In memoria di Aldo Braibanti

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Aldo Braibanti

a 60 anni dall'inizio del caso che lo avrebbe portato alla condanna per plagio

di Alessandro Amicarelli — Il 12 ottobre 2024 ricorre il 60° anniversario di un evento tragico per la democrazia italiana. In quella data aveva inizio il caso di Aldo Braibanti, una vergogna giudiziaria nell'Italia repubblicana, democratica e anti-fascista. Tanto più perché imputato a processo sarebbe stato, di lì a poco, un giovane laureato in filosofia, già nel comitato centrale del PCI, già partigiano, accusato di aver utilizzato il plagio, veste giuridica del lavaggio del cervello, per asseritamente ottenere favori sessuali da ragazzi più giovani. Aldo Braibanti era omosessuale e nell'Italia del 1964 ciò era intollerabile e pertanto doveva essere presentato all'opinione pubblica come un mostro manipolatore. I giornali facevano a gara nella lotta al titolo, presentandolo come il professore che aveva approfittato di due giovani studenti. Ma Braibanti non era, né mai fu professore, e quei due "studenti", non erano suoi allievi ma in realtà erano uno studente universitario e l'altro elettricista nonché entrambi maggiorenni. La storia ha dell'incredibile e sembra tratta da un manuale medievale di caccia alle streghe. Il 12 ottobre 1964, il padre di uno di quei due ragazzi, Ippolito Sanfratello, padre di Giovanni, l'asserita vittima di plagio, presentò denuncia presso la Procura di Roma contro Aldo Braibanti accusato del delitto di plagio per aver indotto, entrando nella mente del figlio, ad avere rapporti sessuali con lui. Giovanni, secondo un altro capitolo comune nel copione in alcuni Paesi, sarà sottoposto a continui elettroshock e tenuto a lungo in manicomio sotto cure psichiatriche per essere depurato dal plagio, o utilizzando tecniche che nella terminologia degli anti-sette moderni si chiama deprogrammazione che essi hanno a lungo praticato previo il rapimento della presunta vittima.

La storia di Braibanti è lunga e dolorosa non solo per la vittima, Braibanti, ma per la democrazia e per le istituzioni italiane anch'esse vittime dei metodi, riesumati e in verità mai morti, della dittatura fascista. Il reato di plagio, introdotto nell'ordinamento nazionale italiano dal regime fascista con il Codice Rocco, sconosciuto dal previgente Codice Zanardelli (il Codice penale dell'Italia post-unitaria), era un'arma pericolosissima in quanto, come dimostra il caso Braibanti, una semplice accusa senza prove e addirittura con la testimonianza di segno contrario della presunta vittima (di abuso sessuale in questo caso) invece pienamente consenziente, poteva portare, come sarebbe accaduto per Braibanti, ad una condanna certa benché ingiusta oltre che irrazionale.

Quel 12 ottobre 1964 l'Italia post-fascista, da poco 18enne, si risvegliava appassionata dei metodi fascisti e l'opinione pubblica, obnubilata da giornalisti senza scrupoli, veniva abbeverata di menzogne sulla pelle di un innocente.

Giovanni mai accusò Braibanti, anzi con lo stesso ebbe una relazione sentimentale e vissero insieme a Roma.

Durante il processo fu l'altro giovane, Piercarlo Toscani, allora elettricista, ad accusare Braibanti di essergli "entrato nella mente" sostenendo in questo modo la teoria dell'accusatore, il padre di Sanfratello.

Il 14 luglio 1968 la Corte di Assise di Roma condannò Braibanti a 9 anni, ridotti in appello il 27 settembre 1969 a 4 anni, poi ridotti ulteriormente a 2 in quanto ex partigiano.

Il partito radicale con Marco Pannella in prima fila si attivò per difendere Braibanti e gli esponenti più importanti del mondo culturale da Umberto Eco ad Alberto Moravia, da Pierpaolo Pasolini a Elsa Morante diedero vita ad un movimento culturale contro l'oppressione voluta dagli accusatori fanatici del plagio.

