La libertà religiosa e lo stato italiano (quasi) laico

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Pubblicazione dell Costituzione italiana sulla Gazzetta Ufficiale

La recente diatriba sul disegno di Legge (DDL) Zan tra lo Stato italiano repubblicano, democratico e laico e lo Stato del Vaticano, teocratico e monarchia assoluta, porta alla luce problemi che i più non vedono, o non vogliono vedere. Il primo da citare, non necessariamente il più importante, è il fatto che un Parlamento ed un Governo che non rappresentano più la volontà della maggioranza degli italiani, si accapiglia con una Chiesa Cattolica che rappresenta solo una parte dei credenti italiani (per non parlare dei non credenti) per un DDL che influenzerà tutti gli italiani e che ha poco a che vedere con gli enormi e ben più importanti guai sanitari e socio-economici che il Bel Paese sta attraversando ormai da un anno e mezzo.

Un altro problema, ben più importante, viene toccato da questa vicenda, quello della discriminazione costituzionalmente sancita rappresentata dagli articoli 7 e 8 della Carta Costituzionale. Una discriminazione che dura da 73 anni e che ormai colpisce milioni di italiani che non si ritengono cattolici. Il Vaticano può chiedere il rispetto del concordato perché ne ha uno, stipulato nel ventennio fascista, inglobato integralmente nella Costituzione repubblicana del ’48, attuato dal già citato articolo 7 («Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi») e reiterato nella sua forma di trattato internazionale nella revisione del 1984.

La stessa costituzione stabilisce all’articolo 8 che i rapporti di tutte le confessioni diverse dalla cattolica “con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. In buona sostanza, per uscire dal giogo della legge del ’29 sui “culti ammessi”, ancora in vigore con tutta la sua valenza discriminatoria, le confessioni religiose non cattoliche, possono solo stipulare un’intesa con lo Stato. Tali intese, al termine di un rocambolesco iter di approvazione, diventano leggi ordinarie dello Stato, cosa ben diversa da un trattato internazionale. Peraltro, le poche intese che sono state stipulate (12) in questi settant’anni tra mille difficoltà, rappresentano solo una frazione delle confessioni religiose e dei credenti che oggi esistono in Italia. Quelle senza intesa, come “religioni di serie B” rimangono soggette al Regio Decreto sui “culti ammessi”, con buona pace dell’uguaglianza dei culti. È noto, tra l’altro, che l’iter per accedere ad un’intesa con lo Stato è un vero percorso ad ostacoli in un campo minato, tant’è che alcune confessioni hanno dovuto attendere decenni per raggiungere tale risultato e alcune ancora attendono.

Si scelse la via del concordato, in un’Italia a larghissima maggioranza cattolica, perché il governo fascista e casa Savoia non potevano permettersi di lasciare irrisolta la “questione romana” che si protraeva dai tempi della presa di Porta Pia. Va ricordato peraltro che, al tempo della legge delle Guarantige (1871), il Papa era un cittadino italiano, pur con molti privilegi, e il Vaticano era parte dello Stato Italiano. Fu solo nel ’29, con i Patti Lateranensi, che venne istituita la Città del Vaticano come stato sovrano, e fu per iniziativa del Governo italiano. Ad ogni buon conto, in quel 1929 il regime si preoccupava ancora di mantenere un equilibrio internazionale che tramontò pochi anni dopo a causa dei sogni imperialisti.

Dopo la caduta del fascismo, e in seguito della monarchia, il neonato Stato repubblicano, che si dice democratico, avrebbe potuto percorrere un’altra strada e discostarsi dalle scelte del Ventennio. Invece, in quel fatidico 1948, ha scelto di inglobare nella Costituzione i Patti Lateranensi e la legge del ’29 sui “culti ammessi”. Mantenne anche un atteggiamento discriminatorio e persecutorio verso le confessioni non cattoliche, come testimonia l’applicazione della vergognosa “circolare Buffarini Guidi”. Una norma feroce e discriminatoria, attuata con violenze e arresti, che proibiva il culto Pentecostale; fu pubblicata nel ’35 ma rimase in forza fino al 1955, quando venne finalmente abrogata. Le ragioni per la tardiva abrogazione si dovettero principalmente alla volontà delle autorità governative di “preservare l’unità spirituale della nazione”.

