
di Alessandro Amicarelli — Con sentenza del 16 giugno 2025 nel procedimento civile n. 7879/2023, del Tribunale di Firenze, sez. II civile, l’Associazione Italiana Vittime delle Sette è stata condannata in relazione ad atti posti in essere online nei confronti dell’Istituto Buddista Soka Gakkai con sede a Firenze.
Cosa ha portato a questa sentenza?
Nel giugno 2023 l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (IBISG) ha promosso azione ex art. 2043 c.c. dinanzi al Tribunale di Firenze, Sezione Seconda Civile, chiedendo il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per le condotte diffamatorie e di vilipendio attuate dall’Associazione Italiana Vittime delle Sette (AIVS), nonché dai suoi rappresentanti legali Antonio Occhiello e Francesco Brunori.
La domanda era fondata su una serie di post pubblicati sulla pagina Facebook di AIVS nei quali la Soka Gakkai veniva qualificata come “setta” e accusata di aver ottenuto indebitamente i fondi dell’8 × 1000 grazie a presunte collusioni con l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, nonché su un video YouTube in cui si incitava a bruciare il “Gohonzon”, una pergamena oggetto di culto dell’Istituto definita nel video come “porta sfiga”.

Un gohonzon scritto da Nichiren poco prima della sua morte nel 1280. Fonte Wikimedia
In particolare, si contestava:
- il vilipendio del “Gohonzon” mediante video (pag. 4–5);
- la “scandalosa legge” n. 130/2016 approvata “in appena 90 giorni” grazie a Matteo Renzi (pag. 7);
- l’assenza di rendicontazione dell’8 × 1000 (pag. 7);
- la qualificazione reiterata di “setta” che utilizza “metodi coercitivi” (pag. 6–7);
- “gruppo coercitivo di stampo mafioso e massonico”, “autentica P2” (pag. 8).
Il Tribunale ha ritenuto diffamatorie le affermazioni circa l’affermazione della ratifica “a tempo di record” della legge n. 130/2016 in favore di Soka Gakkai, nonché l’assenza di rendicontazione dei fondi e la reiterata qualificazione di “setta”.
Il video sul “Gohonzon” è stato qualificato come vilipendio dell’oggetto di culto, aggravando il danno reputazionale:
- Interesse pubblico alla divulgazione;
- Continuità espositiva formale e sostanziale;
- Corrispondenza tra narrazione e fatti reali.
I post AIVS non hanno superato né il vaglio della veridicità né quello della continenza (pag. 9–11).
È stato liquidato in via equitativa un danno non patrimoniale di € 35.247, in ragione della media gravità della diffamazione e della diffusione su pagina Facebook con oltre 3.600 “mi piace”.
È stata rigettata, invece, la richiesta per il risarcimento patrimoniale sull’8 × 1000 per carenza di prova del nesso causale tra le critiche e la diminuzione dei contributi.
I convenuti sono stati condannati in solido al pagamento della somma, alla rimozione dei contenuti diffamatori e alla pubblicazione integrale della sentenza sulla pagina Facebook di AIVS. Le spese processuali sono state compensate.
La pronuncia ribadisce il rigoroso test multilivello per la scriminante della critica:
- Interesse pubblico concreto alla diffusione dell’informazione.
- Esposizione sobria, priva di espressioni gratuite e lesive.
- Accertata corrispondenza tra i fatti narrati e la realtà documentale.
Punti salienti del ragionamento del giudice sono quindi stati i seguenti:
- Il Tribunale ha esaminato dettagliatamente il percorso storico-legislativo della legge n. 130/2016, smontando l’asserita “velocità corruttiva” (pag. 11–12).
- L’esclusione dell’esimente della critica sottolinea che anche i fatti di pubblico interesse devono essere narrati con rigore e rispetto.
- La decisione dimostra la cautela nel riconoscere danni patrimoniali da mera ipotesi di influenza sull’opinione pubblica.
Questa pronuncia fornisce un modello esemplare per il bilanciamento tra tutela della reputazione e libertà di espressione.
Tale approccio si allinea ai principi consolidati di numerose Corti europee, che richiedono un bilanciamento stringente fra reputazione e libertà di stampa.
Come FOB, siamo molto soddisfatti del giudizio del Tribunale di Firenze, che mostra grande attenzione al problema delle cosiddette fake news, che tra i gruppi anti-sette italici e stranieri sono molto comuni, e alla necessità di non esasperare il diritto di critica, spesso invocato da questi gruppi per rivendicare la libertà di insultare a proprio piacimento, che invece ha limiti ben precisi come tutti gli altri diritti e libertà nella società democratica.
Questa sentenza costituisce, senz’altro, un punto di riferimento importante per future controversie, e siamo sicuri abbia posto le basi per futuri pronunciamenti contro altri gruppi anti-sette che insultano individui e gruppi ad essi invisi senza alcuna remora. Questa sentenza, peraltro, si pone nel solco di altre decisioni e sentenze di istituzioni e giudici di altri Paesi europei, ad esempio, contro organizzazioni private quali la FECRIS, e contro enti governativi come la MIVILUDES. Il giudice di Firenze, inoltre, nel condannare l’utilizzo del termine setta come discriminatorio di per sé mostra di aver fatto tesoro di importanti pronunciamenti istituzionali e anche giurisprudenziali nel settore così mostrando che i gruppi anti-sette devono conformare la propria condotta alla legislazione vigente anche alla luce della giurisprudenza di Strasburgo, ad esempio la sentenza della Corte europea dei diritti umani, nel caso Tonchev e altri c. Bulgaria emessa a Strasburgo il 13 dicembre 2022.