Una pagina nera per la democrazia italiana, con una costituzione ispirata ai principi dell'antifascismo, ma che in realtà di quel regime aveva mantenuto tante strutture, anche istituzionali e legali, e soprattutto la mentalità degli italiani era, allora come purtroppo in parte anche adesso, ancora indissolubilmente ancorata al Ventennio.

Si dovette attendere il 1981 allorché, in una società italiana, almeno in parte cambiata, e in cui di lì a poco si sarebbe mandata in soffitta nel 1984, sebbene in maniera incompiuta la "religione dello Stato", la Corte Costituzionale intervenne, non nel caso Braibanti, ma di un prete cattolico, don Grasso, sancendo la contrarietà dell'articolo 603 del codice penale alla Costituzione italiana.

È certo interessante notare che i giudici non intervennero per sanzionare la contrarietà del plagio alla Costituzione nel caso Braibanti, comunista ed omosessuale, ma lo fecero nel caso di don Grasso accusato dai genitori di ragazzi di famiglie benestanti di plagiare i figli per convincerli ad andare a fare i volontari in paesi poveri.

Gli italici anti-sette continuano a sostenere l'utilità del plagio e a dire che l'art.603 fu solo abolito perché coinvolto nel processo era in quell'occasione un prete cattolico manipolatore. È chiaro che questo ragionamento è tanto coerente quanto l'intera agenda degli anti-sette. È evidente che la società italiana del 1964 ancora molto vicina al Ventennio era molto diversa dall'Italia del 1981, molto cambiata in usi e costumi. Così come è molto diversa la società italiana di oggi, in cui è del tutto normale che giovani o meno giovani, religiosi o spirituali, atei o agnostici, di famiglie più o meno abbienti partano come volontari in giro per il mondo. Questo 40 anni fa veniva visto come risultato di un'attività di manipolazione mentale portata avanti da un prete, magari avvertito come prete sovversivo o "di sinistra" che famiglie di un certo rilievo vedevano come un pericolo e volevano fare fuori utilizzando l'arma fascista del reato di plagio allora esistente.

I saggi giudici costituzionali operarono una vera e propria cesura con il passato che mai più dovrebbe tornare. Invece quell'ombra illiberale continua ad aggirarsi come un'arma affilata pronta a tagliare metaforicamente la testa di chiunque minacci l'ordine così come identificato dagli anti-sette nella "normalità della maggioranza". Ogni differenza è per loro pericolosa e va soppressa.

Oggi dopo 60 anni dai tragici fatti del caso Braibanti, dopo la dichiarazione di incostituzionalità del plagio ad opera della Corte costituzionale nel 1981, non siamo certo liberi da fanatici e populisti di vario genere che vedendo nelle minoranze pericoli da perseguitare per la loro diversità, vorrebbero combatterle con lo strumento legale ovvero perseguendole per plagio ribattezzato manipolazione mentale.

Non sorprende che attivisti antisette ed esponenti di partiti populisti e della realtà xenofoba, razzista, omofoba, islamofoba, e antisemita siano spesso sulle stesse posizioni. E non è una questione di mero colore politico giacché populismo e persecuzioni sono trasversali.

Queste persecuzioni, benché prive dello strumento punitivo legale, quantomeno in Italia, continuano in vario modo. Cambiano le vittime, cambiano i carnefici, ma le modalità sono le stesse. 