Scegliendo di mantenere il concordato del ’29, lo Stato repubblicano, pur affermando il principio, prevalentemente formale, di libertà religiosa, compromise il principio di uguaglianza dei culti e la religione Cattolica assunse nuovamente, come ai tempi dello Statuto Albertino, il ruolo privilegiato quasi di religione “dello Stato”.

Altra testimonianza delle limitazioni alla libertà religiosa de facto, assieme al concordato e ai Regi Decreti ereditati dall’epoca fascista, è il fatto che furono mantenute intatte alcune strutture dello stato fascista che oggi sono anacronistiche e la cui esistenza prosegue per inerzia, ignoranza e disattenzione politica. È il caso ad esempio della collocazione, datata 1932, decisa a seguito di un riassetto amministrativo operato dopo la riforma del ’29, della Direzione degli Affari di Culto nel Ministero dell’Interno, trasferendola dal Ministero della Giustizia e dei Culti che, in seguito, cambiò nome in Ministero di Grazia e Giustizia.

Pubblicazione dell Costituzione italiana sulla Gazzetta Ufficiale

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Una soluzione che, secondo lo stesso Ministero dell’Interno, venne adottata “nell'ottica di privilegiare i mezzi di controllo del Ministero dell'Interno […] che aveva il compito principale di dare attuazione alla politica ecclesiastica dello Stato, politica fissata con il Concordato del 1929 e con la legislazione del 1929-1930 nei confronti dei Culti non cattolici e delle Comunità israelitiche”. È evidente che ai giorni nostri questa Direzione dovrebbe essere trasferita di nuovo al Ministero di Grazia e Giustizia. I tempi sono cambiati e, in teoria, non viviamo più in uno stato totalitario di polizia, milizie e squadracce.

Invece la Direzione degli Affari di Culto opera tuttora dal Ministero dell’Interno, porta a porta col Dipartimento della Pubblica Sicurezza ed, evidentemente, ne subisce l’influsso “poliziesco”, quando non viene addirittura scavalcata da quest’ultimo, come nel caso del famigerato “rapporto interno” del 1998 sulle “Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia”. Un documento inteso per l’uso interno di polizia finito “accidentalmente” nelle mani dei media durante una conferenza stampa tenuta dallo stesso Ministero alla Camera. Si trattava di un brogliaccio approssimativo di un centinaio di pagine che affastellava dati, per lo più negativi, su una lunga lista di movimenti religiosi, escludendo beninteso il cattolicesimo e poche altre confessioni religiose “tradizionali”.

Tale rapporto del Dipartimento di Pubblica Sicurezza fu condannato da interrogazioni parlamentari e severamente criticato da vari studiosi, si veda per tutti l’articolo “La libertà di credo e i reati immaginari” del Prof. Nicola Colaianni (membro del Comitato Scientifico di FOB). Fu anche oggetto di una sentenza del Tribunale di Roma che condannò il Ministero a pagare dei danni ad uno dei soggetti diffamati dal rapporto.

L’approccio del Ministero dell’Interno nella redazione di tale rapporto, seppur meno violento, non è dissimile nella sua logica dalla circolare emessa 63 anni prima dall’allora Sottosegretario del Ministero dell’Interno Guido Buffarini Guidi su carta intestata della Direzione Generale dei Culti.

Che il Ministero dell’Interno si occupi ancora delle questioni religiose come di una faccenda di pubblica sicurezza, è dimostrato anche dal fatto che a gennaio 2006, l’allora Capo della Polizia Gianni De Gennaro, istituì con una semplice circolare (stesso strumento usato 71 anni prima da Buffarini Guidi) un intero corpo si polizia chiamato “Squadra Anti Sette” (in sigla S.A.S.) che dovrebbe occuparsi in termini polizieschi delle “sette esoteriche, aggregazioni religiose o pseudo tali”. Nella stessa circolare, De Gennaro nominò come referente “tecnico” il sacerdote cattolico ed esorcista Don Aldo Bonaiuto.

Tornando all’argomento di apertura, non si sta qui suggerendo una revisione o abolizione del concordato, sebbene sia una cosa auspicabile per adeguarlo ai tempi e per eliminare un regine discriminatorio per le altre religioni. Non critichiamo nemmeno l’intervento del Vaticano a difesa del concordato. L’ottimo Marco Respinti (membro del Consiglio Consultivo FOB) in un articolo pubblicato sulla rivista Bitter Winter, e ripubblicato da FOB, ha spiegato bene la vicenda ed ha pure chiarito molto bene perché la “nota verbale” del Vaticano difende la libertà religiosa per tutte le confessioni.

