Cina: persecuzione e fake news anti-religiose contro il Falun Gong

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Riprendiamo e ripubblichiamo questo interessante e ben dettagliato articolo di Epoch Times che riferisce di una recente intervista al prof. Massimo Introvigne, fra i massimi studiosi di religione al mondo, a proposito della persecuzione in atto ai danni delle minoranze religiose nella Repubblica Popolare Cinese da parte del Partito Comunista che la governa.

FOB ha molto a cuore la situazione della libertà di credo in Cina. Questa riguarda non solo il Falun Gong, ma anche altri gruppi religiosi non mainstream e di matrice completamente diversa, come la Chiesa di Dio Onnipotente (Church of Almighty God). Una nutrita delegazione proprio di quest'ultimo movimento, che conta decine di milioni di fedeli in Cina, ha presenziato al convegno internazionale tenutosi il 18 e 19 Gennaio scorsi a Firenze, durante il quale il prof. Introvigne ha chiuso i lavori con un appello, scientifico ma accorato, a considerare la gravità di una situazione discriminatoria in limine prima che essa possa trasformarsi in persecuzione vera e propria.


Persecuzione e fake news, come il Pcc vuole annientare il Falun Gong

di Annie Wu, 21 Gennaio 2018 - Epoch Times

Il termine ‘setta’ evoca immagini di organizzazioni sinistre e suicidi rituali. È una parola che fa rabbrividire e che risulta quindi molto potente se la si utilizza contro qualcuno. Ed è proprio quello che ha fatto il regime cinese.

A partire dal 20 luglio 1999 infatti , l’allora capo del Partito Comunista Cinese Jiang Zemin ha fatto tremare tutta la Cina con arresti di massa dei praticanti della disciplina spirituale del Falun Gong, seguiti da propaganda ininterrotta, libri bruciati ed epurazioni.

I perseguitati avevano commesso il ‘crimine’ di seguire una pratica spirituale basata sui principi di verità, compassione e tolleranza e su insegnamenti morali che affondano le proprie radici nella tradizione buddista e taoista. La diffusione della disciplina del Falun Gong risale al 1992 e, in generale, chi la pratica riferisce miglioramenti nella propria salute, nelle relazioni con familiari e colleghi, diminuzione dello stress e l’ottenimento di ‘nuove prospettive’ sul modo di intendere la vita. La comunità internazionale, quindi, non riusciva a comprendere il senso di una tale violenza contro persone così innocue.

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Praticanti del Falun Gong in parata per le strade di New York, con in mano fotografie di persone uccise in Cina per il loro credo. La parata si è tenuta in occasione della Giornata Mondiale della Falun Dafa del 2017. (Samira Bouaou/The Epoch Times)

La pratica del Falun Gong è indipendente rispetto al controllo del Pcc, un qualcosa di inaudito per il regime comunista cinese. Inoltre, si è diffusa rapidamente con il passaparola: un’indagine del regime del 1999 ha stimato tra i 70 e i 100 milioni di persone a praticarlo in tutta la Cina. Di conseguenza, nel 1997 e poi nel 1998 il Pcc ha ordinato all’Ufficio di Pubblica Sicurezza di condurre un’indagine nazionale per raccogliere elementi da utilizzare contro il Falun Gong e prove di eventuali danni che la pratica recherebbe. Ma in entrambe le occasioni gli investigatori sono tornati a mani vuote.

Nella seconda metà del 1998, l’ex alto funzionario Qiao Shi (per dieci anni membro del Comitato Permanente del Politburo e a capo dell’intero apparato della sicurezza interna cinese) ha quindi creato una squadra di quadri del Partito in pensione per condurre un’altra indagine sul Falun Gong, il risultato della quale confermava che il Falun Gong portava «centinaia di benefici» alla società cinese, e «nessun genere di danno».

Tuttavia, né la relazione di Qiao, né altre manifestazioni di sostegno al Falun Gong da parte di varie voci nello Stato hanno potuto convincere Jiang Zemin a non dare inizio alla persecuzione su scala nazionale. Il Partito Comunista Cinese si è quindi servito dell’apparato della propaganda e del controllo di tutti i media del regime per diffamare il Falun Gong e portare l’opinione pubblica a schierarsi contro la disciplina legittimandone la persecuzione. A partire da fine ottobre del 1999, la propaganda ha quindi adottato la strategia di definire il Falun Gong una «setta malvagia».

Fuori dalla Cina questa disciplina era pressoché sconosciuta, quindi i media occidentali ne hanno trattato ripetendo acriticamente le parole del regime.

Oggi, a diciotto anni di distanza, la persecuzione è ancora in atto e il Pcc tenta di servirsi dell’autorità di diversi studiosi occidentali per promuovere ancora la mistificazione che il Falun Gong sia una ‘setta’.