La caccia alle streghe continua. E così un medico russo che aveva sostenuto la comunità LGBTIQ+, considerata in Russia una setta estremista alla stregua dei testimoni di Geova dichiarati fuorilegge nel 2017 nonostante l'opposizione dello stesso Putin, è stato arrestato il 7 ottobre scorso con l'accusa di Satanismo (come riporta The Moscow Times e Bitter Winter). Accusa di Satanismo fatta anche in Francia nei confronti di un'opera artistica di François Delarozière. In questo caso l'accusa di Satanismo viene da ambienti cattolici come riportato dal Manifesto. Ma poco cambia perché le accuse di Satanismo e di Settarismo vengono fatte da soggetti religiosi e non religiosi, da gruppi contro le sette (cattolici) e gruppi anti-sette (laici) che ritengono di detenere la sola verità. Gli strumenti sono gli stessi, la demonizzazione, è il caso di dire, di chi sia ritenuto una setta pericolosa o un guru manipolatore ed uno strumento legale per annientare la guida spirituale ed il gruppo con tutti i fedeli in nome di una normalità che non tollera diversità. In nome di una conformazione alla massa dove non c'è spazio per chi la pensi, si vesta o comporti o appaia diversamente.

Non meraviglia che i gruppi anti-sette, tanto italiani quanto di altri Paesi, prendano come esempio i modelli francese e russo, entrambi sulla falsariga del modello cinese, che perseguitano e perseguono i gruppi minoritari religiosi e spirituali in Francia, religiosi, spirituali, sessuali e politici in Russia e in Cina.

Gli stessi che predicano la libertà della donna, come dell'uomo, di praticare sesso liberamente, di cambiare partner, di fare in definitiva ciò che si vuole del proprio corpo, come è giusto che sia se lo si vuole, sono poi gli stessi a etichettare come vittima di plagio chi liberamente e con pieno consenso decida di praticare un tipo di sessualità nella forma dello yoga tantrico, dell'erotismo sacro o qualsivoglia altra forma di erotismo o sessualità. Quando ciò avviene si grida allo scandalo, all'abuso e al guru manipolatore, nulla importando che le asserite vittime continuino ad affermare di aver prestato pieno consenso al rapporto perché, in un'ottica pienamente psichiatrica, gli anti-sette sostengono che l'asserita vittima non sia capace di intendere e di volere, così come la donna musulmana non sarebbe libera in quanto sottomessa all'uomo sempre e comunque, per non parlare di chi si converta all'Islam, specialmente se donna, o a qualsiasi altra religione, spiritualità o anche filosofia di vita, inclusi anche vegetarianesimo e veganesimo, che li porta ad essere visti come vittime manipolati ed essi stessi a loro volta estremisti e manipolatori.

Qualsiasi individuo, al di là di genere e orientamento sessuale, politico, religioso o spirituale, inclusi umanisti e non credenti, ha diritto di determinare la propria vita e le proprie scelte in base alla propria volontà.

Pensiamo alle lotte delle organizzazioni LGBTIQ+ per le unioni civili, delle femministe per l'aborto, alle lotte dei partiti e movimenti radicali per il divorzio, per l'aborto e per la regolamentazione del fine vita, incluse le "cliniche della morte" operative in Svizzera, Nord Europa e altrove. In una società così modificata rispetto a 40-60 anni fa, che piaccia o meno, gli individui sono liberi di scegliere e la presenza di uno strumento come il reato di plagio o manipolazione, comporterebbe il rischio di creare nuovi mostri, di perseguire famigliari e medici, ad esempio, di pazienti che scelgano di abortire o di morire pacificamente, accusandoli di averli indotti rispettivamente ad abortire o a morire.

La Corte costituzionale si espresse chiaramente nel 1981, e come FOB, e personalmente, confidiamo di non tornare indietro di mezzo secolo o più.

Meraviglia anche, in qualche misura, che una madrina o una delle muse ispiratrici degli anti-sette, la prof.ssa Janja Lalich, americana figlia di emigranti della Serbia, ex comunista e dichiaratamente lesbica, la quale ha dedicato gli ultimi 40 anni lottando contro le "sette", abbia confessato in un recente articolo di essere stata un'attivista negli alti ranghi di un partito comunista americano, il Democratic Workers Party – che in verità era una sorta di club diffuso di ispirazione Marxista-Leninista che contava non più di 120-150 membri attivi che usavano liberamente droga e praticavano il sesso promiscuo (come era in uso in molti ambienti negli anni 1960-70) – e che ella considera adesso una sorta di setta in cui avrebbe praticato cose terribili, come ella ha recentemente affermato, tra cui aver indotto donne forzatamente ad abortire, ritornello questo che la stessa ha utilizzato contro Scientology ma, per quanto a nostra conoscenza, non sembra la stessa si sia mai espressa contro gli aborti di massa, quelli sì forzati, praticati in Cina.