Non intendiamo nemmeno criticare il DDL Zan, anche se riteniamo che una modifica dei punti che minacciano la libertà di espressione andrebbe presa in considerazione. Va apprezzato comunque l’intento di impedire discriminazioni e intolleranza.

Ciò che si vuole evidenziare è che, nonostante le pretese di laicità e democrazia dello Stato, i fatti fin qui descritti dicono che in quasi un secolo di storia, dal Ventennio ad oggi, poco è cambiato in termini di libertà religiosa. Le antiche discriminazioni contro le minoranze religiose hanno forse cambiato forma, ma non sono mai cessate, e la struttura dello Stato è ancora organizzata per renderle possibili, non per limitarle.

La circolare anti-religiosa di Buffarini Guidi non è meno democratica di una circolare anti-religiosa pubblicata dal Capo della polizia settant’anni dopo. Un rapporto di polizia di 100 pagine contro le minoranze religiose mandato nel 1998 a tutti i Prefetti della Repubblica con l’unico intento di limitare la libertà religiosa, non ha niente da invidiare ad un ordine scritto nel ’35 e mandato a tutti i Prefetti del Regno per sciogliere le “Associazioni Pentecostali”. Istituire una corpo di polizia per svolgere “attività di contrasto” delle attività dei movimenti religiosi è indice di una mentalità inadeguata per trattare il soggetto “affari dei culti”, almeno quando lo è il mantenimento di tali affari nella sfera poliziesca.

Questo stato di cose ha generato danni enormi, prodotto cause giudiziarie farsa, causato azioni di polizia infondate contro gruppi religiosi pacifici, per non parlare dei danni causati agli individui e alle loro famiglie.

Personaggi pieni di pregiudizi e gruppi anti-religiosi, come ad esempio le associazioni FAVIS (Famigliari Vittime delle Sette), CeSAP (Centro Studi sugli Abusi Psicologici) e una manciata di altri gruppi meno noti, hanno approfittato di questo scenario per generare un clima di intolleranza e discriminazione contro le confessioni religiose a loro sgradite, non disdegnando talvolta di diffamare anche la Chiesa Cattolica. I due gruppi sopraccitati sono anche corrispondenti italiani dell’associazione anti-sette FECRIS (Federazione europea dei centri di ricerca e informazione sul settarismo), un organismo finanziato principalmente dal Governo francese che da trent’anni diffonde la fobia per le minoranze religiose. Un’associazione che annovera tra i suoi componenti individui controversi pesantemente criticati dagli organismi pubblici e privati che si occupano di libertà di credo e anche dai più seri e accreditati studiosi del settore.

Le minoranze religiose in Italia, grazie alla posizione quanto meno ambigua dello Stato, hanno subito le campagne di odio di questi gruppi per decenni, con buona pace della legge Mancino, che è rimasta inapplicata per 28 anni. Tra l’altro, nel 2012 l’IDV (Italia dei Valori) voleva inserire delle norme contro l’omofobia nella legge Mancino, ma non se ne fece nulla.

Le alzate di scudi di taluni politici che non hanno apprezzato l’intervento del Vaticano e hanno protestato per la presunta invasione di campo e per l’inesistente attentato alla laicità dello Stato, sono decisamente fuori luogo. È veramente laico uno stato che dice di garantire la libertà di religione però mantiene per decenni norme discriminatorie e una gestione poliziesca e prevenuta verso le minoranze religiose? Se questo Stato vuole inalberare le bandiera della laicità e della democrazia, dovrebbe fare qualcosa di concreto per raddrizzare le storture descritte sopra. Come minimo, dovrebbe abrogare le leggi obsolete che non hanno più ragione di esistere, adeguare la costituzione affinché l’eguaglianza tra i culti diventi un fatto e non mera teoria, togliere gli “Affari dei Culti” dalle mani dei poliziotti e rimetterli nella loro sede naturale: il Ministero di Grazia e Giustizia e Culti e, infine, promuovere una cultura di rispetto e tolleranza delle scelte altrui. Altrimenti anche la futura legge Zan rimarrà lettera morta come la legge Mancino e le discriminazioni continueranno per chiunque faccia scelte non condivise da qualche maggioranza o presunta tale.

La Redazione