Un'etichetta contro gli avversari

In una recente intervista con Epoch Times, Massimo Introvigne, studioso del Centro studi sulle nuove religioni, ha rivelato come il regime cinese stia cercando di ‘arruolare’ diversi studiosi occidentali per diffondere la propaganda d’odio contro il Falun Gong.

Introvigne ha spiegato che la strategia del regime cinese ha avuto inizio proprio con l’utilizzo dell’etichetta di ‘setta’ per il Falun Gong.

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Massimo Introvigne, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni, durante una recente intervista con New Tang Dynasty Television.

In realtà, spiega Introvigne, l’espressione cinese xie jiao risale alla Dinastia Ming. Gli studiosi occidentali la traducono spesso con ‘insegnamenti eterodossi’, dato che storicamente la corte imperiale cinese aveva considerato delle religioni ‘xie jiao’ per ragioni politiche. Nel 19esimo secolo, per esempio, il cristianesimo era considerato un agente dell’imperialismo occidentale e quindi uno xie jiao.

Il Pcc, quindi, si è appropriato di questa espressione per attaccare il Falun Gong: «Vogliono attirare la simpatia di chi, in Occidente, teme le sette», spiega Introvigne. Si tratta di una tattica comune, quando si intende legittimare la persecuzione di una determinata categoria di persone: «Cercano di giustificarsi, di fronte all’opinione pubblica interna e internazionale, ascrivendo dei crimini al gruppo perseguitato».

La strategia di propaganda

Il 25 ottobre 1999, in visita a Parigi, Jiang Zemin ha accettato un’intervista dal giornale Le Figaro. In quell’occasione, ha utilizzato per la prima volta l’espressione «setta malvagia» per riferirsi al Falun Gong. L’emittente del regime Cctv ha naturalmente ripreso la notizia, e il giorno dopo il Quotidiano del Popolo (altro organo del regime comunista cinese) ha ripubblicato l’intervista, seguita da ulteriori editoriali che hanno contribuito a imprimere nella mente del pubblico l’espressione «setta malvagia».

Il 30 ottobre 1999, il ‘Parlamento’ cinese (organo dello Stato non libero e non eletto) ha approvato una legge per ‘prevenzione e punizione delle attività delle sette’. In seguito, la Corte Suprema e la Procura Suprema hanno dato un’interpretazione della nuova legge, in cui affermavano che chiunque da quel momento in poi avesse preso parte ad atti «particolarmente gravi» genericamente riferibili delle sette, sarebbe stato punibile con un minimo di 7 anni di carcere e con un massimo della pena che poteva variare dall’ergastolo alla pena di morte.

Con la complicità inconsapevole di uno dei maggiori quotidiani occidentali, quindi, Jiang Zemin in pochi giorni ha potuto creare una giustificazione e una base legale per giustificare questa persecuzione.

Massimo Introvigne spiega inoltre un punto essenziale per capire il modo di operare del regime comunista (e quindi ateo) cinese: le religioni e le fedi che esistono in Cina riescono a sopravvivere perché si sottomettono totalmente al regime. Dato che il Falun Gong non lo ha fatto, Jiang Zemin ha deciso di anninetarlo: «Il regime accetta solo religioni sinizzate. E perché le religioni vengano considerate sinizzate, esse devono accettare la guida del Pcc».

L’esperto fa l’esempio dell’Associazione Cattolica Patriottica Cinese e del Movimento Patriottico dei Tre Sé, organizzazioni del Partito istituite rispettivamente per cattolici e protestanti con capi nominati dal Partito. Nel frattempo, invece, i cristiani che partecipano alle messe di chiese indipendenti (e quindi nascoste) vengono regolarmente attaccati e perseguitati.

Una nuova tattica

Massimo Introvigne è stato in prima persona testimone delle tattiche di questa associazione, che consistono nel «reclutare studiosi perché confermino certe storie o punti di vista sul Falun Gong, corrispondenti a quelli del regime comunista cinese». Questo avviene mediante la pubblicazione di articoli accademici e l’organizzazione di conferenze per studiosi cinesi e occidentali.
Il regime vuole poter arruolare questi ultimi per accreditare la versione del Pcc (un bisogno dettato dal fatto che, fra i cittadini cinesi, il Partito gode generalmente di pessime reputazione e credibilità). E, quando questo arruolamento non è fattibile, si accontenta di usarli per far credere ai cinesi che anche gli occidentali la pensino come il Partito. Come a dicembre 2017, quando un gruppo di studiosi occidentali è stato invitato a intervenire in un dibattito tenuto nel Centro per gli Studi sulle Questioni Internazionali Pseudo-religiose dell’Università di Wuhan: Xinhua, agenzia di stampa del regime, ha pubblicato un articolo, affermando che gli studiosi avevano «convenuto che il Falun Gong è una setta che diffonde dicerie per diffamare la Cina».

