato da Hannah Arendt.
Corvaglia non è in grado di fornire una sola definizione di “setta” o di “culto abusante”, perché tale definizione è utile solo a chi presiede un'associazione anti-sette, che senza le “sette” non avrebbe ragion d'essere e sarebbe costretta a chiudere. E' il principio su cui si fondano le associazioni che gestiscono i campi nomadi: senza campi nomadi, non c'è motivo di mantenere operatori sociali. La discriminazione è motore di parecchie aziende in attivo nel nostro Paese e non c'è da stupirsi se l'arbitrario etichettamento di “setta”, termine che il Consiglio d'Europa ha raccomandato di non utilizzare e per cui il Santo Padre ha chiesto ufficialmente perdono ai Pentecostali bollati come tali in epoche anteriori all'attuale, si rivela estremamente necessario per la sopravvivenza, ahinoi autoreferenziale, di alcune associazioni altrimenti di nessuna utilità sociale. In realtà la parola “setta” o “culto abusante” non vuol dire nulla: è solo un modo dispregiativo d'indicare un gruppo religioso, e ha la stessa validità scientifica del termine “negro” per indicare le persone di colore; è un banale insulto.
Le “basi del pensiero liberale” evocate da Corvaglia ci spingono a una ripetizione, appunto basilare, dei più elementari rudimenti del pensiero liberale: per usare le parole di Karl Popper, “se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”. Senza arrivare a essere intolleranti con il presidente del CESAP, bisogna però rilevare che il suo impegno indefesso per bollare movimenti religiosi minoritari in modo apertamente discriminatorio con l'utilizzo del termine “setta” da un lato, e per reintrodurre nell'ordinamento italiano il “reato di plagio” voluto dall'infame regime fascista spacciandolo come “reato di manipolazione mentale” dall'altro, è precisamente il paradigma dell'intolleranza più manifesta. Pertanto leggere lezioni di pensiero liberale da parte di chi lotta per il ripristino di reati fascisti è un'esperienza tanto singolare che potrebbe condurre al sorriso, se non fosse per l'obbligo a cui il senso di responsabilità richiama di sottolineare invece la pericolosità di questi evidenti tentativi d'istituzionalizzare stigmatizzazione e reati d'opinione con apposite misure legislative, la cui incostituzionalità è già stata accertata nel caso del reato di plagio con la sentenza della Corte Costituzionale del 1981.
Altrettanto sgomenti lasciano i riferimenti al clericalismo che il dr. Corvaglia esprime in modo non circostanziato e di difficile decifrazione. È molto facile definire il clericalismo, basta un esempio: nel 2006, senza alcun dibattito parlamentare, con una semplice circolare è stata istituita una Squadra Anti-sette della Polizia di Stato (con cui il CESAP si è vantato in più occasioni di aver collaborato) che ha individuato un unico referente: per la precisione, un sacerdote cattolico. Nel momento in cui il clero della religione maggioritaria ottiene dallo Stato laico il potere di decidere quale gruppo religioso minoritario è una “setta” e quale non lo è, abbiamo una illuminante immagine del clericalismo. Se poi il prete in questione è lo stesso che per primo si scagliò contro Beppe Englaro nella drammatica vicenda di Eluana, proprio come nel nostro caso, non abbiamo solo un'immagine illuminante, ma un grave precedente. Se, infine, tali acrobazie vengono spacciate come liberali e anticlericali come usa fare il dr. Corvaglia, ecco che la questione assume sfumature non più comiche ma umoristiche, volendo seguire il celebre distinguo pirandelliano, perché è chiamata in causa la compassione.
