Tutte le forze della propaganda del Partito sono schierate contro le donne e gli uomini che hanno osato parlare. Persino i loro parenti in Cina sono costretti a testimoniare contro di loro.
di Ruth Ingram — Il governo cinese sta conducendo una campagna coordinata per denigrare, screditare e terrorizzare gli Uiguri che hanno perso i contatti con i loro cari, nel tentativo di affermare la superiorità morale nella sua propaganda di guerra al terrorismo.
Un messaggio inaspettato da parte di un parente che li implora di ritornare, chiamate assillanti da parte di funzionari, o come nel caso di Aziz Isa Elkun, un notiziario cinese dove la madre anziana lo rimprovera di essere un cattivo figlio, incutono terrore nel cuore degli esuli traumatizzati, lasciandoli in una terra di nessuno, di dolore e struggimento.
I cosiddetti "video della prova di vita" sono l'ultima tattica impiegata dal PCC per ribaltare la situazione sui membri della diaspora Uigura che osano parlare delle atrocità inflitte ai loro parenti, amici e colleghi, intrappolati nell'oscura rete di internamenti e sparizioni nello Xinjiang.
L'Uyghur Human Rights Project, con sede negli Stati Uniti, ha analizzato 22 filmati prodotti dal governo cinese in cui gli "scomparsi", gli "imprigionati", gli "internati" e apparentemente, secondo le agenzie di stampa cinesi, i "perseguitati" membri della famiglia degli Uiguri in esilio, vengono mostrati come in salute e vivi, e altamente critici nei confronti dei loro figli e figlie che osano sostenere il contrario.
Emily Upson, autrice del rapporto "The Government Never Oppresses Us" ha discusso delle sue scoperte in un recente webinar, dove ha tracciato l'andamento con cui il PCC, scaltramente, smaschera gli attivisti in esilio, marchiando negativamente i loro nomi e mettendo in dubbio il loro carattere morale.
Il primo video, piuttosto rozzo, di "prova di vita" ha fatto seguito alla notizia che l'amato cantante e musicista Abdurehim Heyit era morto in prigione mentre scontava una pena di otto anni per la sua composizione che alludeva ai "martiri di guerra". Il raffazzonato video in stile "ostaggio", su uno sfondo grigio e piastrellato, confutava queste affermazioni mostrando la testa rasata di Heyit per rassicurare i suoi fan che era in "buona salute" e che non era "mai stato maltrattato".
"Ora sono in buona salute": schermata di un video di Heyit pubblicato dal servizio turco di China Radio International.
L'effetto a catena provocato dall'apparizione di Heyit e del suo discorso cinicamente programmato si è ritorto contro Pechino, provocando una raffica di campagne di hashtag guidate da attivisti della diaspora come #MeTooUyghur e #MenmuUyghur che chiedevano prove a conferma che i propri parenti erano in vita.
Ne è seguita una raffica di video prodotti dallo stato cinese, ognuno con crescenti gradi di sofisticazione e plausibilità, studiati per confutare specifiche accuse mosse da capi di stato ed esuli e per introdurre dubbi e sospetti sulla situazione. Molti di questi hanno la pretesa di essere articoli investigativi realizzati da giornalisti che si incamminano per lunghe strade polverose, con la missione di ritrovare i parenti scomparsi e ripristinare la reputazione della Cina. Vengono accolti da famiglie indignate, costernate dal comportamento antipatriottico dei loro figli, che li esortano a tornare pentiti in seno al Partito.
Ferkat Jawdat, che è stato un ingegnere informatico di successo negli Stati Uniti per undici anni, non ha mai deciso di diventare un attivista. È stato raggiunto negli Stati Uniti da suo padre nel 2006 e da tre fratelli nel 2011, e hanno tentato tutti i mezzi legali per portare la loro madre negli Stati Uniti perché si unisse a loro, ma non ci sono riusciti, nonostante l'accordo degli Stati Uniti che lei poteva venire. Non solo le è stato rifiutato il passaporto per viaggiare, ma è stata internata due volte a scopo di "rieducazione" e infine condannata a sette anni di reclusione nel 2018. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso per Jawdat, la cui successiva campagna mediatica in favore della madre è giunta alle orecchie infuriate di Pechino. Hanno fatto ricorso a una campagna diffamatoria chiamandolo "feccia", e accusandolo di essere in combutta con Michael Pompeo il giorno dopo che gli Stati Uniti avevano emanato disposizioni sul genocidio condotto dal PCC contro il popolo turco nello Xinjiang, e accusandolo di essere "un agente di Bin Laden".
L'insulto finale è stato far sfilare sua madre, Munawer Tursun, sul Global Times, mentre lodava la sua vita sotto il PCC, e suo zio Anwar Tursun che condannava le sue "terribili" attività negli USA. Ha chiamato suo figlio "spazzatura" e "un’onta per la famiglia". Come argomento secondario, completamente estraneo al caso di suo figlio, ha espresso il suo disprezzo per Rebiya Kadeer, che ha definito una "separatista" e una "degenerata tra gli Uiguri ".
Il PCC non sapeva, tuttavia, che le sue tattiche sarebbero state in seguito smascherate da un giornalista occidentale che era riuscito a localizzare Munawer nello Xinjiang, e a scoprire un retroscena più sinistro. Ha descritto l’organizzazione della scena, il copione, la manipolazione del set. A causa della pubblicità attorno al suo caso, Ferkat ora parla con sua madre ogni giorno e ha potuto conoscere i suoi veri sentimenti nei suoi confronti.