Uno degli oratori invitati, Michael Kropveld, ha poi dichiarato che l’articolo di Xinhua ha fornito un resoconto completamente falso della sua posizione e del contenuto della conferenza: «Non è nemmeno lontanamente qualcosa che io abbia dichiarato o detto quando sono intervenuto, e nemmeno quando ho parlato con qualcuno dei presenti», ha precisato a Epoch Times.

Michael Kropveld (che è il direttore esecutivo di Info Cult, un’organizzazione canadese che studia le minoranze religiose) ha spiegato che durante l’evento si è limitato a leggere, parola per parola, la propria presentazione, il cui testo può essere visionato sul suo sito. La sua presentazione aveva semplicemente lo scopo di analizzare diverse definizioni del termine inglese ‘cult’, nonché i risultati di un sondaggio condotto tra gruppi no-profit, servizi sociali e agenzie governative che effettuano ricerche sul fenomeno. Il tutto per avere un’idea di insieme dell’opinione sul Falun Gong degli studiosi appartenenti a organismi pubblici.

Kropveld ha ribadito che l’articolo di Xinhua «è stata una pessima rielaborazione di quanto è stato di fatto detto in quella sede».

Tuttavia ci sono anche casi di studiosi occidentali che sostengono realmente la propaganda del regime contro questa pratica pacifica. L’Organizzazione mondiale di indagine sulla persecuzione del Falun Gong ha documentato per esempio come James R. Lewis, dell’Università di Tromsø, abbia pubblicato una tesi accademica che diffama il Falun Gong. Il suo nome compare anche in qualità di esperto di sette su Kaiwind.com, un sito web propagandistico creato dall’Ufficio 6-10 (un’organizzazione del Partito creata per portare avanti la persecuzione contro il Falun Gong).

Lewis ha anche condotto o preso parte a conferenze internazionali sulle sette (in cui non si è persa occasione per far passare ‘messaggi’ di ogni genere contro il Falun Gong), tra cui alcune con dei ‘ricercatori’ dell’Università di Wuhan. E anche Massimo Introvigne ha partecipato a una di queste conferenze, dal titolo ‘Scambi tra studiosi contro le sette’ (tenutasi nella città di Zhengzhou a giugno 2017) ed è rimasto a dir poco sorpreso quando ne ha ascoltato il contenuto: Introvigne e altri studiosi presenti, durante il dibattito hanno espresso disaccordo rispetto alle dichiarazioni degli studiosi cinesi; Introvigne è rimasto scioccato da come i media di Stato hanno poi riportato resoconti del tutto falsi della conferenza.

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Introvigne durante la conferenza di Zhengzhou sulle sette. (Dal sito della Anti-Cult Association di Zhengzhou)

Integrità

Secondo Massimo Introvigne, il Pcc ha diffuso così tante affermazioni diffamatorie sul Falun Gong che persino alcuni studiosi occidentali hanno finito per crederci («È davvero una disgrazia per la causa dei diritti umani», commenta) e ritiene che vi sia il pericolo di gravi conseguenze quando gli studiosi accreditano questa falsa e diffamatoria propaganda del Pcc: «Quale versione dei fatti prevarrà? Se il Pcc riuscirà a far prevalere la sua versione dei ‘culti malvagi che minacciano la popolazione’, probabilmente porterà avanti la persecuzione e si sentirà anche perfettamente giustificato a farlo».

Invece, se la maggior parte degli accademici e intellettuali occidentali ricercherà la verità con attenzione e comprenderà quanto sia estesa e pervasiva la propaganda del regime comunista cinese, il Pcc non potrà più giustificare la persecuzione: «Probabilmente dovranno ridurre la persecuzione o addirittura accettare che la persecuzione ha un costo troppo alto dal punto di vista della loro immagine a livello internazionale».

Massimo Introvigne conclude tracciando dei parallelismi tra le tattiche del regime cinese e quelle di un’altra dittatura comunista – quella Sovietica – che pagava giornalisti, studiosi e vertici ecclesiastici perché disseminassero notizie false e propagandistiche.

L’esperto invita inoltre gli studiosi ad analizzare il Falun Gong in modo completo e secondo diverse prospettive, senza limitarsi allo studio di come  il regime cinese ne tratti i praticanti: gli studiosi dovrebbero semmai occuparsi di «come il Falun Gong abbia avuto tutto questo successo in pochi anni, del perché le persone si uniscano al Falun Gong, e di come il Falun Gong abbia cambiato il loro livello di salute e di felicità».

Traduzione di Vincenzo Cassano

Fonte:  Epoch Times