Precisamente con questo spirito acrobatico Corvaglia rivendica la necessità “liberale” di rendere illegale la persuasione per via di non meglio identificati “guru”, e si prende gioco di quei liberali che si trovano costretti a precisare l'ovvio, cioè che rendere illegale la persuasione è illiberale. Naturalmente, ogni libertà, inclusa quella di persuadere, necessita di essere limitata: ad esempio, se un movimento anti-sette afferma il falso, propagandando statistiche alterate, o discrimina apertamente dei gruppi religiosi o singoli individui con affermazioni diffamatorie, ecco che compie dei reati già previsti dal Codice, e scompare la necessità di rendere illegale la persuasione; allo stesso modo, se un ciarlatano o un “guru” (ma attendiamo ancora una casistica incisiva nel merito) si adopera per persuadere di poter guarire una malattia terminale con pozioni miracolose in cambio di ingenti somme di danaro, commette crimini altrettanto previsti dal Codice, rendendo del tutto inutile la improbabile e illiberale necessità di penalizzare la persuasione o lo stesso “guru” in quanto tale, come Corvaglia evidentemente vorrebbe.
Il Partito Radicale Transnazionale, che Corvaglia chiama in causa, merita di essere citato proprio a proposito di tali questioni. Infatti l'unica forza politica che si batté contro il reato di plagio negli anni Settanta, all'epoca del tragico caso di Aldo Braibanti, assieme ai più grandi intellettuali dell'epoca (Pasolini, Eco, Morante, Moravia) fu proprio quella radicale, con Marco Pannella e Mauro Mellini, oggi membro del Comitato scientifico della nostra Federazione; trent'anni più tardi, a chiedere chiarimenti al governo in merito ai costi e all'utilità della Squadra Anti-sette e sull'attendibilità dei suoi referenti, CESAP incluso, fu il co-vicepresidente del Partito Radicale Transnazionale, il sen. (XVI legislatura) Marco Perduca, anch'egli membro del Comitato scientifico di FOB. Questo, perché non c'è nulla di più illiberale della criminalizzazione del persuadere, del convincere, che costituisce proprio il movimento indispensabile al libero pensiero per tramutarsi in discussione e dibattito: se il dr. Corvaglia, che con tanti penosi sforzi cerca di persuadere i liberali della necessità di criminalizzare la persuasione, fosse criminalizzato per questo, sarebbe compito dei liberali difendere il dr. Corvaglia dalla ingiusta criminalizzazione del suo libero diritto di tentare, seppur in modo maldestro e paradossale, di persuadere contro la persuasione.
Tra i concetti più cari al grande liberale Karl Popper c'è il criterio, affinché una teoria scientifica sia tale, della “falsificabilità” (Fälschungsmöglichkeit). Le affermazioni di Corvaglia in merito ai culti e alla persuasione coercitiva non sono state solo smentite ufficialmente dalla comunità scientifica internazionale ma, a uno sguardo più attento, sono così arbitrarie da sfuggire a qualunque catalogazione di scientificità proprio perché non falsificabili. Infatti nel momento stesso in cui si prova a falsificare la teoria che un determinato gruppo religioso è una setta, l'arbitrarietà della definizione di “setta” ne rende impossibile la confutazione. È come stabilire che “i corvi sono neri” senza avere chiaro cosa sia un corvo: se trovassimo un corvo bianco non potremmo confutare la tesi, perché non sappiamo cosa è un corvo. Lo stesso vale per la persuasione coercitiva: la tesi per cui è possibile compiere un'influenza indebita sul prossimo con tecniche non rilevabili è appunto non rilevabile e come tale non può essere confutata. Prendiamo una tecnica rilevabile: l'ipnosi. Se si accusa un soggetto di averne ipnotizzato un altro, è possibile dimostrare anche il contrario: infatti il reato è previsto dal Codice. Ma se lo si accusa di persuasione coercitiva, come si può dimostrare che questa non sia mai avvenuta in assenza di parametri condivisi? È il motivo per cui Braibanti fu condannato, e il reato abolito.
Riesce difficile, infine, immaginare un peggior “nemico della società aperta” di uno Stato che operi un controllo assoluto sulle varie confessioni religiose, imponga limiti arbitrari alle capacità persuasive dei singoli individui e introduca perfino delle norme per incarcerare chi è accusato di aver “plagiato” il prossimo: l'Italia ha già vissuto un sistema fondato su tali caratteristiche, e ci riesce molto, ma molto difficile comprendere tanta “nostalgia” nei confronti di quell'epoca storica.
Camillo Maffia
(Versione integrale della nota pubblicata dall'Opinione)