Meraviglia che questa accusa di settarismo venga mossa da una laicista anti-religiosa contro il gruppo politico di cui faceva parte e nel quale evidentemente ha maturato il proprio sentimento anti-religioso che ha portato proficuamente avanti negli ultimi 40 anni.

Non è chiaro se la Lalich sia divenuta anche in qualche misura un'anti-abortista, se così fosse certo con buona pace delle femministe e degli altri attivisti per i diritti delle donne in genere.

Certo è che il suo operato influenza molti anti-sette i quali spesso estendono il concetto di setta oltre ogni limite.

Non sorprende infatti che il cliché della "setta" venga utilizzato da molti anti-sette per colpire anche note società che vendono aspirapolveri, contenitori di plastica o telefoni. Addirittura qualcuno ha gettato sospetti sull'UAAR - Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, rei di aver partecipato ad un evento presso la Camera dei deputati insieme a gruppi invisi agli anti-sette, che porta invece avanti le proprie iniziative, come consentito dalla normativa vigente nazionale ed internazionale, e merita per questo rispetto.

Per gli anti-sette tutto è setta. Ed estremizzando il concetto tutti siamo una setta parafrasando il terzo presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson il quale sostenne "I am of a sect by myself" (1819) - Sono una setta da me stesso.

Occorre restare vigili e contrastare ogni iniziativa, da parte di chiunque, intesa a sopprimere le libertà altrui, ivi compreso il rischio di reintroduzione in Italia, come altrove, del reato di plagio sotto qualsiasi forma o nome e qualsivoglia finalità palese o meno.

E nell'attesa di reintrodurre quel reato, gli attivisti anti-religiosi fanno di tutto, incluso il far fuoriuscire i nomi di richiedenti asilo membri di gruppi minoritari che rischiano la persecuzione in Cina, pubblicando quei dati in internet.

La caccia alle streghe non ha limiti e la nostra organizzazione FOB negli ultimi quasi 10 anni di attività, e noi come componenti nelle nostre attività in molti più anni, abbiamo dimostrato, propugnando una laicità matura e rispettosa di tutti, di stare dalla parte di quelle "streghe" e a questo proposito plaudiamo l'iniziativa avanzata in Olanda da tre attiviste di costruire monumenti in ricordo delle vittime della locale caccia alle streghe come riportato da The Guardian lo scorso 4 ottobre.

Dovrebbe essere inutile sottolineare che individualmente e come FOB siamo contro ogni forma di violenza, sia che avvenga all'interno di gruppi religiosi o spirituali o variamente laici, ma lo specifichiamo per gli anti-sette che affermano erroneamente che i difensori delle sette, in realtà movimenti religiosi e spirituali minoritari, coprirebbero crimini con la scusa della libertà religiosa. Ciò è non solo falso ma è contro la logica stessa di noi che difendiamo i diritti umani e non condoniamo alcuna violenza che, al contrario, va perseguita utilizzando le norme vigenti.

Continuiamo il nostro lavoro con la motivazione con cui iniziammo e che portammo grandemente a frutto in tante iniziative tra cui il Convegno internazionale Diritto e libertà di credere in Europa, un cammino difficile tenuto a Firenze sotto l'Alto Patronato del Segretario Generale del Consiglio d'Europa e a cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella concesse la Medaglia del Presidente per il contributo apportato a livello culturale e sociale.

Questi sono i nostri principi radicati nella Costituzione e nella Dichiarazione Universale dei diritti umani che portiamo avanti grazie al contributo di tanti accademici, professionisti, giovani e meno giovani, attivisti e volontari di ogni estrazione