Altri, tuttavia, non sono così fortunati, e sono profondamente feriti dagli insulti e dall'odio rivolti loro in pubblico dai loro cari. Il rapporto nomina una serie di attivisti Uiguri che sono stati tutti puniti dalle loro famiglie. Arafat Erkin, che sta cercando l’ anziano padre dal 2018, è stato denunciato da suo zio per aver commesso "atti vergognosi". Zumrat Dawut, una sopravvissuta del campo, che è stata internata e sterilizzata con la forza, si è sentita chiamare bugiarda dalla sua famiglia che l'ha accusata di aver maltrattato il padre. Hanno incolpato il suo attivismo per la sua morte, senza menzionare la di lui detenzione nell'ottobre 2019.
Aziz Isa Elkun, che vive a Londra, è stato sottoposto a un controllo speciale quando ha denunciato la distruzione dei cimiteri Uiguri, inclusa la tomba di suo padre nell'aprile 2019. Era stato costretto a non avere più contatti con sua madre Hepizem, di 78 anni, dopo le misure di repressione del 2016, ed è rimasto scioccato quando l'ha vista comparire durante una inchiesta della CGTN che trattava della sua denuncia. Il suo cuore si è spezzato quando ha visto la nuova tomba antisettica di suo padre e ha sentito sua madre scagliarsi contro di lui, il suo unico figlio. (Bitter Winter ha pubblicato l'anno scorso le prove che la televisione del PCC aveva mentito).
Ma una quantità straordinaria di insulti è stata riservata alle donne che hanno assistito e vissuto in prima persona l'abuso sessuale nei campi di detenzione femminili, e che hanno osato parlare. Le loro denunce hanno scioccato il mondo e scosso l'orgoglio del PCC. Nulla è stato risparmiato durante gli attacchi a tutto campo scatenati da familiari, amici, colleghi di lavoro e leader della comunità per minare la loro credibilità.
Un video su Twitter del Global Times che si scaglia contro Sayragul Sauytbay in seguito alla sua fuga dallo Xinjiang attraverso il confine kazako dopo un periodo di internamento, ha concluso la sua tirata ordinando alla vicepresidente della Federazione delle donne della contea di Zhaosu di chiamarla "abusatrice di bambini", bugiarda incallita, "membro degenerato di tutte le donne" e "feccia".
Cercando di dare un senso a questi video di "prove di vita" che gli osservatori perspicaci sospetterebbero immediatamente come falsi, Emily Upson ha detto che uno degli obiettivi era quello di gettare un'ombra di dubbio sui testimoni in modi sottili attraverso una sceneggiatura e coreografia intelligente. "Lo stile sta diventando sempre più plausibile", ha riflettuto. Nonostante le prove che emergono dallo Xinjiang, commenti sul suo feed di Twitter riflettono ancora il potere che ha il PCC di influenzare le opinioni. "Se la gente crede alla Cina, crederà a loro".
William Nee, Coordinatore della Ricerca e dell'Advocacy per i China Human Rights Defenders, ha detto che seguono il modello di tutte le apparizioni in stile "ostaggio" alla televisione di stato cinese. L'intimidazione psicologica sia del detenuto che delle famiglie che guardano, la manipolazione al silenzio, la diffamazione e il discredito dei testimoni e delle loro dichiarazioni, sono tutti elementi che fanno parte del programma.
Ma la realtà agghiacciante, che ci si creda o meno, è la prova che il PCC sta sorvegliando, non solo gli esuli, ma anche quelli che sono rimasti in patria. Indipendentemente dalle parole messe in bocca e dai copioni preparati, sono un costante promemoria del fatto che il prossimo a bussare alla porta non sarà semplicemente una troupe televisiva, ma una squadra di poliziotti dotati di mitra, pronti a metterti un sacco in testa e a farti marciare verso l'oblio. La minaccia sempre presente di ritorsione esiste.
Quando la madre di Ferkat è stata rilasciata, è stato contattato su WeChat, la piattaforma di social media cinese, da un agente cinese di Han che parla fluentemente Uiguro. "Mi disse che era potente, che sapeva tutto di me e della mia famiglia e che voleva essere mio amico", ha detto Ferkat. "Mi disse che era stato l'artefice del rilascio di mia madre e che poteva anche procurarle un passaporto e farla uscire dalla Cina". "Tutto quello che dovevo promettere era di tenere la bocca chiusa, smettere di parlare e rifiutare le interviste", ha detto.
Ha ricordato a Ferkat che era una voce solitaria che parlava contro la potenza della Cina e destinata a fallire. "Ma se smetto di parlare, perderò la mia voce", ha detto Ferkat. "Ho rifiutato". L'agente allora lo minacciò, dicendo che la ritorsione poteva arrivare in qualsiasi momento e in qualsiasi forma. "Ricordati solo", ha detto, "che hai molti membri della tua famiglia all'interno dei nostri confini".
Fonte: Bitter Winter
Immagine a inizio pagina: Opera d'arte dell'artista Uiguro che usa lo pseudonimo Yettesu raffigura in modo toccante come vengono prodotti i cinici video "Prova di vita" nello Xinjiang.
Ruth Ingram è una ricercatrice che ha scritto molto per la pubblicazione Central Asia-Caucasus, Institute of War and Peace Reporting, il quotidiano Guardian Weekly, The Diplomat, e altre pubblicazioni.